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Sinn invoca il Cigno Nero di Savona, ma per la Brexit. (di Viola Ferrante)

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All’indomani del raggiunto compromesso sul DEF tra il governo italiano e la Commissione europea, il giornale Die Welt ha titolato “Un giorno nero come la pece per l’Europa” un articolo in cui critica aspramente l’UE che avrebbe ceduto al ricatto e alle provocazioni del nuovo governo che ha smentito le promesse fatte da Gentiloni di ridurre allo 0,8 il deficit pubblico, mettendo così in serio pericolo la stabilità dell’eurozona, mandando un segnale negativo a quei paesi che invece si sono adeguati e che ora potrebbero alzare la testa a spese della Germania. “L’Europa non è una macchina per la ridistribuzione della ricchezza a spese dei tedeschi” e ancora,”L’euro è stato indebolito dalla vittoria di Pirro di Roma.” L’opinione pubblica tedesca è stata sottoposta per mesi alle minacce e avvisi tuonanti dei Commissari EU e dei politici tedeschi contro l’Italia populista come il simpatico Oettinger che oggi chiede la procedura di infrazione contro la Francia dell’amico Macron che sforerà per la decima volta il tetto del 3,0%, difesa però da Moscovici.

L’UE oggi non gode proprio di ottima salute, ma secondo il vate economico tedesco Hans-Werner Sinn che pure non ha lesinato forti critiche alla direzione politica del governo gialloverde, il peggio per l’Europa ed in particolare per la sua Germania deve ancora arrivare e si chiama BREXIT.

In una lectio magistralis tenuta all’università di Monaco ha esordito così: “Chi dopo il 29 marzo pensa di poter continuare come se nulla fosse accaduto, non ha capito le dimensioni del problema. La Gran Bretagna (GB) non è un paese qualsiasi, ma la seconda economia più grande d’Europa, un gigante che lascerà un buco non facile da riempire“. Ricorda che fu la stessa Germania negli anni sessanta a volere gli inglesi nell’allora CEE, fatto che garantì non solo un’espansione economica tedesca enorme ma in egual modo la protezione militare di due superpotenze (Francia e GB) che portò ad una riduzione significativa dei costi per la difesa della nazione. “Immaginate se dopo la Brexit, l’Iran cominci a minacciarci con le sue armi nucleari. Dovremmo andare in ginocchio dai Francesi a chiedere protezione, e questo è un tema di grande importanza assolutamente assente nel dibattito europeo“. Inoltre il “deal” raggiunto con la May non è un accordo vero, contrariamente a quanto viene proclamato in pubblico, ma regola una fase di transizione per la negoziazione fino al 2020, possibile fino al 2022, senza cambiamenti sostanziali. Trascorso questo periodo, nel caso in cui non si raggiunga nessun accordo sui futuri rapporti con la GB entrerà in vigore quanto deciso il 25 novembre scorso e che il parlamento inglese dovrebbe approvare, in cui si prevede per esempio, che l’Irlanda del Nord rimane nel Mercato unico e il resto della GB nell’Unione Doganale (quindi libera circolazione solo per le merci). Insomma un “accordo provvisorio” che si spera non diventi mai definitivo, ma che rende impossibile un SÌ da parte dei britannici, pena la dissoluzione del Regno Unito.

Il cigno nero di Savona si abbatterà sulla Germania e sull’Europa.

Al di là dell’analisi dei pro e contra per gli inglesi, per i tedeschi e per l’UE non si prevedono effetti positivi dopo la Brexit, ma una vera catastrofe sia economica che politica in quanto “l’ordine postbellico viene ad essere completamente modificato”. Il Regno Unito è grande quanto i 19 più piccoli paesi dell’UE messi insieme. La sua uscita ha quindi economicamente lo stesso significato dell’uscita di 19 dei 28 paesi dell’UE. La prima conseguenza dal punto di vista tedesco è che la clausola sulla minoranza di blocco nel Consiglio dei ministri dell’UE, che è sancita dal trattato di Lisbona, dovrebbe essere modificata. È suo infatti l’appello dell’agosto scorso al Cancelliere Kurz di portare avanti l’iniziativa di revisione della stessa durante il semestre austriaco. Questa clausola afferma che le risoluzioni possono essere bloccate da un gruppo di paesi che comprende il 35% della popolazione. Finora, i paesi del nord, vale a dire la Gran Bretagna, l’Olanda, la Germania, l’Austria e i paesi fino all’estremo nord, riunivano il 39% della popolazione, mentre i paesi del Mediterraneo arrivavano al 38%. Quindi entrambi i gruppi avevano una “minoranza di blocco”, il che esprimeva un equilibrio di potere. Non si poteva imporre nulla che non piacesse a uno dei gruppi. Senza la Gran Bretagna, il gruppo settentrionale scivola al 30% e perde la minoranza di blocco, mentre il gruppo degli stati mediterranei di cui fa parte anche la Francia e che sono in parte fortemente indebitati, sale al 43%. Uno squilibrio molto pericoloso per il ruolo ancora egemonico della Germania nel Consiglio dei Ministri e nello scacchiere europeo, dal momento che “i paesi del Sud Europa hanno un’altra visione della politica economica rispetto ai paesi del Nord dovuta alla non concorrenzialità delle loro industrie. La mia prognosi è che non nei prossimi 4-5 anni ma nei prossimi 40 anni l’UE non si svilupperà come una roccaforte commerciale ma andrà verso un’unione doganale in cui ogni paese metterà dazi d’importazione per proteggere i propri prodotti, cosicché si ridurrà il volume delle esportazioni e il più grande perdente in questo nuovo mondo di barriere commerciali sarà la Germania, il paese maggiormente integrato nel sistema delle esportazioni.” La fine dell’UE come la conosciamo oggi.

Sinn rimprovera all’UE il non aver accettato la proposta della May di volere la libera circolazione delle merci e dei servizi (secondo le regole dell’UE) ma non delle persone. Una posizione che lui ritiene economicamente sbagliata, perché dà l’impressione di una volontà punitiva nei confronti di un paese che ha deciso di abbandonare la Comunità, un segnale negativo che sembra disegnare l’UE come una prigione da cui non si può evadere e non un’unione a cui ogni membro prende parte attivamente e liberamente.

La Brexit a suo parere fu scatenata dal rifiuto della Merkel di aiutare Cameron quando questi chiese di poter attuare una riforma sociale nel suo paese che modificasse l’accesso ai migranti comunitari al sistema welfare inglese che rappresentava una calamita per i cittadini provienti da paesi in crisi economica come la Grecia e l’Italia, ma in contrasto con i diritti sanciti dal Trattato di Maastricht. Lo costrinse a tornare in patria a mani vuote e a perdere il referendum. Un errore storico! Un altro errore della Merkel è di non fare una proposta per impedire agli inglesi di lasciare l’UE ed evitare così l’inevitabile catastrofe, nonostante l’aiuto ricevuto dalla Corte Europea che permette alla GB di annullare unilateralmente l’applicazione dell’art.50. E la proposta ai suoi occhi è proprio quella rifiutata a Cameron!

Il problema BCE

L’altro pericolo per la sopravvivenza dell’eurozona è secondo Sinn il ruolo e lo status della BCE che con il suo QE ha provocato il conflitto con gli USA di Trump che accusa la politica monetaria ed economica di Draghi di manipolazione dei cambi che ha provocato implicazioni internazionali nel momento in cui ha cercato di stimolare l’economia dell’eurozona a discapito altri paesi, valicando i limiti del suo mandato. Oggi lui suggerisce una riforma strutturale della BCE che preveda non solo la fine del programma di QE ma anche la sua inversione. E non basta. L’intera costruzione della BCE deve essere riformata secondo i suoi desiderata come segue: Primo: attribuzione dei diritti di voto in base alla responsabilità degli Stati. Secondo, i saldi Target tra i paesi dell’eurozona devono essere estinti al fine di rincarare l’accesso alle stampanti nazionali dell’euro. “La Germania non può più presentarsi come un negozio self-service nel sistema di fatturazione delle banche centrali, dove è possibile qualsiasi scrittura senza mai dover pagare”. “L’Europa ha di nuovo bisogno di una politica monetaria, come svolgeva una volta la Bundesbank. Una politica monetaria aderente al suo mandato e che non sfrutta la sua indipendenza per perseguire una politica economica democraticamente non controllata i cui effetti vanno ben oltre a ciò a cui i tecnocrati riuniti nel Consiglio direttivo della BCE possono rispondere.”

Viola Ferrante


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