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SI PUO’ PIANGERE SULL’ “UNITA’ “?

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Il bon ton vuole che, ogni volta che chiude un giornale, ci si improvvisi prefiche. Anche se di quel giornale si è sempre detto peste e corna. Il principio è che tutte le voci sono utili per la completezza dell’informazione. E comunque, anche ad essere inaccettabili, dimostrano quella libertà di stampa che è presidio centrale della democrazia.

Tutto ciò dovrebbe valere anche per l’ “Unità”,  che oltre tutto ha una lunga storia. È stato fondato da Antonio Gramsci nel 1924, ed è stato il giornale ufficiale del Pci. Il più grande partito comunista del mondo libero che era stanco di essere tale. E tuttavia sulla morte di questo foglio sarà pure lecito non versare neanche una lacrima.

Molti attribuiscono a Voltaire d’avere sostenuto questa regola di tolleranza: “Non sono d’accordo con te, ma sono disposto a battermi fino alla morte per sostenere il tuo diritto di esprimerla”. Può darsi che sia una citazione di fantasia – come quell’ “Elementare, Watson”, che non si trova in nessun libro di Arthur Conan Doyle – ma, che l’abbia formulato o no Voltaire, è un eccellente principio democratico. E tuttavia anche i principi hanno dei limiti. In particolare non ci si può spingere fino ai applaudire chi ha lottato contro la democrazia ed ha tentato di togliercela.

L’ “Unità” non è stata l’organo di un partito qualunque. È stato un giornale che ha scientemente ingannato i suoi lettori con menzogne colossali. Ha cercato di farci rifiutare quel piano Marshall che tanto ci aiutò nella ricostruzione. Ha parlato di Stalin come di un benefattore, uno dei più grandi dell’umanità. Ha trattato il “sospetto” dei gulag come di una calunnia, e le “purghe” degli Anni Trenta come di un meritorio fenomeno giudiziario. Ha per anni descritto la vita nell’Unione Sovietica come il paradiso dei lavoratori, in piena libertà e in piena prosperità, mentre la realtà, che i dirigenti non potevano non conoscere era che la Russia intera era una prigione a cielo aperto in cui, salvo ad essere membri importanti del partito, si faceva la fame. E tutto questo è continuato anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. Alla morte di Stalin, e poco prima che perfino il Segretario del P.c.u.s. ne rivelasse la natura orrendamente criminale, l’ “Unità” lo ha glorificato in modo tale che ancora tutti ce lo ricordiamo. E non contenta, tre anni dopo, mentre i carri armati sovietici soffocavano nel sangue la rivoluzione ungherese, l’ “Unità” (e Giorgio Napolitano con essa) sostenevano che quella non era una rivoluzione di popolo, era un movimento di terroristi controrivoluzionari sovvenzionati dall’Occidente per abbattere un governo voluto dal popolo.

L’ “Unità” ha per molti decenni sostenuto le tesi più sballate, dannose, calunniose e a volte persino criminali che si potessero immaginare. E ciò malgrado è stata seguita come un vangelo da chi era disposto a chiudere gli occhi sulla realtà. Come scriveva ironicamente Giovannino Guareschi, per negare un fatto bastava dire: “Compagno, l’ “Unità” non lo dice”. E quel quotidiano ha a lungo vagheggiato che anche in Italia si instaurasse, come a Bucarest o a Varsavia, un governo fantoccio agli ordini di Mosca.

Non si può rimpiangere la morte dell’ “Unità”, che fra l’altro, a giudicare dai precedenti, non è nemmeno detto che sia definitiva: quel giornale è già resuscitato due o tre volte. Se oggi muore ancora una volta è perché annientato dal disinteresse dei lettori e dai debiti non pagati. Inutile titolare “Hanno ucciso l’ “Unità””. Innanzi tutto perché, se vogliamo parlare di delitti, è più grave il crimine da esso commesso per decenni,  assassinando la verità al seguito di quell’altro spudorato giornale che si chiamava appunto “Verità” (Pravda, in russo). E poi non è stato affatto “assassinato”: è soltanto divenuto irrilevante. Si è rivelato un alfiere di idee valide quanto la teoria del flogisto. Se avesse continuato a vendere centinaia di migliaia di copie, come negli anni Ottanta del secolo scorso, non avrebbe certo chiuso.

È una sorta di ironia del destino che lo faccia chiudere quel mercato che Marx aborriva, dimostrando ancora una volta che la realtà economica può essere comunista soltanto se sostenuta dalla forza. In quel caso, riesce anche ad imporre il giornale del partito.

I nipoti di Togliatti, che oggi lo piangono, dovrebbero rendersi conto che l’ “Unità” è l’eco sopravvissuta di una storia e di una mentalità che hanno fatto troppo male ai poveri  e ai lavoratori per essere perdonate.

Solo chi è molto giovane, e comunque soltanto chi non ha conosciuto l’ “Unità” degli anni d’oro, può considerarla un giornale qualunque. Chi ha vissuto quegli anni oggi sarebbe piuttosto disposto a piangere sulla chiusura di un giornale pornografico che sul giornale fondato da Antonio Gramsci.

Gianni Pardo, [email protected]

30 luglio 2014


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