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Semiconduttori: lo “strumento incredibile” cinese che abbatte i difetti del 99%

Un team di ricercatori cinesi ha svelato quello che gli addetti ai lavori hanno già definito un “fancy tool”, uno “strumento incredibile”, capace di individuare la fonte dei difetti di fabbricazione durante la produzione di microchip. Secondo il team, questa nuova tecnologia può ridurre gli errori fino al 99%, segnando un potenziale salto di qualità enorme per la produzione nazionale di semiconduttori di Pechino.
Attualmente, uno dei passaggi più delicati nella creazione di chip è la fotolitografia. In termini semplici, si tratta di usare la luce per “stampare” circuiti incredibilmente piccoli su wafer di silicio.
Si può paragonare questo processo allo sviluppo di una sorta di fotografia microscopica. Durante questa fase, i dispositivi di litografia stendono un photoresist (un liquido sensibile alla luce) sul wafer. Successivamente, la luce ultravioletta viene proiettata attraverso una maschera modellata, che funge da “progetto” del circuito. Infine, le macchine sviluppano chimicamente il photoresist in modo che alcune aree si dissolvano e altre rimangano.
Ciò che resta agisce come uno stencil protettivo per i passaggi successivi, come l’incisione (etching) del metallo o del silicio. Per quanto efficiente, questo processo può portare, e porta, a seri problemi.
La “scatola nera” della litografia
Il problema sorge durante la fase di sviluppo. Il photoresist, sciogliendosi, non si comporta sempre in modo ordinato. Parte del materiale disciolto tende ad aggregarsi in particelle microscopiche che possono riattaccarsi al wafer.
Queste particelle causano difetti critici—ponti, interruzioni o bordi irregolari—che rovinano i chip. Nelle produzioni più avanzate (nodi a 5 nanometri o inferiori), una minuscola particella da 30 nanometri (circa 1/3.000 dello spessore di un capello) può distruggere un circuito e rendere il chip inutilizzabile.
Questo si traduce in perdite ingenti. Fino ad ora, i produttori non potevano vedere esattamente cosa stesse accadendo all’interno di quel liquido di sviluppo; era, a tutti gli effetti, una scatola nera. L’ottimizzazione si basava su costosi processi di trial-and-error.
L’uovo di Colombo: “congelare” il processo
Per aprire questa scatola nera, il team del professor Peng Hailin (delle università di Pechino, Tsinghua e Hong Kong) ha utilizzato una tecnica normalmente riservata alla biologia: la criomicroscopia elettronica a tomografia (Cryo-ET).
Hanno letteralmente congelato il processo chimico a metà azione. Dopo aver esposto e sviluppato un wafer, hanno raffreddato rapidamente lo sviluppatore a -175°C, bloccando tutto sul posto. Successivamente, hanno utilizzato la tomografia elettronica per ricostruire una visione 3D a livello molecolare.
Questo ha permesso loro di osservare come si comportano realmente i polimeri del photoresist durante lo sviluppo. E, per la prima volta, hanno visto cosa andava storto.
Hanno scoperto che le molecole del photoresist si aggrovigliano “come spaghetti” a causa di deboli interazioni idrofobiche. Questi grovigli crescono fino a diventare le famigerate particelle da 30-40 nm.
Ma la scoperta chiave è un’altra: circa il 70% di queste molecole non si scioglie correttamente nel liquido, ma rimane “appeso” all’interfaccia aria-liquido. Quando il wafer viene risciacquato, questi grumi si ridepositano sulla superficie, causando i difetti.
La soluzione (quasi banale) e l’impatto economico
Sulla base di queste scoperte, il team ha ideato due correzioni, entrambe compatibili con le attuali linee di fabbricazione dei chip:
- Alzare la temperatura: Hanno proposto di aumentare leggermente la temperatura di “cottura” (bake) dopo l’esposizione. Questo riduce la capacità dei polimeri di aggrovigliarsi in primo luogo.
- Modificare il risciacquo: Hanno ottimizzato il processo di risciacquo per “intrappolare” i polimeri sull’interfaccia aria-liquido, alterando il flusso in modo che li spazzi via prima che possano riattaccarsi al wafer.
Quando hanno testato la soluzione, il numero di difetti sui wafer da 12 pollici (30,5 cm) è crollato di oltre il 99%, ottenendo di fatto una qualità litografica quasi perfetta.
Questa svolta ha implicazioni economiche evidenti. Il mercato globale dei photoresist ha raggiunto i 6,3 miliardi di dollari nel 2024 e si prevede che raggiungerà i 10 miliardi entro il 2030. Attualmente, questo mercato è un oligopolio: i primi cinque fornitori (principalmente da Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud) dominano circa il 90%.
Questa innovazione, se confermata su scala industriale, potrebbe consentire alla Cina di ridurre i costi, aumentare drasticamente le rese e, forse, di entrare prepotentemente nel settore di alta gamma dei photoresist, finora dominato dai suoi rivali geopolitici.
Domande e risposte
Perché questo problema è stato così difficile da risolvere fino ad ora?
Il problema era la scala. L’intero processo di sviluppo del photoresist avviene a livello molecolare in pochi secondi. Era letteralmente una “scatola nera” perché non esistevano strumenti in grado di “fotografare” cosa accadeva all’interno del liquido in tempo reale. I produttori potevano solo analizzare i difetti dopo che si erano formati e tentare di correggerli per tentativi, un processo lento e costosissimo.
Cosa c’entra la biologia con i microchip?
La tecnica utilizzata, la Cryo-ET, è stata presa in prestito dalla biologia strutturale, dove viene usata per studiare la forma 3D di proteine e virus. L’idea dei ricercatori è stata quella di trattare i polimeri chimici del photoresist come se fossero molecole biologiche. Congelandoli istantaneamente a -175°C, hanno “fermato il tempo”, permettendo al microscopio elettronico di mappare la loro struttura 3D senza che questa venisse distrutta.
Qual è il vero impatto di questa scoperta?
L’impatto è duplice. A breve termine, per i produttori, significa un potenziale aumento drammatico della resa (yield), cioè della percentuale di chip funzionanti per ogni wafer. Questo abbatte i costi di produzione. A lungo termine, specialmente per la Cina, significa una maggiore indipendenza tecnologica. Padroneggiare un aspetto così critico della litografia permette a Pechino di ridurre la sua dipendenza dai fornitori esteri (USA, Giappone, Corea) in un settore altamente strategico.









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