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Attualità

Secondo Galiani siamo proprio “ruinati” – di R. SALOMONE MEGNA

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Ma chi è Galiani?
Bene. Ferdinando Galiani, noto come l’abate Galiani, è uno studioso settecentesco nato a Chieti nel 1728 e che, allievo del Genovesi, si è formato a Napoli, anche studiando l’opera di Giovan Battista Vico.

L’abate Galiani è da sempre universalmente ritenuto tra i massimi economisti di ogni tempo.
La sua opera più importante è un trattato intitolato “ Della Moneta “, pubblicato in Napoli nel 1751 quando aveva ventitrè anni.
L’opera fu scritta in italiano, anche se nel testo ci sono frequenti citazioni di autori latini e greci, senza alcuna traduzione a fronte il che la rendeva fruibile solo da parte di un pubblico costituito da dotti e sapienti.

È generalmente ricordato per aver anticipato di oltre un secolo, rispetto alla nascita dell’economia neoclassica marginalista, la soluzione al cosiddetto paradosso del valore “dell’acqua e del diamante”, che Adam Smith, suo contemporaneo, non seppe individuare.
Riuscì nella soluzione al problema grazie alla combinazione del concetto di utilità e di rarità dei beni che altri autori, predecessori o contemporanei, non avevano saputo elaborare.
Ma in realtà Galiani in “Della Moneta” affermava tante altre cose.
Recentemente ho avuto il piacere di leggere quest’opera e mi ha colpito la sua estrema attualità, perché nel testo l’autore affrontò alcuni aspetti che oggi affliggono l’economia italiana.
Eccone un fulgido esempio :

“Quando uno Stato perde la sua moneta, è come un artefice, che nell’estrema indigenza vende gl’istrumenti dell’arte sua. Allora egli è per sempre ruinato, non avendo danaro per ricomprare i ferri, né ferri per acquistar, travagliando il danaro.”

Riporto di seguito il suo pensiero in italiano corrente:

“Quando uno Stato perde la propria moneta, è come un artigiano che, caduto in povertà, vende gli strumenti del mestiere. Sarà rovinato per sempre, poiché non avrà più i soldi per ricomprare gli attrezzi, né gli attrezzi per guadagnare il denaro lavorando.”

Se fosse stato noto questo lapalissiano principio a coloro che ci hanno sprofondato nel baratro della moneta comune e della Banca Centrale Europea indipendente, costoro avrebbero avuto qualche remora in più e forse non avrebbero imposto come condizione prodromica la privatizzazione delle grande aziende di stato che, mutatis mutandis, era come vendere “gl’istrumenti dell’arte”.
Ma forse non è così. Le scelte sono state operate scientemente, anche se si sapeva come sarebbe andata a finire già nel lontano 1751.

Galiani, consigliere economico di Carlo e Ferdinando di Barbone, non avrebbe mai suggerito una tale scelta ed in ogni caso, anche se lo avesse fatto, i Borboni non avrebbero mai imposto sofferenze ai loro amati sudditi.
A noi, cittadini italiani, ma sudditi della U.E., purtroppo non viene risparmiato nulla da politicanti vili e traditori a servizio di lobbies economiche apolidi.
Intelligenti pauca!


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