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“Se l’Europa fallisce?” Un commento al libro del leader dei verdi tedeschi Joschka Fischer. Di Pietro De Sarlo.

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l’Europa fallisce?”.

Joschka è stato capo dei verdi tedeschi, è stato Ministro degli affari esteri  e vice-cancelliere nel governo di Gerhard Schröder dal 1998 al 2005. È membro del Gruppo Spinelli per il rilancio dell’Europa, ossia è un europeista convinto.

Non vi aspettate che, visto il curriculum e la nazionalità e il dibattito in corso in Italia, qualcuno a La7 e dintorni lo intervisti, o che lo inviti in trasmissione.

Rassegnatevi! Se volete farvi una opinione non tarocca su quello che accade in Italia, e nel mondo, non potete affidarvi né a La7 né ad altri talk show , ma dovete rinunciare a qualche pizza con la morosa e leggere qualche libro, come questo di Fischer.

Fatto questo tenetevi forte, le sorprese non mancheranno e sarete contenti della scelta fatta. È un libro denso, ogni pagina ha tre o quattro frasi da annotare, su cui riflettere e che spiega, con una lettura per strati sovrapposti, le ragioni della crisi di questa Europa e le responsabilità di quanto sta avvenendo. Vi sorprenderete a interrompere la lettura e a ricercare sul dorso il nome dell’autore, stupendovi di non trovare scritto Paolo Savona ma Joschka Fischer. Epperò!

Penserete: se scriveva queste cose prima dell’invio della Troika in Grecia ora cosa scriverebbe?

La prima questione che ci spiega è che le cosa andavano benino fino alla crisi dei sub-prime e il fallimento della Lehman. Questo fatto poneva fine alla sbornia collettiva dei bassi tassi di interesse che l’Europa garantiva senza che gli Stati più deboli ne avessero approfittato per investire in infrastrutture ma utilizzandoli per spingere sui consumi. Il mantra europeo di risposta alla crisi era che questa era una crisi americana e che non riguardava l’Europa. L’allora primo ministro britannico, gli inglesi di finanza qualcosa ne capiscono, Gordon Brown tentò inutilmente di spiegare ai suoi colleghi che più della metà dei titoli sub-prime era finito nelle banche europee, specialmente tedesche e francesi, e che questi investimenti si erano volatilizzati ma, ancora un anno dopo, l’allora ministro delle finanze tedesco Peter Steinbruck del governo Merkel, in parlamento giurava che non c’era nulla da temere “il nostro sistema è sano, è quello americano che è malato”.

La crisi americana diventò inevitabilmente e immediatamente una crisi del sistema bancario europeo quando il governo greco di Papandreu dichiarò che avevano “sbagliato” qualche conto e che il deficit/PIL non era del 6% ma del 13% e che si rischiava la bancarotta.

Forse le cose sarebbero andate diversamente se le banche tedesche non fossero già sull’orlo della bancarotta per i sub-prime e se non avessero prestato, insieme a quelle francesi, una marea di soldi ai greci attratti dal tasso di rendimento. Non potevano quindi aggiungere al disastro sub-prime la insolvenza greca e le sue conseguenze. Le banche italiane erano, per la cronaca, le uniche ad essere sfiorate marginalmente da entrambe le crisi anche se, come ci ricorda Fischer, anche gli italiani furono chiamati a ripagare i debiti dei greci con moneta sonante che finì direttamente alle banche tedesche e francesi.

Certo i greci avevano mentito ma le banche , di norma, quando prestano incautamente dei quattrini falliscono, ma far fallire le banche tedesche non era nelle cose!

Con questo non intendo dire che le banche europee dovevano fallire, ma che evitarlo era possibile solo con una europeizzazione della crisi e non con una gestione nazionale della stessa come hanno imposto i tedeschi.

Gli Stati Uniti e il resto del mondo superarono facilmente la burrasca ma in Europa ci siamo ancora dentro. Perché?

La tesi di Fischer è che si è fatta una moneta unica senza un governo unico e all’interno di una Eurogruppo con economie fortemente squilibrate e: “Di regola, questi sviluppi squilibrati vengono compensati da trasferimenti diretti ed indiretti di varia natura da parte di un centro politico, oppure attraverso movimenti migratori delle forze lavoro”, su questo noi italiani dovremmo saperne qualcosa visto che, per questa via, teniamo insieme l’Italia da 160 anni e più senza mai correggere, con un adeguato piano di infrastrutture, gli squilibri in essere nel nostro Paese, e, nonostante questo, abbiamo avuto e, sottotraccia, continuiamo ad avere forti spinte secessionistiche.

“… così, come strumento per combattere le crisi nazionali, rimaneva soltanto la deflazione interna, vale a dire una riduzione della spesa pubblica, comprese le pensioni, i salari e i prezzi.” , poi continua, “In questo modo, questi Paesi sono stati spinti in una spirale discendente in quanto, più si sforzavano di risparmiare, tanto più cresceva il peso del debito pregresso” e conclude “questi Paesi non riusciranno più ad uscire da questa trappola.”. I dati di Italia e Grecia confermano drammaticamente questa analisi. Dal 2010 non solo il debito pubblico in Italia è diventato meno sostenibile ma sono raddoppiate disuguaglianze e povertà.

Mettendo insieme fatti di cronaca Fischer lancia il suo atto di accusa, rivolto soprattutto alla Merkel, di non aver voluto dare una risposta europea ma di aver imposto una risposta nazionale alla crisi. “Ed è proprio questo conflitto distributivo che spinge dal basso alla rinazionalizzazione dell’Europa.” Insomma i movimenti sovranisti sono l’effetto e non la causa “dei timori di espropriazione dei ricchi popoli del nord” e di “una politica di austerità priva di prospettiva” che sembra fatta “con scopi punitivi del ricco nord e in particolare dalla Germania.”

Sull’intento moraleggiante e punitivo Fischer si sofferma a lungo. Questo intento ha fatto sicuramente parte delle modalità con cui è stata gestita la crisi greca. Lo abbiamo visto con i fatti successivi alla pubblicazione del libro, quando Shauble impose la troika ai greci con atteggiamenti vomitevoli e con una politica economica priva di senso riducendo i greci sul lastrico e in schiavitù. Gli antichi romani riducevano in schiavitù chi non pagava i debiti, le banche tedesche, invece di fallire assumendosi la propria parte di responsabilità, hanno ridotto in schiavitù i greci.

Questo atteggiamento moraleggiante trova sicuramente origine dalla natura calvinista dei popoli del nord, dove la povertà è una colpa mentre per noi cattolici è un segno del favore di Dio ed è l’unica cosa che ci assicura il Paradiso, ma Fischer spiega che forse i tedeschi non potevano proprio permettersi un atteggiamento siffatto.

Per ben due volte l’Europa, Grecia e Italia compresa, hanno cancellato i debiti di guerra della Germania. La prima volta nel 1953, che aveva rinviato il pagamento dei debiti di guerra alla improbabile riunificazione delle due Germanie, e la seconda ad unificazione avvenuta.

Forse le colpe dei tedeschi nell’ultima guerra mondiale erano inferiori a quelle odierne dei greci?

Purtroppo Fischer sembra dare a malincuore ragione a chi non voleva la riunificazione della Germania. I timori di Mitterand, della Thatcher e di Andreotti erano che invece della europeizzazione della Germania ci fosse una germanizzazione dell’Europa, cosa puntualmente avvenuta.

A causa della posizione geografica della Germania in Europa e la conseguente forza e centralità economica “La Germania è e resta troppo grande per l’Europa e troppo piccola per il mondo”. Certo, aggiungo io, che se si ridesse un minimo di centralità al Mediterraneo, con qualche pugno di infrastrutture adatte a catturare parte dei commerci con il Far East, probabilmente l’economia del Mezzogiorno Europeo migliorerebbe, con benefiche conseguenze sul progetto europeo, ma ci vorrebbe, anche in Italia, un pochettino di visione in più.

Questa condizione della Germania blocca lo sviluppo di una Europa Unita che può verificarsi solo attraverso il rispetto tra i popoli, la mancanza di volontà di predominio di un popolo sugli altri e attraverso la solidarietà tra i popoli che dovrebbe spingere a trovare soluzioni comuni a tutti i problemi che di volta in volta si presentano.

Nella visione di Fischer inoltre la gestione neoliberista di questa crisi indebolisce anche il partner naturale per la gestione dei conflitti europei della Germania che è la Francia. Tutte cose che sono mancate e che sono la causa, non la conseguenza, delle spinte di rinazionalizzazione che sono una reazione ovvia e istintiva a quanto successo.

Mentre tutto il libro sottolinea le responsabilità tedesche, e in parte francesi, nella gestione di questa crisi, anche se Fischer non lo dice esplicitamente la principale imputata della crisi europea è Angela Merkel che, al contrario di Kohl, più che imporre la propria visione del mondo e dell’Europa sembra galleggiare sulle spinte interne del popolo tedesco, come si dimostra ampiamente in questi giorni nella crisi dei migranti. Non è una leader ma una politica di modesto profilo.

Le soluzioni? Fischer individua nella costituzione di una unione Europea sul modello della unione dei cantoni in Svizzera il principale modello di soluzione. Questo però imporrebbe uno scatto di reni della politica europea che non sembra essere all’orizzonte, anche perché il ceto intellettuale europeista invece di capire, come con grande onestà intellettuale fa Fischer, le ragioni della crisi, e le sue possibili conseguenti soluzioni, si abbandona istericamente ad invettive su tutti quelli che osano sollevare qualche dubbio su un qualsiasi tema che riguarda l’Europa e le politiche europee.

Questo specialmente in Italia.

Mentre in tutto il mondo si mettono in discussione, anche all’interno del FMI, le politiche neo liberiste, causa di gran parte dei guai europei, in Italia si da ancora ascolto a Cottarelli, responsabile anche della sbagliata politica FMI sulla Grecia, e un signore, Calenda, neoliberista per storia cultura e tradizioni, si candida a rifondare la sinistra che invece, al contrario di quanto fatto sino ad ora, dovrebbe avere nella propria ragione sociale la promozione dei valori e della tradizione socialista e non di quella liberista.

La partita dell’Europa è ancora aperta ma, come afferma Fischer, sino ad ora l’Euro è stato salvato da Draghi e non dalla politica e non si capisce in futuro quali siano i leader, specialmente in Germania e Francia, in grado di rilanciare il progetto europeo. Non certo Macron, e lo si è tristemente visto recentemente all’opera, e non certo la Merkel, che galleggia sulle onde della politica interna tedesca e rischia di annegare da un momento all’altro.

Per tutto questo è utile avere nel cassetto il famoso “Piano B”, perché il Cigno Nero non è solo una invenzione retorica ma una concreta possibilità vista l’assenza di leadership europea convincente e visto che non emergono all’orizzonte leader di visione e che la rinazionalizzazione, iniziata con la crisi economica, procede sulla crisi dei migranti.

Crisi che, sia chiaro, era preesistente all’attuale governo e che era nascosta dalla sudditanza dei governi italiani che si erano fatti carico di nasconderla.

Come anche, sempre per chiarezza, la attuale apparente mancanza di solidarietà degli italiani nei confronti dei migranti è figlia della mancanza solidarietà nei confronti degli esodati, lasciati dalla Fornero a casa da un giorno all’altro senza stipendio e senza pensione, dalla mancanza di solidarietà nei confronti dei nostri giovani senza prospettive e lavoro, dalla mancanza di solidarietà nei confronti dei nostri poveri raddoppiati in cinque anni di neoliberismo, dalla mancanza di solidarietà nei confronti dei nostri fratelli greci.

Forse se, nel passato recente, invece di dire “lo chiede l’Europa”, ad ogni taglio di welfare, di investimenti e di futuro, i tanti radical chic, che danno sempre lezioni di bon ton a tutti, avessero indossato qualche maglietta rossa su ognuno di questi temi oggi sarebbero apparsi credibili nelle difesa delle ragioni dei migranti.

Grazie Joschka Fischer!


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