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Sanzioni USA, il petrolio russo in Iraq cambia padrone: gli Emirati fanno shopping, Lukoil e Rosneft costrette a cedere

RISCHIO SANZIONI: Rosneft costretta a cedere l’oleodotto strategico in Iraq. Gli Emirati Arabi (DEX Capital) fanno il colpaccio, acquisendo l’11% del KPC. Preoccupazione per Lukoil e il giacimento West Qurna-2.

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Le sanzioni internazionali, spesso presentate come strumenti chirurgici, si rivelano in realtà un potente ariete capace di riscrivere le mappe energetiche mondiali, generando vincitori inaspettati. Il bersaglio è, ancora una volta, la Russia, ma il beneficiario non è l’Occidente sanzionatore, bensì il capitale liquido e opportunista del Golfo.

L’ultimo episodio di questo grande riassetto strategico si è consumato nel Nord dell’Iraq, un’area geopoliticamente caldissima, con la cessione di una quota chiave da parte di Rosneft.

Il Diktat delle Sanzioni Ridisegna l’Export Curdo

Il colosso statale russo Rosneft ha dovuto cedere una quota dell’11% della Kurdistan Pipeline Company (KPC), la società che gestisce la cruciale rete di oleodotti per l’export del petrolio dal Kurdistan iracheno verso la Turchia.

Questa mossa non è frutto di una libera scelta strategica, ma il risultato diretto delle sanzioni statunitensi recentemente estese, mirate a colpire il presidente Vladimir Putin per il conflitto in Ucraina. La ragione è puramente tecnica e finanziaria, come spesso accade quando si tratta di compliance internazionale:

  • Rosneft ha ridotto la sua partecipazione dal 60% al 49%, scendendo strategicamente sotto la soglia del 50% che farebbe scattare automaticamente l’applicazione delle sanzioni USA sull’intera entità KPC.

  • L’acquirente è DEX Capital, una società di investimento con sede negli Emirati Arabi Uniti (EAU).

Questo rapido riassetto cambia l’equilibrio di influenza su un sistema di trasporto del petrolio fondamentale, da tempo al centro di dispute commerciali, politiche e finanziarie tra Baghdad, Erbil e gli operatori internazionali.

Lukoil nel mirino e l’opportunismo degli Emirati

Il caso Rosneft non è isolato. Le sanzioni colpiscono anche Lukoil, e le due major russe detengono asset significativi nell’industria petrolifera irachena, rendendo i limiti cruciali per le loro attività regionali.

Circolano voci insistenti sul fatto che ExxonMobil stia valutando l’acquisizione della partecipazione di Lukoil nel giacimento di West Qurna-2, nel Sud dell’Iraq, uno degli asset esteri più preziosi della compagnia russa.

Le società degli Emirati Arabi Uniti non stanno solo osservando, ma stanno attivamente approfittando della situazione. Sfruttando la liquidità e la relativa immunità dalle sanzioni occidentali, stanno presentando offerte consistenti anche per altri asset all’estero di Lukoil.

Qualsiasi ulteriore dismissione da parte delle società russe, forzata dal diktat di Washington, rappresenterebbe un mutamento profondo nel panorama upstream e dell’export iracheno, dove la partecipazione russa è stata predominante per oltre un decennio. Un chiaro esempio di come le decisioni politiche di un attore (gli USA) generino conseguenze economiche dirette che avvantaggiano capitali terzi (gli EAU) in un’ottica di vulturismo finanziario post-bellico, mentre l’Europa, come al solito, paga il prezzo del caos energetico senza ricavarne benefici strategici.

La raffineria Rosfnet di Schwedt, per la quale però la Germania ha ottenuto un’esenzione di un anno

Domande e risposte

Qual è il vero obiettivo di Rosneft nel cedere una quota così specifica? Rosneft non mirava a disinvestire completamente, bensì a “schermare” l’oleodotto KPC dalle sanzioni statunitensi. Le norme USA, infatti, estendono le restrizioni a qualsiasi entità controllata (con una partecipazione superiore al 50%) dalle società sanzionate (Rosneft e Lukoil). Riducendo la sua quota all’11% e portando il totale al 49%, Rosneft ha garantito che l’oleodotto possa continuare a operare e a ricevere finanziamenti internazionali necessari, preservando il suo valore residuo e la sua influenza senza incorrere in una paralisi operativa totale.

Perché le società degli Emirati Arabi Uniti sono in prima linea per queste acquisizioni? Le aziende degli EAU, come DEX Capital, godono di grande liquidità e di una posizione di neutralità formale rispetto al conflitto tra Russia e Occidente. Questa posizione consente loro di intervenire rapidamente, agendo come acquirenti privilegiati per asset strategici che sono di fatto in “svendita forzata” a causa delle sanzioni. L’ingresso negli oleodotti e nei giacimenti iracheni permette agli EAU di rafforzare la loro influenza energetica e geopolitica nel Medio Oriente, cogliendo opportunità di mercato a prezzi potenzialmente vantaggiosi, imposti dalla pressione politica americana.

Questo riassetto può influire sulla stabilità regionale, in particolare tra Baghdad e Erbil? Certamente. L’oleodotto KPC è da anni il fulcro delle tensioni tra il Governo Regionale del Kurdistan (Erbil) e il Governo Federale Iracheno (Baghdad) per il controllo sull’export petrolifero. Il cambio di proprietà, con l’ingresso di un attore mediorientale come DEX Capital, sposta gli equilibri di potere. Sebbene l’obiettivo immediato sia evitare le sanzioni, qualsiasi cambiamento nella governance di un asset così vitale riaccende la complessa dinamica tra le autorità curde, il governo centrale iracheno e gli interessi degli operatori internazionali, rendendo la gestione degli accordi energetici più volatile.

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