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“SE HANNO RAGIONE I GUFI” Tributo di Milano Finanza a Scenari Economici

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Pubblichiamo l’editoriale di MF di sabato 27 agosto 2016 a firma di Guido Salerno Aletta dal titolo “SE HANNO RAGIONE I GUFI” dove viene riconosciuta la validità delle previsioni macroeconomiche di uno studio di Scenari Economici del marzo 2013:

Esclusiva Analisi: simulazione di cosa accadrebbe con e senza EURO.

Esclusiva simulazione di cosa accadrebbe con Euro (con e senza austerity) e senza Euro

La mancata ripresa in Europa, e soprattutto in Italia, avrebbe una spiegazione: il rifiuto dell’incertezza. Mentre il rischio è accettato e valutato, non si investe, né si consuma quando ci sono troppe variabili da valutare. Questa sfiducia nel futuro sarebbe paralizzante.

E’ una spiegazione consolatoria, che non considera il caso in cui nessuno scommette sul nero quando sa già in partenza che tutte le palline nel sacchetto sono bianche. Nessuno investe quando le regole sono tali per cui la scommessa è persa in partenza, la perdita è sicura. Questo è lo schema che caratterizza l’Eurozona, come era stato ampiamente previsto in un articolo pubblicato su Scenari economici nel marzo del 2013. Si mettevano a confronto due scenari a tre anni, col mantenimento dell’euro e col ritorno alle monete nazionali in un contesto di break-up concordato. Quest’ultimo avrebbe portato ad un diverso rapporto tra le nuove monete nazionali ed il dollaro: la “nuova lira” si sarebbe svalutata del 12% rispetto al cambio euro/dollaro allora corrente (pari a 1,30), portandosi a 1,16-1,13; il “nuovo marco” si sarebbe invece rivalutato ad 1,48-1,53. Con l’euro, a tre anni, era previsto un miglioramento della bilancia dei pagamenti tedesca, con un attivo in crescita dal 6,3% al 7% del pil; di converso, nello scenario del break-up dell’euro e con la rivalutazione del “nuovo marco”, l’avanzo tedesco sarebbe stato completamente riassorbito. La Germania avrebbe subito una piccola recessione, con il pil nominale nel 2015 pari a 96, rispetto al valore di 100 nel 2012, e con un peggior rapporto debito/pil: anziché scendere al 76%, come è effettivamente accaduto, sarebbe salito al 90%. Non è un caso che la Germania sia attaccata all’euro come un paguro.

L’Italia, nel primo scenario, sarebbe passata da un disavanzo delle partite correnti dello 0,5% del pil nel 2012 ad un avanzo dell’1% negli anni successivi. Con il ritorno alla lira, in tre anni l’attivo sarebbe arrivato al 5%. Con l’euro, la crescita sarebbe stata assai faticosa, passando dal -2,4% del 2012 al -1,8% del 2013, per toccare il +0,8% solo nel 2015. Sembrano numeri profetici, visto che è effettivamente accaduto così. Col break-up, la crescita sarebbe stata più veloce, soprattutto in termini nominali, per via della maggiore inflazione importata con la svalutazione della “nuova lira” in un contesto non recessivo. Il miglioramento del rapporto debito/pil si sarebbe accelerato: con l’euro, sarebbe rimasto inchiodato al 129% del pil, con la lira sarebbe sceso al 117%.

Mentre le previsioni relative al break-up dell’euro possono essere considerate fantasiose, quelle relative al mantenimento dell’euro si sono rivelate azzeccate, assai più di quelle dei governi, sempre eccessivamente ottimisti: con orizzonte al 2015, il rapporto sarebbe stato: 114,4% secondo il Def del 2012; 125,5% nel Def del 2013; 133,3% nel Def del 2014; 132,5% nel Def del 2015; 132,7% nel Def dell’aprile scorso.

C’è un secondo aspetto. Una svalutazione sul dollaro c’è stata, indotta dalla Bce con il Qe, con il cambio dell’euro sceso da 1,30 ad 1,10. Questa svalutazione è stata più forte di quella prevista nello scenario del break-up, mentre i sui benefici sono stati più scarsi di quelli ipotizzati nello scenario del ritorno alle monete nazionali: sarebbe sbrigativo dedurne che fossero campate in aria le positive conseguenze delineate nello scenario del break-up dell’euro, così come rilevare che si è risolto in una bolla di sapone il terrorismo che si fa correlando automaticamente svalutazione ed inflazione.

La svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro non ha avuto alcuna influenza sul commercio infra-Ue, e soprattutto ha rafforzato l’avanzo strutturale commerciale tedesco extra-Ue. Non ha invece sanato gli squilibri commerciali della Francia nei confronti della Germania, mentre ha aggravato nuovamente il deficit commerciale americano verso l’Europa. Non solo l’Eurozona esportato ancor più deflazione, ma ha svalutato la propria valuta pur avendo già un attivo della bilancia dei pagamenti pari al 2/3% del suo pil, frutto prevalentemente dell’export tedesco. Ribaltando all’esterno una contraddizione tutta interna, ha aggravando lo squilibrio rappresentato dall’attivo strutturale della Germania. Peggio la toppa del buco.

C’è un terzo disincentivo agli investimenti: le riforme strutturali hanno puntato sulla maggiore competitività basata sulla riduzione del costo del lavoro e sulla flessibilità in uscita, cumulando l’attesa di un mercato interno privato sempre più striminzito alla decisione assunta con il Fiscal Compact, di politiche di bilancio restrittive nel lungo periodo. L’Europa non compete sul terreno dei nuovi e migliori prodotti e servizi, migliorando la produttività attraverso le infrastrutture anche immateriali, ma riducendo i costi. Mentre il mercato interno che si rattrappisce non ha bisogno di investimenti, la competitività sull’estero è stata drogata con la svalutazione dell’euro: cercare una spiegazione della stagnazione europea nell’incertezza psicologica suona davvero curioso.

Il quarto disincentivo alla ripresa è derivato dalla politica monetaria della Bce, che ha determinato il dilagare di tassi di interesse negativi: siamo precipitati nella tristemente famosa trappola della liquidità. Si ha addirittura la certezza di vedersi restituita una somma di denaro inferiore a quella depositata o data a prestito: in queste condizioni, è difficile che gli investimenti aumentino.

La simulazione pubblicata su Scenari Economici nel 2013 mantiene intatta ancor oggi la sua portata dirompente, non tanto perché prefigurava i supposti vantaggi di un break-up concordato dell’euro, ma perché anticipava chiaramente la situazione di stallo in cui ci siamo venuti a trovare.

Nessuno vuole passare alla Storia per il becchino dell’euro, così come nessuno ha comunque la forza di correggerne errori e difetti. L’Unione è un sistema robotizzato, come lo ha definito Giuseppe Guarino: impermeabile a qualsiasi input politico, si autodetermina attraverso regole meccaniche, inderogabili. Dal divieto di finanziamento monetario degli Stati, a quello degli aiuti di Stato alle imprese, al bail-in bancario, passando per il Fiscal Compact con la flessibilità predeterminata, ed all’ESM che deve imporre clausole di severa condizionalità. La realtà è fatta da regole che producono altre regole: una gabbia che paralizza coscienze, comportamenti, prospettive. Meglio parlare di psicologia, di crollo della fiducia, di incertezze paralizzanti: come ai vecchi tempi, “Qui non si fa politica”.

Guido Salerno Aletta, MF 27 agosto 2016


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