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“Siamo già in guerra con la Cina”: l’allarme da Palau che scuote il Pacifico

Una piccola nazione del Pacifico lancia l’allarme: “Siamo in guerra con la Cina”. Pechino usa turismo e crimine per espandersi, mentre l’Occidente risponde a corrente alternata. Ecco cosa sta succedendo davvero nello scacchiere geostrategico più caldo del pianeta.

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Sembra una frase da film, e invece è il grido d’allarme, terribilmente reale, lanciato dal presidente di un piccolo stato insulare che si trova esattamente sulla faglia dello scontro tra potenze: Palau. Surangel Whipps Jr., presidente di questa nazione chiave nella cosiddetta “Seconda catena di isole“, ha dichiarato senza mezzi termini che il suo Paese è “già in guerra con la Cina” e sotto la sua “costante minaccia“. Parole che da Washington a Canberra dovrebbero far suonare più di un campanello.

Parlando alle Hawaii, prima del Forum delle Isole del Pacifico, Whipps Jr. ha aggiunto un dettaglio non da poco: “il modo migliore per combattere questa situazione è attraverso la partnership con nazioni che la pensano allo stesso modo, che credono che la pace derivi dalla forza e che la presenza sia deterrenza”. Un invito neanche troppo velato agli Stati Uniti e ai suoi alleati a fare di più, a “esserci”.

Dove si trova Palau

La frustrazione di Palau non nasce dal nulla. Mentre Pechino riesce a far valere il suo peso su altri stati della regione, come le Isole Salomone (che hanno prontamente escluso Taiwan, USA e Giappone dall’ultimo meeting), Palau rimane uno dei tre baluardi nel Pacifico a riconoscere ancora Taipei. Ma questa fedeltà ha un costo. Il presidente Whipps ha più volte denunciato le tattiche coercitive cinesi, un manuale di “guerra non convenzionale” che include:

  • L’arma del turismo: La Cina ha prima incentivato la dipendenza economica di Palau dal turismo cinese, per poi chiudere i rubinetti a suo piacimento come forma di pressione economica. Un classico esempio di come Pechino trasformi i legami economici in armi politiche.
  • Infiltrazioni criminali: Organizzazioni criminali transnazionali legati alla Cina sono sempre più attivi nell’arcipelago, minando la stabilità interna.
  • Acquisizioni strategiche: Sviluppatori cinesi stanno acquistando terreni strategicamente importanti, spesso vicino a siti di valore per gli Stati Uniti.
  • Pressione diplomatica: Continue e martellanti richieste di abbandonare il riconoscimento di Taiwan.

Di fronte a questo assalto multidimensionale, la reazione occidentale appare, come spesso accade, a corrente alternata. Se da un lato l’appello di Palau rappresenta un’occasione d’oro per rafforzare le alleanze, dall’altro giungono notizie di un’amministrazione statunitense che valuta la possibilità di ridurre la propria presenza diplomatica nella regione, chiudendo consolati o imponendo divieti di viaggio. Una mossa che, secondo diversi analisti, minerebbe la fiducia proprio nel momento del bisogno.

Soldato australiano in Nuova Guinea – – Fonte Alto commissariato australiano

Canberra, che è direttamente coinvolta nella regione, ha una visione diversa. L’Australia, la potenza regionale più vicina, sembra aver colto la gravità della situazione. È infatti in dirittura d’arrivo la firma di un trattato di difesa reciproca con la Papua Nuova Guinea, un accordo che il ministro della difesa di Port Moresby ha definito rivoluzionario, parlando di “forze totalmente integrate” con quelle australiane. Un passo che segna un nuovo capitolo nella politica di difesa della nazione e che indica una volontà di irrigidire la linea contro l’espansionismo cinese.

Anche qui, però, non tutte le ciambelle riescono col buco. Un accordo simile tra Australia e Vanuatu è stato bloccato all’ultimo minuto, secondo molti a causa delle interferenze cinesi, soprattutto di carattere economico finanziario. Pechino, che ha finanziato generosamente le infrastrutture di Vanuatu, sa come riscuotere la sua “gratitudine”.

La partita nel Pacifico è dunque apertissima. Da un lato, una Cina metodica e spregiudicata che avanza pezzo per pezzo sulla scacchiera. Dall’altro, un Occidente che risponde con iniziative importanti ma talvolta contraddittorie. Le parole del presidente di Palau sono un test di realtà: c’è ancora la volontà politica di difendere un ordine basato sulle regole, o si lascerà che il vuoto venga riempito dalla “diplomazia” del più forte? Ci sono ancora i mezzi per farlo?

Palau – Unsplash

Domande e Risposte

  1. Perché la dichiarazione del presidente di Palau è così significativa?

La dichiarazione è fondamentale perché trasforma un concetto astratto di “competizione tra grandi potenze” in una realtà tangibile e urgente. Proviene da un leader che vive quotidianamente sulla propria pelle la pressione cinese. La sua importanza è amplificata dalla posizione geostrategica di Palau, parte della “Seconda catena di isole”, una linea di contenimento cruciale per le ambizioni navali cinesi. Non è un’analisi di un think tank, ma un grido di aiuto da parte di un alleato in prima linea, che mette l’Occidente di fronte alle proprie responsabilità.

  1. Quali sono le ricadute concrete dell’influenza cinese sulle piccole nazioni del Pacifico?

Le ricadute sono profonde e minano la sovranità stessa di queste nazioni. Economicamente, si crea una dipendenza strategica che Pechino può usare come arma di ricatto. Politicamente, la pressione per isolare Taiwan e allinearsi agli interessi cinesi erode la loro autonomia in politica estera. A livello sociale, l’infiltrazione di organizzazioni criminali e la corruzione legata a grandi progetti infrastrutturali possono destabilizzare governi e società. Infine, c’è la dimensione militare: la concessione di accessi portuali o la costruzione di strutture “dual-use” può alterare permanentemente l’equilibrio della sicurezza regionale.

  1. In che modo l’Occidente, e in particolare gli USA e l’Australia, possono rispondere efficacemente?

La risposta più efficace, come suggerito dallo stesso presidente di Palau, si basa su due pilastri: presenza e affidabilità. “Presenza” significa un impegno militare e diplomatico visibile e costante, che agisca da deterrente e rassicuri gli alleati. “Affidabilità” significa offrire partnership economiche e di sicurezza che siano vantaggiose e rispettose della sovranità locale, in netto contrasto con il modello predatorio cinese. Accordi come quello tra Australia e Papua Nuova Guinea sono la strada giusta, ma devono essere accompagnati da un impegno diplomatico coerente, evitando segnali di disimpegno che creerebbero solo vuoti pronti per essere riempiti da Pechino.

E tu cosa ne pensi?

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