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SE ATENE PIANGE, L’EUROPA NON RIDE! LA CRISI DELLA LEADERSHIP DI ANGELA MERKEL. (di Paolo Becchi e Antonio M. Rinaldi)

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The Economist

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È proprio il caso di dirlo: l’elefante non è riuscito sinora a partorire neanche un topolino! La crisi greca sta ormai arrivando al suo epilogo dopo cinque anni di continui rinvii e rammendi, in cui ognuno ha cercato di tirare la coperta dalla propria parte per mettersi al sicuro dai rischi. E adesso che hanno spolpato bene l’osso, possono pure gettarlo via.

Ciò che sta emergendo non è tanto il default della stessa Grecia, quanto il totale fallimento della leadership tedesca nella conduzione dell’Europa. A errori si sono sommati errori anche peggiori e ciò che si sarebbe potuto circoscrivere abbastanza facilmente, visto che riguardava un Paese con solo il 2% del PIL dell’intera zona euro, si è invece trasformato in qualcosa di devastante. A farne le spese è stata anzitutto la credibilità di chi ha gestito, da quando si è formata l’area della moneta unica, le vicende e le sorti europee avocando a sé ogni iniziativa politica ed economica: la Germania.

Spazi e ruoli conquistati non per riconosciuta bravura, ma per la totale assenza di concorrenti, se si pensa alla sempre più debole Francia ridotta ad ancella e all’Italia privata di qualsiasi ruolo nella conduzione europea. Sono state le regole imposte per la costruzione monetaria comune – forgiata a immagine e somiglianza del marco – che hanno fatto sì che la Germania si avvantaggiasse oltre ogni modo rispetto a tutti gli altri paesi, raggiungendo così una stabilità politica ed economica sconosciuta al resto d’Europa.

Questa leadership “conquistata” non sul campo, ma esclusivamente per assenza di “concorrenza”, è messa però fortemente in crisi alla prima prova dei fatti. La stessa Troika, responsabile tecnica del disastro greco, ha seguito le “direttive” di Berlino e di Francoforte, sede non della Banca Centrale Europea, ma della Bundesbank, dal momento che l’Istituto presieduto da Draghi viene sempre più considerato come una filiale della Banca Centrale Tedesca.

I guai non sono circoscritti alle sole questioni economiche: a iniziare dal problema dei migranti per finire con quello dell’Ucraina, la crisi del modello ordoliberista è sotto gli occhi di tutti. Oggi i pericoli di contrasto con la Russia sono paradossalmente maggiori rispetto ai tempi della Guerra Fredda e solo perché chi ha avuto e tuttora detiene il ruolo chiave di leadership europea non è in grado di svolgere questa funzione e dimostra la sua totale sudditanza nei confronti degli Stati Uniti.

La Grecia, in fondo, è solo la goccia che sta facendo traboccare il vaso. Quando la Cancelliera Merkel ha agito nelle vesti di sacerdotessa europea per spegnere il fuoco greco e i tanti problemi che assillano l’Europa, ha sinora sempre miseramente fallito. Dopo aver utilizzato l’euro per imporre il modello a lei congeniale, non è riuscita a riparare i danni prodotti dalle sue testarde ricette, perché l’Europa non è fatta di finanza e banche ma soprattutto di centinaia e centinaia di milioni di cittadini! Se non è stata in grado di risolvere i problemi di un Paese che esprime l’economia di tre province italiane del Triveneto, cosa farà se la Francia, l’Italia e la Spagna avranno presto problemi analoghi?

Il concetto di un’Europa germanocentrica, al di là delle critiche che solleva in linea di principio, non funziona comunque nella pratica, perché la Merkel sta dimostrando nei fatti di non saper esercitare il ruolo che si era attribuita. Il Vecchio Continente aveva bisogno di una leadership che gli garantisse un maggior peso nello scacchiere internazionale, mentre la Cancelliera ha saputo solo aumentare quello della Germania indebolendo quasi tutti gli altri Paesi.

Ormai l’Europa è considerata non solo un colosso dai piedi d’argilla ma anche dalla testa molto piccola, perché chi si è assunto la funzione di guida al primo vero ostacolo non ha saputo proporre soluzioni idonee. Troppi interessi di parte sono stati posti come inderogabili impedendo di giungere ad una soluzione politica condivisa da tutti. Non si salva il tutto distruggendo le parti. Se adesso la Grecia uscirà dalla zona euro e addirittura dall’ Europa, dopo trattative tanto estenuanti quanto inutili, a perdere la faccia non sarà lei, ma la Germania e con essa l’Europa intera.

Insomma, se Atene piange, l’Europa non ride.

 

Paolo Becchi e Antonio M. Rinaldi


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