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Schillaci, ministro isolato: la retromarcia irrita tutti, ma che ci fa in questo governo?

La rapida marcia indietro del ministro Schillaci sulla commissione vaccini lo lascia solo. Dalle pressioni della “cupola” scientifica all’irritazione di Giorgia Meloni, fino all’indiscrezione su dimissioni respinte dal Quirinale: un caso che indispone governo ed elettori

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Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, si trova in una posizione di crescente isolamento a seguito della sua decisione di azzerare la commissione NITAG (Gruppo Tecnico Consultivo Nazionale sulle Vaccinazioni). Questa mossa, che ha comportato la revoca delle nomine di due scienziati, Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite, è avvenuta dopo una serie di “appelli e strepiti” da parte di una “cupola” di esperti, delle opposizioni e persino di parte della maggioranza.

Schillaci ha ceduto rapidamente alle pressioni, rimangiandosi le nomine a soli dieci giorni dalla loro firma. Questa decisione appare incomprensibile e autolesionista, dato che la maggioranza avrebbe voluto che il ministro rispondesse ai cittadini anziché alle pressioni della comunità scientifica, percepita come mossa da “logiche di potere e ideologiche”. Il suo comportamento è stato descritto come quello di un “don Abbondio sanitario“, pavido e prono al “pensiero unico”.

L’irritazione per la sua scelta è palpabile anche all’interno del governo. La Premier Giorgia Meloni è “irritata” per la decisione “non concordata”, dato che il governo e il premier sono sempre stati “favorevoli al confronto delle idee e al dibattito scientifico”. Nonostante Schillaci sia un ministro di riferimento di Fratelli d’Italia, il partito non ha avuto una reazione ufficiale di difesa, mentre Forza Italia e il Partito Democratico hanno espresso plauso per la revoca. Senatori di AVS, Italia Viva e M5S hanno criticato duramente la scelta iniziale e la successiva marcia indietro, e questo è normale, ma critiche forti sono giunte anche da Lega (Borghi e Bagnai) e da FdI, e questo non dovrebbe essere la normalità.

In questo contesto, circola una voce, riportata da La Verità, ma non confermata ufficialmente e smentita informalmente dal ministero stesso, secondo cui Schillaci avrebbe presentato le proprie dimissioni al Presidente della Repubblica, che sarebbero state respinte. Questa indiscrezione, se vera, solleverebbe gravi interrogativi sulla dipendenza del Ministro non dal Capo del Governo, ma dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella. L’articolo ipotizza che un “intervento diretto del capo dello Stato” possa aver garantito a Schillaci una “discreta protezione”, cosa non apprezzata dalla maggioranza. Mario Giordano, in un commento, sostiene che Schillaci non sia stato scelto dalla Meloni ma sia stato “calato dall’alto del Colle“, paragonandolo a Badoglio per la sua ritirata.

Se tale voce fosse fondata, implicherebbe che lassù sul Colle qualcuno lavora per influenzare e condizionare le decisioni in un ambito che, costituzionalmente, non rientrerebbe nelle competenze dirette del Presidente della Repubblica sulle scelte di governo, e questo con una maggioranza che non brilla per coraggio.

A questo punto la figura di Schillaci, un ministro che, a sua stessa detta, deve rispondere a “stakeholder” diversi dagli elettori, rappresentati dalla sua stessa maggioranza, diventa molto scomoda, per lo meno in  un governo che vorrebbe essere politico, non tecnico. Questo mette in discussione la coerenza della volontà della Meloni di tenere i ministri fino alla fine del mandato con la performance e l’allineamento di Schillaci. La sua incapacità di resistere alle pressioni interne ed esterne mina la sua credibilità e la capacità di portare avanti una linea politica concordata con la maggioranza.


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