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SottoZero Scenari controversi – quanto positivi possono essere i tassi negativi? di Francesco Cappello

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SottoZero

Scenari controversi – quanto positivi possono essere i tassi negativi?

di Francesco Cappello

Pro e contro del tasso negativo. Un mondo capovolto

Accendere un mutuo a tasso negativo significa che sarai tenuto a rimborsare un pò meno del capitale preso in prestito! Vi sareste mai aspettati che una Banca privata potesse proporre alla propria clientela mutui a 10 anni a tasso fisso negativo come ha cominciato a fare Jyske Bank (- 0,5%) che peraltro non è sola in questa apparente follia. Nordea Bank, ad esempio, vi permette la stipulazione di mutui per acquisto casa a 20 anni, allo 0% e prestiti con tassi negativi fino a 30 anni!

Comprare denaro è diventato assai conveniente. Ti permettono di restituire meno di quanto hai preso in prestito. Sembra un miracolo, non vi pare? (1)

Le banche accettano una piccola perdita rinunciando, apparentemente, alla remunerazione del capitale e quindi del servizio prestato. La ragione ufficiale sarebbe che prestare denaro a tassi elevati è divenuto rischioso, nel senso che i clienti della banca, nel caso in cui non riuscissero a rimborsare il prestito, rischierebbero di infliggerle una perdita maggiore di quella più contenuta nel caso in cui viceversa la banca accetti di praticare tassi sotto lo zero.

Ci si potrebbe chiedere come fa a sopravvivere una banca che non prende interessi ovvero come funziona la contabilità bancaria o quali altri attività remunerano il suo operato? Ecco, il fenomeno in atto, se non bastassero tutte le prove ed evidenze sul funzionamento delle banche e della creazione di moneta scritturale dal nulla, ce ne propone una di grande evidenza empirica, ormai sotto gli occhi di tutti. È il caso di dire che la contabilità bancaria, è venuta ormai allo scoperto… Quando la banca crea moneta scritturale dal nulla, tramite prestiti a interesse positivo, si comporta come un falsario legalizzato con l’aggravante (rispetto al falsario) di aggiungere al reddito monetario, derivante dalla creazione di moneta dal nulla, gli interessi. Beninteso, questa operazione fa molto comodo all’economia. È, infatti, alla base della nascita del credito moderno, fondamento della crescita economica, sociale e civile del nostro mondo. Più avanti vedremo, comunque, alcuni degli effetti collaterali connessi a questo sistema di cose. Oggi, nel contesto della crisi che ha contribuito a generare, è costretta a ridimensionarsi e creando 100, la banca si accontenta che gli sia restituito un pò meno di 100; essa può creare moneta dal nulla ma a tramutarla in ricchezza concreta è il lavoro delle persone che la ricevono in prestito, che con la loro attività produttiva, per così dire, la inverano. In altre parole, in un deserto, la creazione di moneta scritturale bancaria non può generare alcuna ricchezza reale, cosicché da un credito deteriorato che fosse stato restituito solo parzialmente non risulta una perdita per la banca ma soltanto, come dice l’economista Antonino Galloni, un mancato arricchimento della stessa. Le grandi banche, però, da quando hanno potuto tornare ad operare quali banche universali in seguito alla abolizione del Glass steagall act (da noi la legge bancaria del ‘36) per mano del duo Clinton/Draghi, a metà degli anni 90, pretendono di operare nel “deserto“ della economia finanziaria, e di generare ricchezza dal nulla bypassando la economia reale. Detto in altri termini hanno reso sempre più marginale il modello D-M-D’ (denaro-merce-denaro con D’>D) sostituendolo con uno D-D’. Meglio dire, poiché sanno bene che un qualche “sottostante” delle attività finanziarie è necessario, sono andati avanti lasciando che crisi e fallimenti e conseguenti piani di austerity e di «aggiustamento strutturale» fossero finalizzati a togliere, parassitandoli, quei beni pubblici e privati che il precedente ciclo economico espansivo, ma fondato sulla economia reale, aveva costruito. Hanno sostituito un modello economico fondato sulla collaborazione tra finanza e produzione con una finanza vampira che per un certo tempo è riuscita ad alimentarsi di privatizzazioni e dismissioni. Oggi, anche questo sistema è alla fine mettendo a nudo l’insostenibilità di un modello esclusivamente D-D’ che sta mostrando tutta la sua pericolosa instabilità e impraticabilità. La deriva conseguente al mancato rapporto collaborativo tra finanza e attività produttive genera mostri: il territorio della finanza è alluvionato da debito e moneta privata quello della economia reale è arido e morente.

In breve, contrariamente a quanto si pensa, i tassi negativi influiscono relativamente sulla redditività delle banche, che pur subendo la cancellazione del loro margine di intermediazione (vedi Il futuro della banca di A. Galloni ed. eurilink – 2014), hanno da tempo diversificato le loro attività con quelle più “alla moda” proprie di un certo tipo di finanza. Come afferma Antonino Galloni: le banche oggi «si remunerano veramente con le singole operazioni (e) non con la contabilizzazione di crediti o debiti». Le grandi banche d’affari hanno scelto di far profitto operando esclusivamente nel mondo della finanza speculativa, lasciando che le ricchezze reali vengano parassitate e incentivando la sostituzione del precedente tessuto produttivo sano ed equilibrato con quello estrattivo delle grandi multinazionali e delle grandi banche d’affari a discapito, perciò, delle economie locali e nazionali oltretutto imponendo deregolamentazioni anche laddove il progresso sociale e civile avevano assunto forma istituzionale.

C’è anche un altro versante del fenomeno. Di recente, la JPMorgan si è rivolta a suoi clienti canadesi in difficoltà, dichiarando loro: «Prendetelo come un regalo» e procedendo a cancellare il debito accumulato sulle loro carte di credito. JP Morgan ‘Chase ha deciso di uscire in questo modo dal mercato canadese delle carte di credito. La banca ha chiuso i conti esistenti e impedito ai propri clienti nuove spese. Alla ‘Chase si sono accorti che i costi reali di chiusura dei conti risultavano più bassi dei costi connessi alla perdita dei crediti.

Infine, risulta crescente l’offerta di Titoli di Stato a tasso sotto zero. In Europa non è solo la Germania a offrirli ma anche l’Olanda, la Svizzera, la Francia e altrove il Giappone. In particolare, oltreoceano, si verifica che titoli americani a scadenza biennale/triennale rendono più che titoli decennali. Un mondo capovolto! Una inversione di quel premio temporale che si riceve quando si affidano i propri risparmi che non lascia presagire nulla di buono. Il fenomeno indica che gli investimenti speculativi, o meglio, chi li opera, teme una tempesta in arrivo nella forma di forte recessione. Storicamente l’inversione dei tassi precede sempre una crisi recessiva. Se il sentore degli investitori è di tale natura essi preferiscono acquistare titoli a lungo termine facendo lievitare la loro domanda in maniera tale da provocare una diminuzione dei loro rendimenti; quelli a breve scadenza sperimentando una diminuzione drastica della loro richiesta vedono alzare i rendimenti che promettono.

Non si tratta di esperienze isolate. Secondo Bloomberg il 25% delle obbligazioni mondiali (più di 14 mila miliardi di dollari, tendenza in crescita) sono sotto zero!

Gli investitori spaventati dal generale peggioramento dello stato della economia su scala globale, poiché i titoli di debito tedeschi sono quelli che sembrano in grado di garantire maggiore sicurezza, si rivolgono in massa a tali titoli aumentandone la richiesta sino a condurli in territorio negativo persino nel caso delle emissioni trentennali. Anche i Treasuries americani rendono sempre meno.

L’Austria ha emesso bond a lunghissima scadenza, settantennali e persino centennali, che promettendo un modo per mettere in salvo la liquidità, in un momento di tassi negativi, hanno quasi raddoppiato di valore. Unica condizione che il mercato di tali titoli rimanga sempre liquido permettendone la compravendita e l’incontro tra domanda e offerta per evitare di incappare nella trappola che hanno conosciuto i possessori dei bond argentini.

Anche il prezzo dell’oro fisico e del suo surrogato digitale, il bitcoin, quali beni rifugio, riprendono a salire.


I motivi del rovesciamento in atto sono legati alla politica monetaria ultra-espansiva, all’incertezza globale che favorisce acquisti rifugio e alle tensioni Usa-Cina. La Banca centrale europea dovrebbe tagliare i tassi d’interesse sui depositi (già ora sotto zero) e varare – almeno così il mercato si aspetta – un nuovo quantitative easing cioè un nuovo programma di acquisti di titoli di Stato. Questo è sufficiente a incoraggiare la scelta di investire in TdS anche se hanno rendimenti negativi. Si coltiva, infatti, la speranza che i tassi d’interesse già negativi possano subire ulteriori cali, facendo salire i prezzi dei titoli. Si tratta delle conseguenze paradossali delle leggi del mercato del capitale.
Chi acquista titoli a rendimento negativo lo fa perché così facendo spera di perdere meno di quanto teme di perdere non impiegando il risparmio di cui dispone oppure impiegandolo altrimenti o anche perché le risorse finanziarie sotto forma di titoli di stato sono considerati attivi sicuri, più sicuri di tutto il resto, quando tutto il resta minaccia instabilità… Rendimenti negativi spiazzano i piccoli risparmiatori. Solo chi è in grado di guadagnare dalla loro compravendita continuerà ad essere attivo su quel mercato. Parliamo perciò di trader finanziari di professione.

Con tassi negativi, Francia e Germania prendono in prestito dalla BCE utilizzando il Qe, programma di acquisto anche dei loro titoli, essendo incentivati a farlo (il tasso negativo interrompe la spirale di crescita del debito pubblico ed è in grado di invertirla!); Francia e Germania vengono in pratica pagati per farsi fare credito!

Sul versante dei fondi di investimento e dei fondi pensione, i tassi sotto lo zero stanno erodendo i loro rendimenti e questo li induce a comprare obbligazioni italiane, tra le poche rimaste ad offrire un rendimento positivo e al contempo garanzia di solvibilità a lunga scadenza, indipendentemente dal giudizio interessato delle agenzie di rating. In pratica l’Italia, seppure a tassi leggermente diminuiti, finanzia il resto del mondo; i decennali rendono intorno all’1,5% (più di tutti i decennali europei escluso quelli greci). Continuiamo a pagare decine di miliardi di interessi di servizio al debito con l’aggravante del mantenimento del meccanismo dell’asta marginale che amplifica l’emorragia ma che, stranamente, si evita di rimuovere. Nella prospettiva della fine del Qe, l’Italia rischia il declassamento a titoli spazzatura dei propri titoli di stato ad opera delle agenzie di rating. A finanziare il Paese, in questo caso, subentrerebbero i fondi salva stati che interverrebbero prestandoci quelle stesse risorse con cui abbiamo contribuito a finanziarlo oltretutto a prezzo del pagamento di un tasso di interesse, atto a remunerare il prestito, e del commissariamento della politica italiana, necessario ad imporci quei piani di aggiustamento strutturale, già sperimentati dal FMI, rispetto alla loro capacità di sottrarre sovranità e ricchezza residua in tanti paesi di seconda colonizzazione.

A breve, i tedeschi, che hanno funzionato sinora da sistema di riferimento per la misura dello spread, anche in considerazione del peggioramento dei loro indici economici, se vorranno conservare il loro mercato di titoli, dovranno pur fare qualcosa, come ad esempio tornare a spendere in investimenti pubblici, abbandonando la loro politica tutta mercantilistica, tornando finalmente a prestare attenzione alla domanda interna.

Il pur colossale debito pubblico giapponese, ad esempio, è generato da investimenti pubblici atti ad ottimizzare la dotazione infrastrutturale del paese con sicuri benefici sulla produttività generale e sulla salvaguardia della fiducia anche degli investimenti privati.
Viceversa, i Bund rischiano di cambiar stato e diventare poco liquidi anche a causa dei piani di acquisto della BCE che ne ha ritirati più di mezzo trilione. Se continuasse a farlo i Bund rischiano di sparire dal mercato.
Forse tali dinamiche favoriranno la messa a punto di bond sovranazionali ovvero strumenti di debito comune, utili a diversificare le attività detenute dalle banche e a intervenire a livello di quel punto debole, individuato nel rapporto tra banche e debiti pubblici dei vari paesi.

Instabilità globale

Le crisi del capitalismo sono sempre riconducibili a crisi di liquidità. I tassi negativi potrebbero rappresentare un estremo tentativo di prolungare la vita del sistema finanziario globale che rischia di implodere mostrando tutta la sua pericolosissima fragilità. Di certo i dati attuali dello stato dell’economia globale non sono molto incoraggianti.
La produzione industriale in Europa fa registrare dati pessimi, tutti negativi, una diminuzione media della produzione industriale in area Ue pari a – 1,6% e PiL vicino a crescita zero mentre procede in gran segreto e in gran fretta il potenziamento in corso del famigerato fondo salva stati (l’ex MES) in fondo salva banche; secondo molti osservatori, per rispondere alla imminente necessità di soccorrere il sistema bancario europeo ma soprattutto la gigante Deustche Bank, too big to fail, le cui azioni valgono ormai quasi zero (con 70 mila miliardi di titoli tossici in pancia) in grado di provocare, nel caso di fallimento, un effetto tsunami e una catastrofe finanziaria di proporzioni bibliche.

I tassi ultra bassi facilitano la stipulazione di mutui in grado di far lievitare la domanda di immobili residenziali con conseguente aumento dei prezzi delle case. Se il fenomeno si estendesse rischierebbe di generare una bolla immobiliare analoga a quella dei mutui subprime.

Se tassi di interesse più alti penalizzano le azioni, i cui dividendi distribuiti patiscono la concorrenza dei titoli obbligazionari (nella valutazione rischio/opportunità) allora tassi di interesse negativi servono a soccorrere e sostenere il mercato azionario quando questo rischia di precipitare.

In sintesi, ci sono grosse possibilità di recessione in Europa, ma anche la Cina fa registrare la crescita più bassa della sua produzione industriale negli ultimi 17 anni. Negli USA è in atto una crisi finanziaria strisciante mentre nel mondo non accennano a placarsi né la guerra dei dazi né il processo di dedollarizzazione che insieme catalizzano il conflitto su scala globale mentre una Russia sempre più tenuta a distanza dall’Europa è indotta all’abbraccio con la Cina che sta procedendo ad un riarmo forzato a ritmi mai visti prima (già oggi spendono un quarto della spesa militare USA).

Come cambia la partita che si gioca tra debitori e creditori

Come è noto il tasso reale è dato dalla differenza tra il tasso nominale, che è un dato della finanza, e il tasso di inflazione, che è un dato dell’economia reale. Se l’inflazione non è troppo alta allora il tasso reale è positivo e questo naturalmente rassicura chi investe finanziariamente.
Se però i tassi reali sono negativi gli investitori risultano sicuramente penalizzati perché il tasso nominale è eroso dall’inflazione anche se quest’ultima fosse molto bassa. Ma, attenti!Tassi nominali negativi possono avere un senso per l’investitore, solo se il sistema economico è mantenuto in deflazione. Solo in questo caso il tasso reale può rimanere in territorio positivo garantendo all’investitore un potere d’acquisto aumentato. In pratica, il creditore per continuare ad avere un utile netto anche in caso di tassi negativi deve sperare che il sistema economico sia imprigionato nella trappola mortale della deflazione. Più è grande il tasso di deflazione più cresce la speranza dell’investitore di dare maggiore potere di acquisto al suo capitale mentre intorno tutto perisce.

In presenza di inflazione i tassi negativi favoriscono i debitori e penalizzano i creditori. Ci sono allora buone ragioni, dal punto di visto dei detentori di capitali, per preferire, in presenza di tassi negativi, politiche che facciano diminuire l’inflazione sino a portarla in territorio negativo (deflazione).
Gli investitori, però, ormai sanno che, se le cose andassero male e i debitori si rivelassero incapaci di rimborsare il loro debito, alla fine interverranno le banche centrali a rimediare la situazione.

In condizioni di tassi bassi o negativi un aumento improvviso del prezzo del petrolio, come accadde negli anni ‘70, sarebbe, però, in grado di provocare una repentina inflazione da costi che costringerebbe ad un adeguamento immediato e quindi violento del mercato dei titoli.

Politiche espansive autentiche che portassero risorse finanziarie direttamente all’economia reale risollevando salari, stipendi, domanda interna, mobilitando, cioè, tutti quei fattori produttivi sprecati, insieme a investimenti pubblici anche in disavanzo purché mirati, porterebbero il sistema ad un equilibrio sicuramente più salutare. Tali provvedimenti seppure fossero accompagnati da più alti tassi di inflazione, a discapito dei creditori, sono non più rimandabili se si vuole affrontare la crisi recessiva ormai alla porta.

I tassi reali negativi riducono il costo reale di un debito come nel caso della gran parte dei titoli di Stato governativi. Tendono, perciò, ad avvantaggiare i debitori e a svantaggiare i creditori penalizzandone le entrate effettive.

In teoria dovrebbero riportare in equilibrio la distribuzione della ricchezza ma non sempre è accaduto così. I dati sulla disuguaglianza sociale nei Paesi sviluppati per ora lo negano.

Moneta a scadenza
Silvio Gesell (2) è stato tra i primi a spiegare il ruolo virtuoso di una moneta a scadenza, che perdesse cioè valore col tempo, come accade a certe merci che non possono essere conservate troppo a lungo perché soggette a processi di deperimento. Una moneta così fatta non è sicuramente tesaurizzabile, non può cioè essere accumulata, senza accettare la corrispondente perdita di valore correlata all’intervallo di tempo per cui la moneta è stata trattenuta (non spesa). In generale una moneta utilizzata come riserva di valore subisce, infatti, una sorta di cambiamento di stato. Da liquida (circolante) viene solidificata diventando illiquida (non circolante, stagnante) e sottratta così all’economia reale. La moneta a scadenza evita propriamente tale fenomeno. Il demurrage è un fluidificante della moneta che ne ostacola la stagnazione aumentandone la velocità di circolazione.
Il ruolo virtuoso dei titoli di debito pubblico, offerti dal Tesoro per finanziare il fabbisogno (differenza tra la entità della spesa pubblica giudicata necessaria per investimenti e altre voci e le entrate fiscali del paese), prima del divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, consisteva nel rendere liquido il risparmio italiano, rimettendolo in circolazione ed offrendo al contempo ai loro detentori (famiglie, imprese, ecc. ) una misurata protezione rispetto ai processi inflattivi che minacciavano di eroderne il valore. Condizione al contorno della virtuosità di tale procedura erano l’uso di una moneta nazionale, il pilotaggio del tasso di interesse in mano al governo e il controllo dei flussi finanziari cui veniva impedito il libero attraversamento dei confini nazionali.

Come svincolarsi dal baratro della deflazione

Tassi di interesse mantenuti perennemente in territorio negativo potrebbero essere interpretati quale strategia utile a svincolarsi dal pantano della deflazione. La deflazione dà informazioni sulla rapidità con cui i prezzi calano. Se i prezzi scendono i potenziali acquirenti di beni sono spinti a rimandare gli acquisti aspettando cali ulteriori dei loro prezzi, la domanda scema e si innesca un fenomeno ricorsivo che può rallentare enormemente i mercati di certi beni. Si pensi, ad esempio, al mercato immobiliare. Inoltre, poiché, tra il momento in cui un imprenditore investe e quello in cui incassa il ricavo, frutto della attività produttiva della sua azienda, anche qualora tutta la produzione portata in essere fosse stata venduta, il calo dei prezzi, dovuto al processo deflattivo in corso, rischierebbe di minare il profitto dell’impresa.
La situazione di stagnazione che si viene a determinare risulta difficilmente controllabile. Immobili o beni di altra natura perdono costantemente valore. Aumentano i “si vende“ applicati a case, e ad ex attività produttive e commerciali. Il potere d’acquisto del denaro cresce patologicamente. I detentori di capitali, comunque generati, sono in grado di parassitare beni reali a fini meramente speculativi (si pensi ai crediti deteriorati, gli NPL, preda dei grandi fondi di investimento – fondi avvoltoio). In questo stato di cose un denaro che perda costantemente valore potrebbe aiutare a riequilibrare le cose.

L’inflazione come si sa erode il debito a sfavore del creditore e a favore del debitore. È stata soprattutto questa sua caratteristica a risultare indigesta ai detentori di capitale (in tali condizioni, se i rapporti di forza lo consentono, il potere di acquisto di stipendi e salari può essere salvaguardato e con esso la domanda interna, ricorrendo a indicizzazioni e adeguamenti al “costo della vita“). Ne segue una volontà di controllo ferreo dei processi inflattivi con gli strumenti più errati. Ricordiamo qui la imposizione dell’uso esclusivo di moneta privata a debito con tassi di interesse positivo all’interno del circuito D-D’ (denaro che genera più denaro senza il passaggio intermedio della economia reale, finalizzata al profitto, propria del modello DMD’ ove M sta per merce) che ha lo scopo di parassitare, depredare e colonizzare i Paesi e i loro beni e l’abolizione della scala mobile.
Le banche private creano praticamente tutta la moneta in circolazione sotto forma di prestiti a interesse positivo e sempre più spesso, a partire dall’inizio del secolo, in forma di moneta fittizia ossia derivati e cartolarizzazioni finendo per preferire alla concessione di prestiti a famiglie e aziende il commercio e la negoziazione di tali titoli speculativi. 

I derivati e le cartolarizzazioni sono stati, infatti, trasformati in moneta fittizia, forzando le normative vigenti, sino ad acquisire lo status di mezzo di pagamento (3).

Quali gli obbiettivi dello stimolo monetario?
Mentre le risorse finanziarie per l’economia reale, che è l’unica in grado di trasformare la moneta privata scritturale bancaria in ricchezza reale, si sono sono sempre più rarefatte in concomitanza con l’estendersi della crisi, i finanziamenti da parte delle imprese produttive non sono richiesti perché chi investe nei settori produttivi lo fa solo se ha davanti a se prospettive di mercato.
Queste ultime sono ridotte poiché il ridimensionamento della domanda interna seguito alle politiche mercantilistiche che privilegiano le esportazioni, in condizione di cambi fissi, provoca precarizzazione del lavoro e deflazione salariale e, più in generale, svalutazione interna.
I miliardi di euro, dollari, sterline o yen iniettati per evitare la deriva del mondo della finanza e che hanno gonfiato i bilanci delle banche centrali mondiali fino a sfiorare l’equivalente di quasi 20mila miliardi di dollari (secondo le stime di Yardeni Research) sono ovviamente accompagnati da effetti collaterali e spesso non riescono a cogliere nel segno, non vanno cioè a risolvere i problemi che sono stati chiamati ad affrontare. Se ci si chiede che fine abbia fatto tale fiume di liquidità si riscontra che l’economia reale in pratica non ne ha beneficiato se non in modo assai marginale. Viceversa si è registrato un aumento del valore delle azioni e l’incremento ulteriore del debito privato di famiglie e imprese.
Le politiche espansive monetariste, adottate dalle banche centrali, dell’ordine di grandezza di trilioni di dollari, euro, yen, sterline a basso e bassissimo costo non possono non mettere in difficoltà gli investitori su scala globale senza per questo essere risolutive dei problemi che vorrebbero risolvere mentre si gonfiano a dismisura i bilanci delle banche centrali. Una forma di accanimento terapeutico che agisce solo sui sintomi con evidenti controindicazioni: è proprio il tentativo di salvataggio del sistema bancario da parte delle banche centrali che rendendo loro disponibili grandi quantità di moneta a basso costo, le mette in difficoltà poiché così facendo abbassa i loro margini a livelli sempre meno sostenibili, anche se si è sperato che bastasse il rafforzamento del loro stato patrimoniale a salvaguardarle. Si è pensato molto, infatti, a rafforzare il patrimonio degli istituti di credito, meno a far loro recuperare redditività mentre i tassi negativi hanno mandato giù i loro margini, impedendo ai titoli quotati in Borsa di tenere il passo del resto dei listini, soprattutto in Europa.

Le banche, divenute universali (abbattimento del Glass Steagall act e dei principi sacrosanti del nostro testo unico bancario), sono state messe in condizioni di non fare il loro mestiere a causa insieme della devastazione della economia reale e dei criteri di accettabilità dei livelli di rischio che le impediscono di portare credito là dove ce ne sarebbe bisogno (accordi di Basilea). Subiscono, oltretutto, la concorrenza di società in grado di selezionare e proporre al mercato obbligazioni selezionate efficacemente, in grado di individuare il loro livello di affidabilità ( “investment grade“).

La ingente liquidità immessa dalle banche centrali ha fatto crollare i tassi nominali rendendo inevitabile, pur in presenza di bassissima inflazione, ingenti perdite e difficoltà agli investitori privati.

Per convivere con tassi prossimi e sotto allo zero, gli investitori, costretti ad abbandonare i TdS, vanno alla ricerca di altre fonti di rendimento: azioni, asset alternativi, obbligazioni emesse da banche e società industriali, obbligazioni ad alto rendimento e/o emesse dai paesi emergenti come i BRICS.

Se la Bce stoppasse l’acquisto di titoli (è questo il Qe) e se smettesse di reinvestire i titoli che ha in portafoglio che vanno in scadenza allora si potrà affermare che la fase espansiva è terminata. La enorme liquidità messa in circolazione dalle banche centrali aveva gonfiato il valore delle azioni e delle obbligazioni favorendo quelle classi sociali dotate della disponibilità economica a investire nei mercati finanziari. Quindi il Qe ha fatto arricchire, soprattutto attraverso la festa dei mercati azionari (le Borse mondiali, in termini di capitalizzazione, dal 2009 sono cresciute di 40mila miliardi) la classe sociale benestante, quella che, superata la crisi del 2008, aveva la liquidità per acquistare azioni. La fine del Qe potrebbe scatenare il crollo delle borse.

Chi acquista bond sotto zero accetta di pagare un interesse al debitore anziché riceverlo sotto forma di remunerazione della concessione del prestito.
È un mondo capovolto dove si teme ormai il peggio e si paga pur di custodire al sicuro i propri investimenti. Questa dinamica se protratta potrebbe essere in grado di invertire il processo di crescita dei debiti pubblici ma con quali effetti collaterali?

L’incertezza globale, l’escalation di tensioni tra Stati Uniti e Cina, catalizza i processi in corso. Trump tornerà a varare nuovi dazi alle importazioni e in particolare a quelle cinesi ed europee finché per difendere la propria economia, a fronte della politica della FED che non consente svalutazione del dollaro e a quella cinese che ha svaluta lo yuan per abbassare il prezzo dei propri prodotti all’estero, non avrà alternative. La conseguente caduta delle borse alimenta la corsa ai beni rifugio. In tale contesto spesso anche rendimenti negativi possono avere un certo appeal. Con yuan e dollaro che giocano al ribasso i giapponesi sono costretti a fare altrettanto con lo yen. La BCE e i paesi dell’area euro faranno altrettanto per difendere le loro economie? Saprà, cioè, muoversi in modo da difendere contemporaneamente gli interessi delle economie nazionali che ad essa fanno riferimento oppure è strutturalmente impedita a farlo?

Il tasso negativo tenta di porre un argine alla crescita dell’enorme debito privato, causa vera delle instabilità che hanno causato le grandi crisi economiche recenti e meno recenti, responsabili della dinamica ciclica delle grandi crisi finanziarie/capitalistiche legate indissolubilmente al modello economico liberista. Oggi la situazione è complicata enormemente dallo scollamento predatorio della finanza nei confronti della economia reale. Quest’ultima infatti, in condizioni di crisi con domanda stagnante, non chiede risorse finanziarie neppure a tasso negativo. Le attività produttive sono spesso tenute in piedi a copertura di attività finanziarie sottostanti. Non è a caso che oggi dominano incontrastati, minacciati soltanto dalla crisi sistemica, i grandi fondi di investimento come BlackRock, Vanguard, State Street ecc. che colonizzano il territorio dove operavano le più sane economie preesistenti in corso di smantellamento per essere sostituite dai fondi che riuniscono sotto il loro controllo le grandi multinazionali, le grandi banche d’affari e le agenzie di rating, un cocktail che appare invincibile soprattutto perché compra e controlla la informazione globale e la politica di interi paesi asservendoli alla riproduzione e riaffermazione del sistema di dominio che hanno imposto al mondo.

Si pensava che la penalizzazione con un tasso negativo di quei depositi bancari, eccedenti la riserva obbligatoria, presso la BCE, fosse in grado di disincentivare il parcheggio di liquidità presso la stessa BCE, nella speranza che le banche tornassero finalmente a prestare denaro all’economia reale, ma il rispetto dei vincoli imposti alle banche come il rapporto tra i crediti erogati e il capitale bancario atto a predisporre un adeguato livello di copertura patrimoniale delle loro attività, insieme a sistemi di riduzione e ottimizzazione della rischiosità degli impieghi, pesato in funzione del rischio di ciascuna categoria di prestiti (Righted Weighted Asset), lo hanno impedito soprattutto a causa del fattore certamente determinante della crisi della economia reale cui nessuno vuole porre davvero rimedio. Le politiche e i vincoli europei tutte volte al primato delle esportazioni ora che queste ultime risultano in netto calo fanno scorgere, anche ad occhio nudo, l’assurdo insito nelle politiche del rigore del Fiscal Compact e dell’austerity e/o la deflazione salariale necessaria a mantenere un export competitivo, causa prima del crollo al minimo degli investimenti privati: gli imprenditori cercano di ridurre i costi senza sostituire gli impianti, al più cercano di renderli più efficienti. In tutta Europa, a causa di queste scelte suicide, lo stato sociale è progressivamente smantellato, gli investimenti pubblici tendono a zero, il mercato è depresso, la domanda interna langue, i consumi tendono ulteriormente a calare.

La patologia inscritta nella struttura intima delle cose

Il tasso di interesse positivo fa mancare nel processo di creazione a debito del denaro esattamente la quota degli interessi (viene creato il denaro corrispondente all’entità del prestito ma non la quota corrispondente agli interessi maturati dal prestito che quindi mancheranno in un sistema dove la moneta si genera esclusivamente in seguito alla richiesta di prestiti. In tal modo si genera la necessità di altri prestiti nel tentativo sempre frustrato di coprire il buco dovuto agli interessi per coprire i quali manca letteralmente il denaro in circolazione. Il debito diviene matematicamente inestinguibile! Il sistema obbliga ad una competizione strutturale. Gli attori economici sono indotti a competere, senza esclusione di colpi, per aggiudicarsi le risorse finanziarie esistenti, sempre scarse rispetto al necessario. Una economia fondata sulla crescita coatta a causa dell’indebitamento cronico con la conseguente competizione tra attori economici costretti a confliggere tra di loro, nel tentativo, sempre frustrato, di far fronte alla parte mancante di risorse finanziare. Il tasso negativo che timidamente comincia ad essere utilizzato serve a calmierare lo squilibrio causato dall’eccesso di debito piuttosto che arrivare alla sua cancellazione (o ristrutturazione) come si faceva periodicamente, in passato, con il giubileo. La moneta a debito privata, creata solo grazie ai prestiti a interesse positivo, genera automaticamente la necessità di altri prestiti e quindi di altro debito in un processo ricorsivo senza fine che obbliga alla competizione economica e alla crescita coatta. Il demurrage non consente di usare la moneta quale riserva di valore né l’accumulo di debiti. Essa non è accumulabile ma solo spendibile. Se non fosse di origine privata sarebbe una vera e propria moneta anticapitalistica. Più velocemente è spesa meno risulta il valore perso. Erode il debito esistente. La strategia del tasso negativo potrebbe allora essere interpretata come il tentativo di rimediare agli enormi squilibri generati dalla immissione di enormi quantità di liquidità immesse dalle banche centrali che minacciano ora di travolgere il sistema. Può però sperare di allungarne la vita per qualche tempo poiché la catastrofe sarà evitabile solo se la finanza accetterà di ridimensionarsi tornando al servizio della economia reale. Per farlo dovrà rinunciare alle devastanti licenze che si è presa, nella forma delle deregolamentazioni di cui ha goduto dalla fine degli anni ’70. L’apertura del vaso di Pandora è stata, all’epoca, la concessione della licenza di circolazione ai flussi finanziari su scala globale, liberi di andare là dove la promessa di remunerazione fosse più allettante.

La esorcizzazione del rischio

Nel caso della catastrofe finanziaria del 2007 c’erano grandi banche d’affari che sarebbero sicuramente fallite generando un effetto domino, un rischio sistemico in grado di travolgere l’economia mondiale. Era necessario intervenire immediatamente e salvarle con il denaro della Federal Reserve negli USA e poco dopo in Europa con il Qe della BCE.
La crisi non è più solo un fenomeno ciclico come accadeva in un non lontano passato caratterizzato da cicli positivi e negativi dell’economia. Si tratta, viceversa, di fenomeni del tipo analizzati da René Thom nella sua teoria matematica delle catastrofi; fenomeni sistemici, incontrollabili, in grado di distruggere il sistema perché le interrelazioni tra grandi banche che funzionano da hub della rete sono tali da trascinare tutte le piccole banche che le hanno dato credito e, a catena, quelle che a sua volta hanno concesso credito a queste ultime… Se non si fosse intervenuti la crisi si sarebbe concretata in crisi di fiducia e panico, incontrollato e incontrollabile, che avrebbe condotto alla sospensione del sistema dei pagamenti. Tale fragilità del sistema non è stata risolta. Risulta piuttosto rimossa la possibilità estremamente concreta che essa si ripresenti in dimensioni amplificate e travolgenti. Il momento del collasso, se non si procede con la necessaria rivoluzione del modello economico e monetario oggi dominante, imporrà alla stessa economia del mondo una battuta d’arresto dagli esiti difficilmente prevedibili. I debiti pubblici e privati continueranno a salire a causa della bassa crescita. Essi servono a tamponare le criticità e le instabilità della finanza internazionale ma sino a quando se non saremo in grado di cambiare il target, le regole e gli scopi stessi dell’agire economico?

La fine della scarsità a partire dagli anni ’70 e quella della illimitatezza del denaro a partire dal ’71, da quando la moneta non è più stata “pagabile al portatore“ (scambiabile cioè in oro), hanno aperto le porte di un mondo strutturalmente diverso da quello precedente. Oggi è possibile mettere in circolazione grandi quantità di moneta. La strategia in atto è, però, tesa a prolungare la vita del sistema il più a lungo possibile, prolungandone all’infinito le ingiustizie strutturali ad esso connesse. Sappiamo ormai bene che il fiume di denaro a debito messo in circolazione dalle banche centrali serve ad affrontare le instabilità finanziare generate dal mondo della finanza speculativa, fatta da grandi fondi di investimento che determinano il comportamento all’unisono di grandi banche di affari, grandi multinazionali ed agenzie di rating a discapito del bene comune.

Tutte le crisi sono crisi di liquidità. Si verificano quando i pagamenti rimangono sospesi per mancanza di liquidità. Non a caso la parola “pagare” contiene la radice della parola pace. Il pater nostrum recita: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori…” a ricordarci l’importanza che crediti e debiti si equilibrino il più velocemente possibile. Ancora, non è a caso che la ricevuta del pagamento di un debito rilasciata dal creditore si chiami quietanza… Se lo scopo della finanza è quello di consentire l’incontro tra creditori e debitori garantendo il saldo di ogni debito allora se ne può dichiarare il fallimento (e la fine della pace o l’inizio della guerra) quando il momento del pagamento viene procrastinato, rimandato all’infinito come generalmente accade oggi.

Il mercato finanziario prezza i rischi di calo del valore nel tempo. Esso è fatto di persone che scommettono, che mercanteggiano il rischio, che competono scambiandosi per così dire previsioni di futuro a cui mettono un prezzo.

Nel 2007, secondo i liberisti, è stato il rischio di credito (di fallimento) a determinare il collasso perché quest’ultimo non è matematicamente modellizzabile. È perciò non prevedibile e si propaga veloce nella rete a causa delle fitte interconnessioni del sistema finanziario e bancario. Per il liberista quel che non funziona è semplicemente il meccanismo di formazione dei prezzi del credito. Dal suo punto di vista, basterebbe mettere a posto l’offerta del credito e più in generale il mercato del credito.

L’intermediazione creditizia produrrebbe bolle perché quando il creditore rinnova il credito nella speranza di ottenerne il rimborso su tempi più lunghi (te ne do ancora un pò nella speranza che saprai rimborsarmi in futuro) il credito aggiuntivo ha una probabilità altissima di non essere rimborsato. Le perdite delle banche procurano, di conseguenza, perdite ai propri azionisti, si restringe il credito e il ciclo peggiora ulteriormente. Questo dinamica, affermano, era propria del credito di una volta, quello delle casse di risparmio, delle banche popolari, delle piccole banche diffuse sul territorio (che erano però, dal nostro punto di vista, in grado di valutare il rischio di credito grazie alla conoscenza intima del territorio in cui operavano). Il derivato di credito sarebbe il loro rimedio, legittimato dalla volontà di evitare il rischio connesso con tale pratica.
Noi sappiamo che, man mano che l’economia reale peggiorava, tale strumento artificioso è divenuto sempre più indispensabile creando un circolo vizioso in cui la causa ha alimentato ricorsivamente l’effetto. Strumenti come questo permettono, infatti, di disinteressarsi del destino dell’economia e anzi il numero di derivati emessi risulta più che proporzionale alle difficoltà indotte nell’economia reale… Davanti al mancato rimborso del credito, esso non viene ritirato, piuttosto, il creditore si assicura rispetto a tale eventualità e quindi il rischio è spostato su una assicurazione; di conseguenza il mercato migliorerebbe perché alla fine il credito non è stato ritirato, i tassi di interesse non sono stati alzati e il mercato ha ricevuto la segnalazione che è meglio diffidare di quel dato debitore, di quella data impresa. L’assicuratore recepisce tali informazioni intorno al debitore e decide di conseguenza se alzare il premio o venderlo sul mercato. Il mercato ricevendo queste informazioni relative alla solvibilità può decidere se e quanto restringere il credito. Bisogna allora chiedersi quale sia l’esito finale di questo processo in un contesto di economia in calo, in difficoltà… Il meccanismo in atto espelle il rischio, lo esorcizza. Pretende di riuscirci attraverso una sua imbrigliatura algoritmica, non come sarebbe più sensato, creando il contesto propizio di uno sviluppo sano. Guadagna sulle difficoltà crescenti degli operatori della economia reale facendo commercio di tali titoli derivati assicurativi trasformandoli in derivati speculativi, restringendo nel contempo, in modo mirato, il credito, ma in una situazione di crisi economica come quella in atto si giunge ad una situazione di stretta creditizia generalizzata, ossia si finisce di essere disponibili a far credito soltanto a chi non ne ha veramente bisogno.
Noi sappiamo, infatti, che la strategia dei mutui subprime servì a drogare il mercato immobiliare. In quel caso non si è prestato a persone che poi sono fallite ma a persone che era quasi certo che non sarebbero state in grado di restituire il credito ricevuto e su questi titoli di debito si è imbastito un commercio finanziario fatto di cartolarizzazioni e derivati che diffusi nel mondo finanziario lo hanno destabilizzato, ne hanno rivelato le intenzioni fraudolente e la fragilità strutturale.
Si è approdati così ad una condizione di rarefazione monetaria (rischio di liquidità) nell’economia reale e ad una bolla in quella finanziaria, che tenta di sopravvivere distaccata dalla economia reale, cartolarizzando e commerciando derivati. L’intervento salvifico delle banche centrali permette, comunque, al sistema di continuare a perseverare nell’errore…

La domanda allora è: quale riforma del sistema monetario internazionale sarà in grado di disinnescare la crisi di natura sistemica in agguato, sostituendo alla finanza di guerra in atto oggi, una finanza della collaborazione e della pace?

Il capitalismo non è riformabile. Esso va abolito a cominciare da una sana distinzione tra capitalismo ed economia di mercato. È necessario proibire il mercato della moneta e del credito perché si possa tornare ad avere banche e finanza all’altezza del loro compito.
Le piccole banche dovrebbero attivare reti di mutuo credito atte allo sviluppo della economia locale. La logica economica fondata sulla liquidità dovrebbe essere progressivamente marginalizzata a favore di quella fondata sulla compensazione multilaterale come già proposto da Keynes a Bretton Woods.

È importante chiedersi, come fanno Massimo Amato e Luca Fantacci (4), da dove viene la moneta e dove va nel frattempo, ovvero, la moneta come dovrebbe essere?

Secondo Keynes la moneta è un mero intermediario, importante solo per ciò che può procurare; essa passa di mano in mano, è ricevuta ed è spesa e quando ha svolto il suo compito sarebbe auspicabile che sparisse dalla somma della ricchezza di una nazione. La moneta che abbiamo non fa questo. Si accumula. Funziona da riserva di valore.
La moneta emessa dalle banche centrali dall’inizio della crisi (la FED ha quasi triplicato il suo bilancio..) non risponde evidentemente a tali caratteristiche con le conseguenze che hanno preoccupato H. Minsky e tutti noi.

La moneta viene dal nulla. Dal ’71 non è più convertibile in niente (è scomparsa la scritta: pagabile al portatore). Il problema è che rimane in circolo in forma di debito. Creiamo moneta dal nulla ma non provvediamo alla sua eliminazione lasciando che essa si accumuli in forma patologica. Ci siamo liberati dell’idea che la moneta fosse qualche cosa (l’oro o altra merce preziosa) ma fatichiamo a vederla e trattarla per ciò che è: una mera unità di misura del valore atta a mediare gli scambi di merci e servizi.

Finanza di pace

D’altra parte esiste la possibilità, indicata da Keynes, di una moneta che non sia merce e di una moneta che possa essere riformata anche a livello locale. Un sistema finanziario che non abbia bisogno di comprare e vendere moneta, relazioni finanziarie che non si basino necessariamente su rapporti economici che passino attraverso la liquidità. Si sa che il 15% del commercio internazionale si fa già attraverso pratiche di compensazione, beni contro beni tra imprese – fanno già a meno dei mercati finanziari (barther).

Keynes aveva proposto la formalizzazione e la generalizzazione sul piano internazionale della compensazione multilaterale tra import ed export dei vari paesi che partecipano al commercio internazionale. Lo scambio di beni contro beni è l’unica forma di equilibrio possibile. Non ci sono debiti. Il commercio non lascerebbe debiti. Si eviterebbe il passaggio dal sistema finanziario come lo conosciamo.
Per gestire il commercio internazionale non abbiamo bisogno di nessuna quantità di moneta, abbiamo bisogno semplicemente di una unità di conto per misurare i nostri debiti e crediti reciproci che saranno registrati e destinati a compensarsi a vicenda. È sufficiente una moneta che sia esclusivamente unità di conto. Il sistema fondato sulla compensazione multilaterale (International Clearing House) è praticamente sempre in pareggio perché ogni debito è compensato dal relativo credito e non c’è bisogno d’altro. Il finanziamento del commercio può avvenire in costante equilibrio dinamico tra importazioni ed esportazioni che è anche l’unica forma di rapporto equilibrato tra nazioni.

Purtroppo il sistema capitalistico finanziario, con annesso dogma della liquidità, imposto dai vincitori della seconda guerra mondiale a Bretton Woods, inietta grandi quantità di moneta a debito, su cui si crea un’offerta di credito che va alla ricerca del suo debitore. Tale liquidità, è creata dal nulla dalle banche ed utilizzata ormai quasi esclusivamente nel mondo della finanza speculativa. È essenzialmente tale circostanza a generare le instabilità sistemiche a cui si è accennato.
Viceversa, gli investimenti pubblici abbisognano di una moneta nazionale non privata, non a debito, legale entro i confini nazionali, secondo la proposta del costituendo Comitato nazionale statonote di cui sono cofondatore con Antonino Galloni e altri. La quantità di moneta non a debito immessa nel sistema economico sarà regolata (secondo le necessità dell’economia pubblica e più in generale di quella reale) essendo possibile immettere moneta nel sistema quando esistono fattori produttivi inespressi ovvero sistematicamente sprecati e che risulta urgente valorizzare. L’economia ha bisogno della finanza ma di una finanza che collabora al successo dell’economia. Si potrebbe, in prima istanza, tornare al mestiere più tradizionale della banca pubblica o delle piccole banche popolari così come alle banche di credito cooperativo che facevano a meno dei mercati finanziari, banche territoriali che valutano il debitore sulla base della loro esperienza capillare di rapporto reale col contesto di vita in cui operano, che permettono una valutazione più efficace e meno soggetta al rischio di fallimento, in grado di restaurare e praticare l’opportunità di scelte anticicliche.


L’economia di mercato dovrebbe limitarsi al commercio di merci e servizi e non di moneta e credito
È necessaria una nuova Bretton Woods per tornare a legare intimamente economia reale e finanza, che renda possibile una produzione di credito strettamente legata all’entità dei beni (di consumo e di investimento) da scambiare.
Bisogna evitare l’ingolfamento di crediti inesigibili, che costringono un paese come la Cina, con più di mille miliardi di dollari in titoli americani… La svalutazione dello Yuan e la corrispondente rivalutazione del dollaro consentono di avvantaggiare l’export cinese che con una moneta svalutata riesce a ottenere un listino prezzo dei suoi prodotti da esportazione relativamente più basso. Per ottenere tale risultato la Cina può perseverare nella sua politica di acquisto di titoli americani. Vende Yuan ed acquista dollari. Ad un certo punto però i cinesi potrebbero spendere tutti insieme i dollari che hanno comprato… Gestire rapporti internazionali di tale natura vuol dire accumulare tensioni tali da condurre a improvvisi scoppi di potenza.

È necessaria una moneta internazionale (inevitabile pensare al Bancor) che non sia la moneta nazionale di nessun paese che non sia cioè espressione di uno stato egemone con mire imperiali.

Una finanza fatta per procrastinare all’infinito il pagamento dei debiti è strutturalmente una “finanza di guerra“ (4). Il sistema capitalistico finanziario ha prodotto guerre sempre più devastanti e una commistione, moralmente inaccettabile, che ha realizzato una “crescita“, ottenuta attraverso la costruzione contemporanea di strumenti di guerra e strumenti di pace. Una finanza che ha reso possibile l’accumulo a dismisura di armi, simmetrico all’accumulo di tensione conflittuale tra i Paesi. Armi sempre più potenti e distruttive che servissero da deterrenza, mentre si produceva “benessere“.

Una finanza foriera di guerra: quando si smette di fare guerre di prezzi, guerre commerciali si lascia il passo a guerre che prevedono lo scambio di bombe.
Prima che la terza guerra mondiale si concreti come tutto sembra ormai confermarci è necessario venir fuori da questa finanza di guerra e favorire una finanza di pace perché un mondo nuovo possa finalmente venire alla luce.

Concludiamo con le parole di chi aveva già visto, molto tempo fa:

«Tutto il moderno traffico del denaro, tutta l’economia della banca è intimamente legata al debito pubblico. L’indebitamento dello Stato è una necessità e con l’indebitamento dello Stato è una necessità il dominio del commercio dei debiti dello Stato, il dominio dei creditori dello Stato, dei banchieri, dei cambiavalute, dei lupi della borsa.

Il debito pubblico riposa sulla fiducia che lo Stato si lasci sfruttare dagli strozzini della finanza. Il debito privato è paralizzato, la circolazione impedita, la produzione arenata. Il debito pubblico e il debito privato sono il termometro economico col quale si può misurare l’intensità di una crisi. Mentre l’aristocrazia finanziaria fa le leggi, dirige l’amministrazione dello Stato, dispone di tutti i pubblici poteri organizzati, domina l’opinione pubblica con i fatti e con la stampa, in tutti gli ambienti si spande l’identica prostituzione, l’identica frode svergognata, l’identica smania di arricchirsi non con la produzione, ma rubando le ricchezze altrui esistenti»

dagli scritti di Marx sul 1848 francese. 18 Brumaio, Guerra civile


(1) (Naturalmente accanto al Tag e tan zeroal commercio, permangono i prestiti personali, proposti dalla truffa usuraia di casa nostra, con i tanti istituti di credito disposti a venderti denaro al modico tasso del 7%).

(2) vedi Il valore del denaro di S. Gesell edito da Mimesis.

(3) La legge 481 del 2001 ha sdoganato i derivati che, nati come forme di assicurazioni sui raccolti agricoli, sono divenuti vere e proprie scommesse intorno all’andamento dei prezzi di beni, indipendentemente dal possedimento degli stessi; in pratica scommesse sul valore di altri strumenti finanziari; anche i derivati sono stati equiparati dalla legge a “moneta“ abilitata al pareggio dei conti degli enti pubblici così come quelli delle banche. La legge 448 del 2001 ha legalizzato cartolarizzazioni dei diritti di credito (debiti), vietate dal codice civile. Si fanno, cioè, valere come titoli commerciabili in borsa i debiti (diritti di credito) abilitati dalla legge 130 del 1999 quale mezzo di pagamento ossia come denaro abilitato a pareggiare i conti nelle normali transazioni finanziarie. In pratica la trasformazione in carta di attività reali.

(4) M. Amato e L. Fantacci Fine della finanza Donzelli 2014

https://www.francescocappello.com


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