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SE IL PDR GOVERNA INVECE DI REGNARE

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Sul Corriere della Sera Michele Ainis fa un profilo del nuovo Presidente della Repubblica, ma lo fa in negativo, per così dire. Indica piuttosto come non dovrebbe essere che come dovrebbe essere. E dal momento che parecchi dei precedenti Presidenti hanno costituito brutte sorprese, la sua idea è che è meglio non scegliere una personalità scolorita. Meglio sapere che cosa bisogna aspettarsi, piuttosto che scoprire un lupo che non si conosceva sotto il pelo dell’agnello che si credeva di conoscere, come nel caso di Oscar Luigi Scalfaro.

La tesi è plausibile, ma la colpa degli inconvenienti va attribuita ai Presidenti soltanto in minima parte: i colpevoli sono gli italiani, proni all’immagine del potere, se aureolata di ieratica sacralità.

Ancora oggi, tanti secoli dopo, i congiurati che uccisero Cesare sono giudicati negativamente, nella storia come nell’arte. Si pensi a Shakespeare. E tuttavia Bruto e Cassio non erano spregevoli: volevano preservare la Repubblica, ma commisero l’errore di reputare il pericolo più imminente di quanto non fosse e di non vedere che comunque un mutamento di regime era inevitabile.  La Repubblica era divenuta tanto grande da essere meglio governata da un princeps che dal Senato. Il portato della loro azione infatti non fu un’autentica restaurazione ma l’inizio dell’Impero, con Ottaviano Augusto. Anche se questo abile autocrate – conscio dell’esigenza di libertà dei quiriti – ebbe fiuto sufficiente per comandare con l’autorevolezza più che con l’autorità, e sempre formalmente inchinandosi dinanzi al Senato.

La tirannide da un lato, o il  rispetto del singolo dall’altro, non cadono dal cielo. Non sono il risultato delle leggi che il popolo si dà, sono il risultato del suo temperamento. Moltissime nazioni, anche quando hanno ottenuto la democrazia e il diritto di voto, si affidano presto ad un uomo forte, perché in fin dei conti il regime che preferiscono è la dittatura. Mentre altri popoli sono così allergici ad essa che non solo non sono mai stati governati da autocrati ma, nei brevi periodi in cui ciò si è rischiato, si sono mostrati molto preoccupati per questa deviazione dalla retta via. Non soltanto Cromwell non fece certo l’unanimità, ma poco tempo dopo la sua morte l’Inghilterra tornò alla monarchia. Naturalmente, una monarchia in cui il re aveva ben chiari  i limiti del suo potere.

Nel caso dei Presidenti italiani, è inutile andare a rileggere ciò che stabilisce la Costituzione. Molto più importante è il fatto che, una volta eletti, per il popolo italiano, ed anche per il disincantato mondo politico, è come se essi fossero gli Unti del Signore. Come se, con una novella Pentecoste, fosse scesa su di loro la costante illuminazione dello Spirito Santo. Prima erano personaggi qualunque, pressoché ignorati; scaduto il mandato, ridivengono personaggi qualunque, pressoché ignorati. Durante i magici sette anni, qualunque cosa dicano viene accolta con rispetto. Ogni parola viene discussa e reputata degna di considerazione. Insomma gli si attribuisce un’autorità e una funzione di indirizzo che non soltanto non si trova affatto nella legge costituzionale, ma trova paragone soltanto nei responsi della Pizia.

Se gli italiani fossero allergici al potere personale quanto lo sono gli inglesi, accoglierebbero con fastidio le idee di qualcuno che il popolo non ha eletto, che non è responsabile di fronte agli elettori, e che spesso è dichiaratamente parziale, data la sua chiara e inequivocabile provenienza politica. Invece da noi si parla senza vergogna di “governi presidenziali”, mentre l’unica legittimazione deriva – e deve derivare – dal voto di fiducia in Parlamento. Per il governo in carica, ad esempio, si è affermato senza arrossire che esso è stato guidato in tandem dal Primo Ministro e dal Presidente della Repubblica.

Nessuno vuole atteggiarsi a Bruto o Cassio, ma c’è di che essere scandalizzati, e in particolare stupiti per la corrività dei politici. Ma probabilmente è anche vero che, se non tenessero conto delle parole dell’inquilino del Quirinale, se non manifestassero il più grande rispetto per ciò che egli predica, sarebbero aggrediti dai giornali e dai loro stessi elettori. Tanto forte è la voglia di monarchia del Paese. Non sono i Presidenti colpevoli di andare oltre il mandato loro affidato dalla Costituzione: sono coloro che – dimentichi del detto di Lord Acton, secondo il quale il potere assoluto fatalmente corrompe chi può esercitarlo – non gli chiedono di regnare soltanto, ma di governare.

Il problema, per quanto riguarda i Presidenti della Repubblica,  più che gli eletti, sono gli elettori. Un popolo fin troppo proclive ad abbassare la testa ed obbedire.

Gianni Pardo, [email protected]

14 gennaio 2015

http://www.corriere.it/editoriali/15_gennaio_14/quirinale-chi-non-vorremmo-presidente-7bc6f18a-9bb5-11e4-96e6-24b467c58d7f.shtml

 


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