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Crisi

Soros sul Corriere: Se la Germania è contro gli eurobond meglio che abbandoni l’Unione

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Segnaliamo questo articolo a firma di George Soros e pubblicato sul Corriere della Sera (cartaceo e online).

 

La crisi dell’euro ha trasformato l’Unione Europea in qualcosa di radicalmente diverso. Quella che doveva essere un’associazione volontaria di Stati alla pari si è trasformata in una prigione per debitori, con la Germania e altri creditori al comando per perseguire politiche che prolungano la crisi e perpetuano la subordinazione dei Paesi debitori. La crisi rischia ormai di distruggere l’Ue, una tragedia di proporzioni storiche. Questo può essere evitato solo con la leadership della Germania.

Le cause della crisi non possono essere comprese in pieno senza riconoscere il difetto fatale dell’euro: creando una banca centrale indipendente, i Paesi membri si sono indebitati in una valuta che non controllano. Innanzitutto, sia le autorità che gli investitori hanno trattato tutti i titoli di Stato come se fossero senza rischio, creando un incentivo perverso per le banche ad accumulare titoli deboli. Quando la crisi greca ha sollevato lo spettro del default, i mercati hanno reagito relegando tutti i Paesi membri dell’Eurozona altamente indebitati allo status di Paese del Terzo mondo iper-indebitato in valuta estera. Poi questi Paesi sono stati trattati come se fossero gli unici responsabili delle loro sventure, e il difetto strutturale dell’euro non fu corretto.

 

Illustr. Beppe GiacobbeUna volta compreso questo, la soluzione viene da sé. Può essere riassunta in una sola parola: eurobond. Se i Paesi che si attengono al nuovo Fiscal Compact potessero convertire l’intero stock di titoli di stato in eurobond, l’impatto positivo rasenterebbe il miracolo. Il pericolo di default svanirebbe, e così i premi sul rischio. I bilanci delle banche e i bilanci dei Paesi molto indebitati ne riceverebbero beneficio immediato. L’Italia, ad esempio, risparmierebbe il 4% del Pil; il suo bilancio andrebbe in attivo e gli stimoli fiscali sostituirebbero l’austerità. L’economia crescerebbe e il debito calerebbe. Gran parte dei problemi apparentemente intrattabili svanirebbe nel nulla. Sarebbe come svegliarsi da un incubo.

Il Fiscal Compact fornisce tutele adeguate. Consentirebbe ai Paesi membri di emettere nuovi bond per sostituire quelli in scadenza, ma nulla più; dopo cinque anni, il debito scaduto sarebbe gradualmente ridotto al 60% del Pil. I Paesi non conformi sarebbero penalizzati con una riduzione della quantità di eurobond da poter emettere. Se un governo accumula ulteriori debiti, potrà finanziarsi solo in proprio. Le multe in caso di violazione del Fiscal Compact devono essere automatiche e non così severe da non essere credibili. Gli eurobond non rovinerebbero quindi il rating della Germania. Anzi, reggerebbero bene il confronto con i bond degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Giappone.

Certamente gli eurobond non sono una panacea. L’area euro ha anche bisogno di un’unione bancaria e di un’unione politica – necessità che il salvataggio di Cipro ha reso più pressanti mettendo in dubbio il modello delle banche europee, che si basa sui depositi -. Soprattutto, gli eurobond non eliminerebbero le divergenze di competitività dei Paesi membri dell’Eurozona, ma la possibilità che la Germania accetti gli eurobond trasformerebbe l’atmosfera politica e agevolerebbe le riforme strutturali che devono intraprendere i singoli Paesi. Purtroppo la Germania è fermamente contraria agli eurobond. Da quando la cancelliera Angela Merkel ha posto il veto, l’idea non è nemmeno stata presa in considerazione. I tedeschi non comprendono che accettare gli eurobond sarebbe molto meno rischioso e costoso che continuare a fare solo il minimo indispensabile per preservare l’euro.

La Germania ha diritto di rifiutare gli eurobond, ma non di impedire che i Paesi altamente indebitati sfuggano alla loro disgrazia aggregandosi ed emettendo eurobond. Se la Germania si oppone, dovrebbe valutare l’idea di lasciare l’euro. Sorprendentemente, gli eurobond emessi da un’Eurozona senza la Germania reggerebbero ancora bene il confronto con le obbligazioni americane, inglesi e giapponesi.

La ragione è semplice. Dal momento che tutto il debito accumulato è denominato in euro, la differenza la fa quale Paese lascia l’euro. Se la Germania dovesse abbandonare, l’euro si deprezzerebbe. I Paesi debitori riguadagnerebbero competitività. Il loro debito diminuirebbe in termini reali e, se emettessero eurobond, la minaccia di default svanirebbe. Il debito diverrebbe improvvisamente sostenibile. Allo stesso tempo, gran parte del peso dell’aggiustamento ricadrebbe sui Paesi che hanno lasciato l’euro. Le loro esportazioni diverrebbero meno competitive e incontrerebbero una pesante concorrenza dall’area euro nei loro mercati nazionali. Inoltre subirebbero perdite sui loro titoli e investimenti denominati in euro.

Se invece fosse l’Italia ad abbandonare l’Eurozona, il suo debito denominato in euro diverrebbe insostenibile e andrebbe ristrutturato, gettando il sistema finanziario globale nel caos. Quindi se qualcuno deve lasciare, dovrebbe essere la Germania e non l’Italia. Occorre che la Germania scelga definitivamente se accettare gli eurobond o lasciare l’euro, ma è meno ovvio quale delle due alternative sarebbe meglio per il Paese. Solo l’elettorato tedesco può decidere.

Se fosse indetto oggi un referendum, i sostenitori di un’uscita dall’Eurozona vincerebbero a mani basse. Invece una più approfondita valutazione potrebbe cambiare l’opinione pubblica. Si scoprirebbe che il prezzo da pagare se la Germania accettasse gli eurobond è stato ingigantito e il prezzo dell’uscita dall’euro è stato fatto apparire piccolo. Il problema è che la Germania non è stata indotta a scegliere. Dunque può continuare a fare non più del minimo indispensabile per preservare l’euro: è chiaramente la scelta preferita della Merkel, almeno fino alla fine delle prossime elezioni. Intanto la situazione sta peggiorando e alla lunga diventerà insostenibile. Una disintegrazione caotica lascerebbe l’Europa in condizioni peggiori rispetto all’epoca di avvio dell’ambizioso esperimento dell’unificazione. Non è certo questo l’interesse della Germania.

[link originale su corriere.it]


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