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SI CAMBI SUBITO IL MECCANISMO D’ASTA DEI TITOLI PUBBLICI di F. Dragoni e A. M. Rinaldi

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Nel 1981 l’allora ministro del tesoro Beniamino Andreatta “sollevò, con la famosa lettera del 12 febbraio, la Banca d’Italia guidata da Carlo Azeglio Ciampi dall’obbligo “d’intervento” nelle aste dei titoli pubblici. Da quel momento fino al 1994 -data convenzionalmente identificata nella storia politica italiana con l’arrivo della cosiddetta Seconda Repubblica-  il debito pubblico sarebbe praticamente raddoppiato dal 58,5% al 120% del PIL.

Se sulle cause di quella traumatica esplosione del debito nessun dubbio è ormai sollevabile -visto che l’impatto della spesa per interessi praticamente triplicò passando dal 4% al 12% del PIL- e in pochi hanno attribuito gran parte delle responsabilità alla modifica “tecnica” che,assieme al cosiddetto divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro, avrebbe avuto impatti traumatici nelle aste di titoli pubblici. Si consentì il più colossale trasferimento di ricchezza ai danni dello Stato ed in favore dei suoi creditori grazie alle disposizioni concordate fra Andreatta e Ciampi senza passare nelle aule del Parlamento così come si è sempre convenuto in democrazia. Un’importante questione politica -l’intesa fra Tesoro e Banca d’Italia- colpevolmente derubricata come semplicemente tecnica.    

La “polpetta avvelenata” di quell’accordo (altro che divorzio!), non fu soltanto il venir meno dell’obbligatorietà d’intervento della Banca Centrale all’atto dell’emissione dei titoli di Stato, quanto soprattutto il nuovo meccanismo adottato con l’introduzione del prezzo marginale in asta. Questo dettaglio, quasi sempre trascurato e sottovalutato, fu la vera causa del disastro.

Gli operatori, con marginali quantitativi sapientemente non acquistati (non sapremo mai chi lo suggerì al duo Andreatta-Ciampi), potevano ottenere il tasso più alto su tutto l’ammontare dell’emissione sebbene già assegnati precedentemente a tassi inferiori!

Ad esempio, se una emissione per 100 miliardi di lire di BTP veniva soddisfatta al tasso 5% per 97 miliardi e per i restanti residui 3 a 5,5%, tutti e 100 i miliardi dell’emissione venivano assegnati alla fine allo stesso tasso del 5,5%!

Il tema è tornato di attualità dopo la rivelazione di MF nella rubrica Contrarian del 31 agosto scorso che riportava come la Germania ancora oggi, diversamente da quanto avviene in Italia, attribuisca alla Bundesbank la facoltà di intervenire in asta acquistando i titoli che il mercato non accetta al rendimento stabilito per l’emissione e classificando gli stessi in “conto future vendite” per poi collocarli comodamente sul secondario. Un escamotage che consente astutamente ai tedeschi disuperare l’assurdo divieto per le banche centrali di finanziare in ogni forma i governi come tassativamente vietato dall’art.101 di Maastricht (art.123 TUEF).

In un momento di particolare tensione sui tassi di interesse, accompagnato dall’allargamento nella forbice dei rendimenti fra BTP e Bund, serve quindi un immediato ripensamento (a) del ruolo di Via Nazionale che dovrebbe avere la facoltà di intervenire in asta acquistando i titoli in “conto future vendite” al pari della BUBA qualora i rendimenti in asta siano superiori agli obiettivi di costo prefissati (b) e contemporaneamente del meccanismo di asta dei titoli pluriennali ipotizzando che il sistema delle aste competitive valido per i BOT a 3, 6 e 12 mesi (e che rappresentano poco più del 5% del nostro stock di debito pubblico) sia sostanzialmente esteso a tutti gli altri strumenti emessi dal Tesoro: BTP e CCT in primis. Si faccia sì quindi che questi ultimi siano assegnati ai singoli intermediari ai prezzi dagli stessi offerti e non al prezzo marginale più basso, cioè al tasso più alto. Un sistema a prezzi discriminati cui peraltro Francia e Germania uniformano l’intera gestione del proprio debito. Come èinfatti possibile che in presenza di una domanda di BTP praticamente doppia rispetto all’offerta i prezzi degli stessi siano in costante discesa (ed i rendimenti in conseguente salita)? La classica legge della domanda e dell’offerta viene in questo modo inverosimilmentecapovolta. Nell’ultimo periodo questa situazione bizzarra veniva nascosta dalla circostanza che la BCE,nell’ambito del QE, era di fatto il quasi unico acquirente sul secondario dei nostri titoli indirizzando pertanto il mercato ed i relativi prezzi già in sede di emissione. Ma oggi con la prospettata chiusura del Quantitative Easing,  le iniezioni di “morfina” monetaria stanno progressivamente esaurendo i loro effetti. E’ quanto meno auspicabile una modifica tecnica immediata che potrebbe efficacemente integrare un piano antispread che ad esempio preveda che i risparmiatori italiani siano esentati dalla ritenuta del 12,5% sugli interessi qualora i titoli di debito pubblico in portafoglio siano detenuti per oltre un certo periodo di tempo (immaginiamo 18/24mesi per i quinquennali, 36/48 per i decennali, 5 anni per le scadenze più lunghe e per i BOT direttamente la scadenza) con ciò assicurando agli stessi le stesse prerogative offerte già ora agli investitori esteriindipendentemente dal periodo di detenzione. Insomma se è vero che abbiamo il terzo debito pubblico del pianeta che almeno lo si gestisca con l’intelligenza che merita ben consci comunque che il presidente Mario Draghi dopo avere concepito ed attuato, nonostante mille difficoltà, la più coraggiosa e creativa operazione di alleggerimento quantitativo, non potrà in ogni casorimanere inattivo assistendo a pericolose tensioni che potrebbero minare l’intera eurozona. Quindi quale miglior provvedimento correttivo tecnico per ridurre il costo del sostentamento del debito per un governo di vero cambiamento?

Fabio Dragoni e Antonio M. Rinaldi, MF, 4 settembre 2018


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