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Si fa presto a dire CINA (di Marco Minossi)

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Da alcune situazioni, stanno emergendo i primi segnali da tenere d’occhio per il nuovo anno, e quelli che riguardano le relazioni di business dell’Occidente con la Cina stanno facendo la parte del leone o, se preferite, del dragone.

Va precisato che certi accadimenti non ci colgono proprio di sorpresa, a seguito della nota vicenda della comunicazione baldanzosa e pressapochista adottata sul finire dello scorso anno a Shanghai da Dolce e Gabbana, per rimediare alla quale la soluzione delle scuse autopunitive è risultata peggiore della gaffe: quest’ultima, infatti, andava a compromettere un singolo evento, mentre l’atteggiamento reo successivamente esibito sul Web danneggia probabilmente la Maison nella sua generale reputation. In pratica, una toppa che rimane visibile sui pantaloni…e che pantaloni!

Avevamo commentato che la carenza nel marketing interculturale era tipicamente italiana, ma ci sbagliavamo, come un altro episodio avrebbe dovuto farci capire: l’arresto avvenuto in Canada, ma su mandato di Trump, della responsabile finanziaria (ma soprattutto figlia del fondatore) di Huawei, Meng Wanzhou. Un atto all’opposto del video auto-apologetico dei celebri stilisti italiani: non scuse, ma direttamente punizione, pesante dispetto ritorsivo da parte di chi sta perdendo colpi nel mercato asiatico. Potremmo chiamarlo “nervosismo da inferiorità percepita”.

Ed ecco, per venire al punto, i dati della seconda giornata borsistica dell’anno a Wall Street.

Apple Inc. vede il proprio titolo cedere di brutto a causa di un under-consensus di ricavi pari a 84 miliardi di dollari, contro gli 89-93 stimati dagli analisti, nel primo trimestre del nuovo anno fiscale americano. Il freno glielo tira proprio la Cina ma, contrariamente a quanto si sostiene superficialmente, la causa vera non é il rallentamento a sua volta del PIL (che sarà statisticizzato a Pechino per il 2018 in crescita tra un 6 ed un 6,5 per cento), bensì le inadeguatezze di funzioni e di prezzo dell’iPhone – il prodotto top runner della Apple – rispetto ai desideri e alle aspettative dei cinesi, e rispetto a Huawei. (C’è già tantissima letteratura su quali siano le funzioni, le fruizioni e le applicazioni che in Cina vengono poco gradite, per cui non vale la pena fare massa con esse in questo articolo). Carenze di marketing a tutti gli effetti, quindi: essere un Brand – anche tra i primi al mondo – non esime mai dal fare ricerche di mercato, di prodotto, di nicchie, di specificità. Ti orienti sui millennial e ti dimentichi del perennial (come li chiama Giulia Ceriani di Baba Ricerche di Mercato); e poi, soprattutto, la potenza della tua Marca ti abbaglia, e trascuri che i clienti cinesi sono differenti da tutti gli altri. Il Brand ha un effetto boomerang inesorabile, se sbagli paghi di più, non di meno; se sei quotato in Borsa, la “sanzione” del mercato ti va direttamente in conto-capitale!

E poi, fresche fresche di questo nuovo anno, ci sono le notizie sul concorrente cinese di Starbucks, il re mondiale del caffè (si, proprio quello che si è bellamente insediato anche in Italia, dove il caffè si lavora e si prepara come da nessun’altra parte del pianeta).

La Start-Up cinese Luckin Coffee sta seriamente facendo riconsiderare al colosso americano la bontà non solo delle proprie bevande per i gusti dei cinesi stessi, ma anche dei propri investimenti in loco (anche qui, dati, problematiche e sottovalutazioni nei servizi – come ad esempio i tempi di attesa e le consegne a domicilio – sono riportati in vastissima letteratura stampa e Web di questi giorni, inutile ripeterli).

E allora, stilo una piccola check-list di qualche insegnamento da trarre, sperando che risulti gradita anche a chi legge.

  1. Essere un Brand – oltre ogni limite – impegna, e mai disimpegna;

  2. Fare business con la Cina senza avere un’organizzazione interna attrezzata su lingua, cultura, usi e costumi locali (nel senso anche delle Province) è utopia; avere qualche transaction di compravendita iniziale di successo non vuol dire nulla, per loro sono solo dei test, ed il castigo sarà inesorabile;

  3. Rispetto a certi mercati, come la Russia e – per l’appunto – la Cina, minacce e sanzioni avranno sempre un effetto boomerang molto forte sui loro attuatori. Ciò, non (solo) per questioni dimensionali di questi due Paesi, ma soprattutto per il fatto che essi corrono, accelerano, mentre il vecchio Occidente – USA più Europa – al massimo cammina veloce. Ad esempio, il recente avviso di Putin sui rischi nucleari per il blocco dell’Ovest è stato un messaggio di portata tecnologica, non militare. Noi, che non conosciamo il russo, lo traduciamo così: “Voi ci fate i dispetti e ci isolate, ma guardate che noi siamo tanto, ma tanto avanti!”.

Marco Minossi


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