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Crisi

SE L’ITALIA POSSA USCIRE DALL’EURO

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Per quanto riguarda il possibile interesse dell’Italia ad uscire dall’euro, è ovvio che la situazione è diversa secondo che l’operazione sia effettuata in accordo con Bruxelles o perché costretti dai mercati. Il primo caso sarebbe desiderabile (ma nessuno sembra volerne parlare) il secondo potrebbe presentarsi come si presenta, non invitata, una peritonite.

Il punto di partenza è l’allarme dei mercati. Ammettiamo che, per un motivo qualunque, o anche per pura emotività, nelle Borse ci si chieda se l’Italia finirà col cessare i rimborsi in euro. Quando ciò avverrà… pardon, quando ciò avvenisse, tutti si precipiterebbero ad incassare i titoli in scadenza senza rinnovarli e molti si precipiterebbero anzi a vendere i titoli non in scadenza. Sarebbe la crisi finale. Gli investitori non comprerebbero più i titoli di nuova emissione, vendendo i quali fino ad oggi l’Italia ha pagato i circa 70 mld di euro annui di interessi sul debito sovrano. E questa somma andrebbe ricavata da nuove tasse imposte agli italiani. Per capire quanto ciò sia impossibile basti pensare che ci si è accapigliati per mesi sull’Imu: cioè per quattro, non per settanta miliardi. Il Paese sarebbe dunque costretto ad uscire dall’euro e a pagare i debiti con moneta nazionale. Consideriamo le conseguenze.

L’Italia ritorna alla lira e la propone al cambio di una Nuova Lira (NL) per un euro. I cambi internazionali ridimensionano senza complimenti questo valore, stabilendolo ad esempio che 1€=1,33 NL. E così chi sul mercato internazionale detiene euro italiani trasformati in NL subisce una perdita netta di potere d’acquisto  del 30% (con simmetrico aumento del 30%, per l’Italia, del costo delle materie prime, fra cui grano, petrolio, cotone, caffè e via dicendo).

Ma le conseguenze più impressionanti si avrebbero sul debito pubblico. Sul totale di circa 2.100 mld, il 30% circa(1) è detenuto da investitori esteri (circa 630 mld), e costoro, ricevendo NL invece di euro, in termini di potere d’acquisto perderebbero di botto circa 189 mld. Quanto tempo bisognerebbe aspettare, prima che altri investitori osino comprare titoli italiani? E quale sarebbe l’interesse richiesto?

Il 70% del debito (1.470 mld) è invece in mani italiane, e qui il caso è un po’ diverso. Infatti il 30% di svalutazione della moneta all’estero non corrisponde al 30% di inflazione all’interno. Su questa seconda percentuale influirebbero infatti, in positivo e in negativo, altri fattori.

È vero che l’Italia non pagherebbe più titoli e interessi in euro ma, non potendo contrarre nuovi debiti perché gli investitori non avrebbero fiducia nella nostra economia, e non potendo ricavare il denaro con la fiscalità, sarebbe costretta a mettere in circolo una montagna di banconote a fronte di nulla. L’ammontare dei titoli pubblici in scadenza nel 2014 è previsto in 334,46 mld(1). Questi 334,46 mld dovrebbero andare per il 30% agli investitori esteri, cioè 100,33, e per i residui 234 mld agli italiani. Anche ad ammettere che miracolosamente lo Stato riuscisse a contrarre ancora debiti per 34 mld, rimarrebbero circa duecento miliardi che sarebbero immessi come liquidità nel sistema economico italiano. Come se non bastasse, ad essi si aggiunge il 70% dei settanta miliardi di interessi pagati annualmente, cioè 49 mld, arrivando ad un totale tondo di 250 mld. Quale conseguenza ha l’introduzione in un anno di liquidità per 250 mld di NL, a fronte di nulla? Quale inflazione aggiuntiva provocherebbe?

È vero – come leggiamo nel sito citato – che il 42% del debito è detenuto da Banche, Assicurazioni e Fondi Comuni italiani; ed è vero che questi istituti potrebbero non precipitarsi a spendere il denaro (finto) che ricevono per i titoli in scadenza. Anche per non svalutarlo. Ma da un lato perderebbero la manna degli interessi (sui titoli rimborsati), dall’altro che farebbero di questo diluvio di liquidità, nel momento in cui ci sono tante “sofferenze”? E in generale, quale sarebbe l’effetto sull’inflazione?

Prendendo in considerazione l’ipotesi dell’uscita dell’Italia dalla zona euro, bisogna dunque rispondere a queste domande: 1) qual è la percentuale di svalutazione prevedibile? 2) qual è la percentuale di inflazione prevedibile? 3) qual è l’effetto dell’improvviso arricchimento delle banche (Bankitalia inclusa) a fronte dell’impoverimento delle famiglie? 4) è possibile evitare il default? E quali le conseguenze possibili di tale default?

Di solito non ci si spaventa della svalutazione – che infatti a volte è definita “competitiva” – perché l’aggiustamento, anche quando si parla del 10%, è relativamente piccolo. Ma se in un dato Paese vi è un debito astronomico, a mano a mano che i titoli vengono rimborsati non si tratta più di una svalutazione normale ma di una svalutazione che somiglia molto ad una bancarotta. Fra l’altro, non è che avendo pagato 70 mld di interessi per il primo anno il problema sia finito. L’anno seguente la somma sarebbe minore, ma lo stesso spaventosa: e sarebbe ulteriore liquidità immessa nel circuito, a fronte di nulla.

La verità è banale: l’Italia non è in grado di pagare i suoi debiti e rischia il fallimento.

G.P.

(1) https://scenarieconomici.it/chi-detiene-i-titoli-del-debito-pubblico-italiano/

(2)http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/dati_statistici/titoli_scadenza_prossimi_12_mesi/


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