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Siamo in una Caporetto permanente (A.M. Rinaldi)

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Proprio oggi, 24 ottobre 2017, ricorre il centenario dell’inizio della battaglia di Caporetto che si concluse diciannove giorni dopo il 12 novembre con la disfatta del Regio Esercito italiano. Lasciammo sul campo circa 13.000 morti, 30.000 feriti e furono fatti prigionieri 265.000 soldati in quella che possiamo considerare come la più disastrosa sconfitta mai subita da genti italiche.

Personalmente quella battaglia mi lega emotivamente ai racconti di mio nonno paterno Antonio, classe 1898, allora giovanissimo sottotenente al comando di un plotone di genieri che si sacrificò rimanendo aldilà del Piave nella protezione di quello che era rimasto dell’esercito in frettolosa e scomposta ritirata. In quella vera e propria carneficina ebbe la fortuna di cadere prigioniero e condotto nel campo di concentramento di Innsbruck dove vi rimase per un anno intero fino a quanto “la vittoria non sciolse le ali al vento”! Fu decorato e promosso tenente per il coraggio dimostrato e ci teneva nel raccontarmi che, a guerra terminata, quando la domenica passeggiava in uniforme con la medaglia sul petto per via del Corso a Roma con sottobraccio quella signorina che sarebbe poi diventata mia nonna, la gente che incrociava si toglieva il cappello in segno di rispetto e gratitudine.

Questo per dirvi che era fiero e orgoglioso di essere italiano e di aver fatto, senza mai esitare un istante, tutto quanto era nelle sue possibilità pur di difendere il suo Paese.

Ma Caporetto oltre a sinonimo entrato nel gergo comune come disastro, ha anche un altro fortissimo e profondo significato: fu talmente una sconfitta cocente, al punto che l’Italia era data per spacciata, che fece scattare un fortissimo sentimento di orgoglio nazionale, una sorta di volontà di riscatto per la tremenda umiliazione subita.

Il Comandante in capo dell’esercito Luigi Cadorna fu sostituito con Armando Diaz il quale, in un gigantesco sforzo di riorganizzazione  reso possibile per il coinvolgimento emotivo dell’intera nazione, riuscì, esattamente un anno dopo, a ribaltare definitamente le sorti della guerra a Vittorio Veneto.

Possiamo tranquillamente affermare che se non ci fosse stato Caporetto non ci sarebbe stata neanche Vittorio Veneto tanto per ribadire che le vittorie sono sempre figlie di precedenti sconfitte.

L’amarezza nel constatare che oggi, dopo cento anni da quei terribili eventi, è che allora il Paese seppe reagire a una pesantissima sconfitta in un formidabile scatto d’orgoglio, mentre ora si è completamente perso qualsiasi sentimento di riscatto nazionale in una situazione che sta rischiando il completo annientamento dell’identità e sopravvivenza nazionale. Siamo completamente supini e arrendevoli di fronte a una Europa che ha sostituito gli interessi dei cittadini per quelle delle lobby industriali e finanziarie e la tragedia peggiore che nessuno si ribella come se fossimo tutti anestetizzati e segnati da un destino irreversibile. L’attuale nostra classe politica dirigente se si fosse ritrovata a coprire le gerarchie militari di allora sarebbe stata senza esitazioni passata per le armi per alto tradimento e collaborazionismo mentre oggi continua imperterrita  a collezionare cocenti sconfitte a danno del Paese e dei cittadini.

Abbiamo come allora bisogno di tracciare una linea del Piave invalicabile oltre il quale non cedere neanche di un millimetro, mettere un argine a cui non indietreggiare per nessun motivo. Oggi il Piave si chiama Costituzione e se fossimo governati da persone con gli attributi disposti ad attuarla e rispettarla invece di rinnegarla al primo rigurgito di Bruxelles, Francoforte o Berlino, come cent’anni fa potremmo riscattarci e riprenderci con orgoglio il Paese.

Insomma allora i nostri padri seppero reagire a un disastro che minacciava seriamente la stessa identità del Paese, mentre ora siamo indifferenti a qualsiasi azione che sta portando inesorabilmente alla sua dissoluzione e stessa sopravvivenza. Praticamente viviamo in una Caporetto permanente senza nessuna speranza di riscatto, mentre 100 anni fa riuscirono con uno sforzo gigantesco  comune a reagire con una splendida e risolutiva vittoria.

È giunto il momento, come allora, di destituire al più presto gli artefici di chi ci ha ridotto in queste condizioni che ci sta facendo sempre più sembrare una Colonia rispetto a uno Stato Sovrano e affidarci finalmente a valide persone che facciano realmente gli interessi del Paese e non quelli degli altri. Non si tratta di essere populisti ma di non passare completamente per fessi!

È possibile che solo io abbia avuto un nonno che ha saputo trasmettermi un sano e genuino orgoglio di essere italiano?

AMR

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