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SOSTITUISCONO I NOSTRI LAVORATORI (di Umberto Del Noce)

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Umberto Del Noce, esperto di comunicazione, è il responsabile di Alternativa per l’Italia a Torino. Con questo articolo speriamo di iniziare una lunga e proficua collaborazione.

 

 

All’indomani della “festa dei lavoratori”, vi propongo una storia di problematiche moderne legate al lavoro.

L’altro giorno alla stazione Porta Nuova di Torino ho incontrato un amico che lavora (lavorava) come giardiniere per il Comune di Torino.

“Cosa ci fai qui?” gli chiedo io.

“Parto” mi risponde con un velo di tristezza.

“Come parti?dove vai?”

“Via, a cercare lavoro”.

Il mio amico mi racconta che il comune di Torino ha licenziato tutti i giardinieri che si occupano della manutenzione del “verde pubblico”.

Al loro posto, ha assunto una ditta rumena (“esternalizzando” il servizio) che, a quanto ha sentito dire lui, prende 2 euro l’ora.

“Come si fa a competere con queste cifre? Io non posso permettermi di guadagnare 2 euro l’ora”. Infatti.

Quanto capitato al mio amico apre inquietanti scenari innescati dai processi di immigrazione che non solo non vengono regolamentati dallo Stato, ma vengono addirittura sfruttati.

L’immigrato viene infatti sfruttato due volte: con le bombe o con le leggi di mercato viene costretto a lasciare il luogo dei suoi affetti (1) per venire a lavorare sottopagato nelle società capitalistiche “avanzate” (2).

Questo abbatte i livelli dei salari costringendo i giovani delle società “avanzate”, ormai in gran parte laureati, ad emigrare a loro volta vero paesi ancora più avanzati in cerca di maggiori salari.

Questo sembrerebbe dividere il mondo in tre fasce: i paesi fornitori di manodopera a basso costo (i paesi colpiti da “bombardamenti umanitari” e “lezioni di democrazia all’uranio impoverito”), paesi produttori di basso profilo (ad esempio l’Europa mediterranea), paesi produttori di alto profilo (ad esempio l’Europa del nord).

I paesi di alto profilo avrebbero il vantaggio di poter aprire filiali nei paesi di basso profilo con un vantaggio sui costi di produzione e potrebbero competere con le aziende dei paesi “fornitori di manodopera” accentuando le loro crisi e aumentando l’esportazione di beni e contemporaneamente l’importazione di manodopera. Ma lasciamo stare la fanta-economia.

Tornando al mio amico, dato che la notizia mi sembrava ”grossa”, ho cercato su internet qualche notizia al riguardo. Non ho trovato nulla.

D’altronde siamo in piena campagna elettorale e non si può pretendere che la Stampa di Torino si schieri contro il sistema.

Anzi l’unico articolo che ho trovato, e che viene miracolosamente fatto passare per un grande atto di civiltà, è l’accordo stipulato tra il Comune di Torino e l’Amiat (azienda per la raccolta rifiuti) la quale impiegherà 26 immigrati per pulire i parchi (gratis) tutti i sabati dall’alba al tramonto (vedi link).

Insomma, sul licenziamento del personale comunale non si fa parola, anche se questo articolo sembrerebbe fare riferimento ad un’improvvisa necessità di personale.

Non so se i fatti si sono svolti esattamente come testimoniato dal mio amico.

Può darsi che la sua lettura sia eccessivamente negativa per la bruciante sofferenza del licenziamento.

Tuttavia ci permette di ragionare su aspetti macroeconomici legati al fenomeno dell’immigrazione.

In ogni caso il valore di questa vicenda è soprattutto simbolico e rappresentativo di quanto sta avvenendo.

E parimenti simbolico è il luogo della conversazione che ho avuto con l’ennesima vittima “della crisi”.

Porta Nuova.

La stazione che, solo tra il 1959 e il 1962 ha visto transitare, valigia in mano, più di 60.000 immigrati dal Sud destinati alle fabbriche piemontesi, in primis la Fiat.

E allora non possiamo non pensare ad un parallelismo con le prime forme (moderne) di sfruttamento dell’immigrazione.

Non che di operai in Piemonte non ce ne fossero. Quella massiccia iniezione di forza lavoro nelle vene della produzione capitalistica ha permesso alle fabbriche del Nord di abbassare i costi del lavoro.

La storia pare ripetersi, su scala globale.

E dove il liberismo stigmatizza l’inflazione, aggredisce la pressione salariale (figlia della piena occupazione) che più di ogni altro fattore incide sui costi del lavoro.

Così, pian piano, la “piena occupazione” di “Costituzional memoria” viene fatta coincidere con il “tasso naturale di disoccupazione” (come se esistesse qualcosa di naturale nella disoccupazione) per giustificare una bassa inflazione (figlia dei bassi salari).

E le scelte frutto di dogmi ideologici vengono fatte passare come “eventi naturali”: l’ imponderabile “volontà del Mercato”, l’equivalente moderno della misteriosa “volontà divina”.

I sacerdoti moderni, con il loro scettro di statistiche, hanno negli occhi la freddezza di un prete atzeco, mentre estraggono il cuore delle vittime dei loro sacrifici per placare il Mercato.

Eppure il Mercato non sembra aver finito di sfogare la sua ira. Smetterà, forse, quando ogni istituzione della società (dalla famiglia, ai servizi e alle relazioni) sarà confinata entro i limiti dei riti della nuova Religione che propone la salvezza tramite il consumo.

Intanto, al mio amico deve bastare la consolazione che forse il suo sacrificio servirà ad addolcire quel dio capriccioso che oggi chiamiamo Mercato.

http://www.lastampa.it/2016/04/23/cronaca/i-rifugiati-ripuliscono-i-giardini-di-torino-ppzwOJJo9lOSWqVd1wiJ2J/pagina.html?ult=1


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