Economia
Shutdown USA: la “diga” dei Democratici si rompe. Otto senatori mollano il capogruppo Schumer per riaprire il governo
Shutdown USA: La linea dura di Schumer crolla. Otto democratici, incluso il vice Durbin, si uniscono ai repubblicani per riaprire il governo, ma ottengono poco o nulla sull’Obamacare.

Dopo 40 giorni di paralisi, qualcosa si muove a Washington. Lo shutdown del governo federale, ormai una maratona estenuante, potrebbe essere vicino alla fine. Domenica, un gruppo di senatori Democratici ha rotto gli indugi, unendosi ai Repubblicani per sbloccare l’impasse e votare un piano per riaprire l’amministrazione.
Un segnale chiaro che la linea dura del leader della minoranza, Chuck Schumer, sta perdendo pezzi proprio quando lo stallo entra nel suo quarantesimo giorno.
La notizia del giorno è la “defezione” di otto senatori Dem, che hanno di fatto scavalcato il loro capogruppo per votare con il GOP. Non si tratta di nomi qualunque. Nella lista troviamo:
- Angus King (I-Maine)
- John Fetterman (D-Pa.)
- Catherine Cortez Masto (D-Nev.)
- Jeanne Shaheen (D-N.H.)
- Maggie Hassan (D-N.H.)
- Jacky Rosen (D-N.M.)
- Tim Kaine (D-Va.)
- Dick Durbin (D-Ill.), addirittura il numero due Democratico al Senato.
Perché questo cambio di rotta? I Democratici avevano tenuto il blocco per settimane, chiedendo come condizione imprescindibile un accordo solido per estendere i sussidi dell’Obamacare in scadenza. La loro strategia, però, non ha prodotto risultati.
Come ha ammesso candidamente Angus King: “La domanda era: lo shutdown ci aiuta a ottenere l’estensione dei crediti d’imposta? Il nostro giudizio è stato che non lo farà”. Dopo quasi sette settimane di tentativi inutili, la realtà ha bussato alla porta.
Il magro bottino dei “traditori”
I Democratici che hanno rotto il fronte hanno di fatto accettato un compromesso con poco o nulla in tasca sul fronte sanitario.
Certo, la nuova risoluzione (CR) garantisce il pagamento degli stipendi arretrati ai lavoratori federali (ci mancherebbe altro) e annulla alcuni licenziamenti dell’amministrazione Trump. Ma sull’Obamacare? Il vuoto, o quasi. Del resto la controffensiva dei Trump (paghiamo i cittadini, non le assicurazioni) ha tolto loro il terreno.
Il leader della maggioranza repubblicana, John Thune, ha semplicemente garantito che metterà ai voti la proposta sui sussidi… entro la seconda settimana di dicembre. Un voto che, tutti sanno, è destinato a fallire.
In pratica, i Democratici hanno tenuto in ostaggio il governo per 40 giorni per ottenere la garanzia di un voto (che perderanno). Però i dipendenti federali stavano pagando un prezzo carissimo, troppo caro, per le battaglie politiche di Shumer e della sinistra estrema, mentre si rischiava la paralisi dei voli alla vigilia del Thanksgiving, la festa del ringraziamento. Un capolavoro di strategia politica.
Le reazioni: Schumer furioso, Sanders apocalittico
Ovviamente, Schumer, il capogruppo democratico al Senato non l’ha presa bene. Ha accusato i Repubblicani di essere “contro qualsiasi riforma sanitaria” e ha definito la crisi “devastante”. Del resto la sua posizione è stata sorpassata e l’azione del partito democratico annullata.
Dall’ala sinistra del partito, le reazioni sono state ancora più dure. Il senatore Bernie Sanders ha tuonato che sarebbe un “errore terrificante” cedere ora, arrivando a dire che “se i Democratici cedono… darà a Donald Trump il via libera per andare verso l’autoritarismo”.
Parole forti, forse un tantino esagerate per una questione di sussidi sanitari, ma utili per infiammare la base elettorale.
Cosa succede ora?
La strada per la riapertura ufficiale è comunque ancora lunga. Il voto di domenica è solo il primo passo di una serie di voti procedurali al Senato. Successivamente, la palla passerà alla Camera, prima di arrivare sulla scrivania del Presidente Donald Trump.
L’obiettivo è riaprire il governo fino al 30 gennaio 2026. Un orizzonte temporale lungo che, nelle speranze dei legislatori più pragmatici (come il repubblicano John Hoeven), servirà a evitare un’altra “CR” (Continuing Resolution) o, peggio, un mostruoso “omnibus” che ingloba tutte le 12 leggi di spesa in un unico pacchetto. Il teatrino di Washington, insomma, chiude un atto ma si prepara già al prossimo.
Domande e risposte
Perché alcuni Democratici hanno cambiato idea sullo shutdown? Dopo 40 giorni di blocco, un gruppo di senatori democratici moderati ha giudicato che la strategia del “muro contro muro” non stesse portando ad alcun risultato. Hanno capito che continuare lo shutdown non avrebbe costretto i Repubblicani a cedere sull’estensione dei sussidi sanitari (Obamacare) e che la paralisi stava diventando politicamente insostenibile, senza peraltro ottenere risultati concreti. Hanno quindi preferito sbloccare la situazione piuttosto che continuare un braccio di ferro infruttuoso.
Cosa hanno ottenuto i Democratici in cambio della riapertura? Molto poco. Hanno ottenuto la garanzia che i lavoratori federali riceveranno gli stipendi arretrati e che alcuni licenziamenti decisi dall’amministrazione Trump saranno annullati. Sul punto chiave, l’Obamacare, hanno ottenuto solo la promessa di un voto al Senato entro dicembre. Si tratta di una concessione puramente formale, poiché tutti sanno che quel voto non ha i numeri per passare e sarà bocciato. In sostanza, hanno ceduto quasi senza contropartite significative.
Quindi lo shutdown è ufficialmente finito? Non ancora. Il voto di domenica è stato solo il primo passo procedurale al Senato per sbloccare l’iter. La legislazione modificata deve ora completare tutti i passaggi al Senato, poi essere approvata anche dalla Camera dei Rappresentanti (dove potrebbero esserci altri ostacoli) e, infine, essere firmata dal Presidente Donald Trump per diventare legge e riaprire ufficialmente il governo. La strada è ancora lunga, anche se l’ostacolo maggiore sembra superato.








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