Energia
Scacco alla Serbia: Scattano le sanzioni USA sulla compagnia petrolifera a controllo Russo
Crisi energetica in Serbia: Washington blocca la compagnia petrolifera a controllo russo. Ecco cosa succede ora e perché i prezzi del carburante rischiano di esplodere.

Alla fine, il nodo è venuto al pettine. Dopo una serie di rinvii che sembravano più un gioco diplomatico che una reale concessione, l’Ufficio per il Controllo dei Beni Stranieri (OFAC) degli Stati Uniti ha messo la parola fine alla licenza speciale per la Oil Industry of Serbia (NIS), l’unica raffineria di greggio del paese balcanico. La motivazione? La sua proprietà, saldamente in mani russe. Una mossa che rischia di avere conseguenze economiche e politiche non indifferenti per Belgrado, stretta in un equilibrio precario tra le sue aspirazioni europee e la sua storica dipendenza energetica da Mosca.
La NIS, già inserita nella lista nera americana a gennaio per il suo “rischio secondario” legato alla proprietà russa, ha comunicato che il Tesoro USA non ha esteso la licenza che le permetteva di operare quasi normalmente. Sebbene l’azienda abbia rassicurato di avere scorte sufficienti per il momento, la mossa di Washington rappresenta un duro colpo. Le sanzioni mirano, ufficialmente, a tagliare i fondi che le compagnie energetiche russe potrebbero usare per finanziare il conflitto in Ucraina. Un obiettivo nobile sulla carta, che però mette in una posizione scomodissima il governo serbo.
Il presidente Aleksandar Vucic ha usato toni netti: “Non abbiamo più nulla da discutere con gli americani. Gli Stati Uniti hanno imposto la loro volontà e l’Europa la seguirà”. Una dichiarazione che certifica l’impasse di una nazione che, pur condannando l’invasione russa in sede ONU, si è sempre rifiutata di aderire alle sanzioni occidentali, anche per via di una dipendenza quasi totale dal gas di Mosca.
Un valzer di azionisti per evitare le sanzioni
La struttura proprietaria della NIS è stata oggetto di diversi “aggiustamenti” nel tentativo di schivare il colpo, ma la sostanza non è cambiata. La proprietà rimane prevalentemente russa, rendendo quasi inevitabile la decisione americana.
Ecco la composizione attuale dell’azionariato:
- Gazprom Neft (sussidiaria di Gazprom): 44,9%
- Stato della Serbia: 29,9%
- Sussidiaria di Gazprom (con sede a San Pietroburgo): 11,3%
- Piccoli azionisti: quota rimanente
Nonostante i tentativi di diluizione, il controllo di fatto resta legato al Cremlino. L’ipotesi di una nazionalizzazione era già stata respinta seccamente da Vucic a gennaio, che aveva dichiarato di non voler “partecipare al sequestro di proprietà russe”.
Le conseguenze ora sono tutte da valutare. Gli esperti del settore prevedono un impatto diretto sulle consegne di greggio, un probabile aumento dei prezzi alla pompa e difficoltà nell’export di carburante. La NIS, infatti, fornisce oltre l’80% di diesel e benzina al mercato serbo e le sue attività si estendono anche ai paesi vicini come Croazia, Bosnia-Erzegovina, Romania e Bulgaria. Se per i paesi della UE vi è la possibilità di rivolgersi a forniture nei paesi confinanti, dalla Grecia all’Italia, per la Bosnia Ezegovina e per la stessa Serbia che non sono parte della UE, la situazione può diventare molto più complicata.
In questo scenario, si è inserita la Croazia, che si è offerta di acquistare la NIS. Una proposta interessante, quasi da manuale di economia keynesiana in salsa balcanica, su cui Belgrado per ora tace, mna che sarà costretta a considerare. In questo caso un ex nemico nella guerra yougoslava diventerà un quasi alleatoi nel risolvere un problema altrimenti di difficile soluzione, ma renderebbe la Serbia dipendente da una gestione croata, con una perdita d’autonomia.
Domande e Risposte
1. Quali saranno le conseguenze immediate per i cittadini serbi? L’impatto più probabile nel breve termine sarà l’aumento dei prezzi di benzina e diesel. Sebbene il governo e la NIS abbiano assicurato di avere riserve sufficienti per un certo periodo, le difficoltà operative e di approvvigionamento si tradurranno quasi certamente in costi maggiori per i consumatori. Inoltre, potrebbero sorgere problemi per tutte le transazioni finanziarie legate alla compagnia, costringendo il settore bancario a interrompere ogni rapporto per non essere a sua volta sanzionato, con possibili ripercussioni sulla stabilità economica generale del paese.
2. Perché gli Stati Uniti hanno sanzionato la NIS proprio ora, dopo tanti rinvii? La decisione di non rinnovare la licenza speciale, dopo otto rinvii, è un segnale politico forte. Washington intende aumentare la pressione su due fronti: da un lato, colpire gli interessi economici russi legati all’energia per limitare la loro capacità di finanziare il conflitto in Ucraina; dall’altro, spingere la Serbia a un allineamento più deciso con le politiche occidentali. I ripetuti rinvii potevano essere interpretati come un tentativo di dare a Belgrado il tempo di trovare una soluzione, ma la pazienza, evidentemente, è finita.
3. La Serbia potrebbe nazionalizzare la NIS o venderla per risolvere il problema? La nazionalizzazione è stata esclusa dal presidente Vucic, che la considera un “sequestro di proprietà russe”, una mossa che romperebbe i legami con Mosca. La vendita, invece, è un’opzione sul tavolo, come dimostra l’offerta della Croazia. Tuttavia, una tale decisione sarebbe politicamente complessa. Accettare l’offerta croata potrebbe essere visto come una resa alle pressioni occidentali e avrebbe implicazioni strategiche sull’indipendenza energetica del paese. Belgrado si trova a dover scegliere tra la lealtà storica a Mosca e la necessità pratica di garantire l’approvvigionamento energetico.

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