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Smart working, non è uguale a telelavoro (di Viviana Dal Cin)

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di Viviana Dal Cin

Pur definito dalla Legge sul Lavoro Agile, il concetto di smart working (SW) è ancora poco chiaro: non è telelavoro, il lavoro da casa una o due volte a settimana che tante aziende stanno applicando, ma un lavoro agile, che vede l’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi.

“Una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”, la definizione di SW secondo l’omonimo Osservatorio del Politecnico di Milano School of Management, o lo “smaterializzare gli individui, consentendo loro di lavorare ovunque e a qualsiasi ora” per Agendadigitale.eu.

SW è quindi un cambiamento profondo che, passando per “responsabilizzazione e smaterializzazione degli individui”, prevede il passaggio al lavoro per obiettivi e lo stravolgimento del concetto di spazio comune per le occasioni di presenza in ufficio.

Se la Costituzione, all’Art.3, definisce “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscano l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione economica e sociale del Paese”, ebbene, come potrebbe un genitore non partecipare efficacemente al lavoro quando contemporaneamente deve badare alla prole, ululante o alle prese con la smart scuola, usufruendo magari di una linea internet potenzialmente già al collasso? E, se gli scappasse una imprecazione in diretta (come accaduto in apertura dell’oramai famoso quanto recente Consiglio comunale di Trieste..) perché alimentare tanta polemica?!

Non vi risulta una sede lavorativa adeguata quel mini appartamento che gode di un solo tavolo adibito al contempo a scrivania/banco di scuola/ripiano per cucina/…? Perché mai le norme di tutela della salute sul posto di lavoro dovrebbero valere se siamo smart? E poi, se a essere infelice, all’interno delle mura domestiche, fosse addirittura il contesto familiare? Non sarà certo compito del datore di lavoro risolvere questo genere di problemi!

Quanto all’obiettivo di conciliazione vita-lavoro, non si prevedono condizioni: finché il risultato non sarà raggiunto neppure il diritto alla disconnessione sarà guadagnato.

D’altronde sappiamo che, a completamento di uno stile di lavoro smart, gli immobili aziendali adibiti a spazi comuni vengono oggi impostati su modelli nordamericani impersonali e asettici dove il lavoratore, rigorosamente collocato in uno spazio “open”, possa sentirsi costantemente monitorato, non ritrovare più il suo posto e meglio percepire tutta la precarietà della sua posizione; fin oltre la soglia del bagno che, dotato di sottili pareti, possa limitare anche questa libertà esclusivamente individuale.

All’Art. 4 Cost. “ogni cittadino ha il dovere di svolgere una attività o funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”: se il progresso della società si misura in tagli al costo del personale, allora ci siamo; ogni singolo lavoratore smart si accolla la propria quota di costi, fino a oggi di competenza del datore di lavoro, in cambio di una flessibilità non contrattata. Consoliamoci, almeno alcuni dei portatori di interesse vedranno distribuiti più soddisfacenti bonus e utili. E lì dove non troveremo forte il senso di appartenenza aziendale, quanto l’interesse dei pochi informati potrà marciare incontrastato su quelle che saranno le spoglie dei molti che non potranno vedere né sentire?

Fino ad oggi non eravamo certo prossimi al mondo solidaristicamente ideale perché fisicamente vicini ma, mi chiedo, se sarà invece questa, in quanto animali sociali, la strada che vi ci accosterà.

Sempre più focalizzato sulla propria fetta di attività, un lavoratore potrà ampliare lo sguardo all’insieme delle attività lavorative della struttura e scalarvi i gradini di un’anelata carriera o, dopo un’esasperata smart-rincorsa, si scoprirà semplice stringitore di bulloni in una catena di montaggio dei tempi ultramoderni?

E’ verosimile attenderci che la parcellizzazione degli obiettivi del lavoratore incontri malcelati propositi di tacita transizione da contrattazione salariale collettiva a retribuzione a cottimo, dove le ferie sono loro e la malattia è tua. Chissà se la coscienza di classe ritroverà forma proprio con la frammentazione e “casalingazzione” del lavoro. E la spirale si avvita…

Tempi eccezionali ed emergenziali richiedono risposte elastiche nel qui e ora ma non possono diventare viatico per la definizione senza contraddittorio di una “nuova vita” collettiva. E arriviamo ai mantra #stateacasa e #vitanuova: SW per decreto, SW per tutti, per tempo indefinito, che con i virus non si può mai sapere…

E giù di approfondimenti di chiarissimi giornalisti e specialisti che ci ricordano i vantaggi dello stare a casa (prendiamoci cura delle nostre famiglie, spostiamoci e inquiniamo di meno,…) corroborando la tesi con risultati di “studi scientifici” condotti, su un capione di chi ha deliberatamente optato per lo SW, da osservatori che, da quanto si può pubblicamente evincere ma questo dai divulgatori tv non viene rappresentato, mi pare capire stiano a libro paga delle stesse multinazionali che promuovono lo SW (che da dagli osservanti vengono a loro volta formate e premiate…): +15% incremento produttività per lavoratore, -20% assenteismo, +80% miglioramento tra lavoro e vita privata, -30% costi di gestione.

Era il 2018 e l’Osservatorio del Politecnico di Milano la definiva una rivoluzione “la cui diffusione va accelerata e promossa e che deve diventare un modo di lavorare. Lo SW, nelle PMI, stenta a decollare causa uno zoccolo duro di disinformazione e resistenza culturali”. Insomma, causa la nostra barbarie culturale vuoi vedere che non sappiamo cogliere i grandi vantaggi che ci vengono generosamente e altruisticamente elargiti per una vita nuova, e una vita bella?

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