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Crisi

LA SALVEZZA DAGLIINVESTIMENTI INFRASTRUTTURALI

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Lucrezia Reichlin, sul Corriere della Sera(1), ha scritto un articolo dal titolo “Come attrarre gli investimenti”. Lo scritto è indubbiamente colto e serio, ma ha un difetto: propone soluzioni fondate su un periodo ipotetico di terzo tipo. Se tutti gli uomini portassero il cappello, come si usava intorno agli Anni Quaranta, ciò rilancerebbe un’industria e creerebbe posti di lavoro. Ma è inutile sognarlo, perché come allora senza cappello tutti si sarebbero sentiti quasi nudi, oggi chiunque, col famoso Borsalino, si sentirebbe ridicolo. Contro certe tendenze non si può vincere.

A proposito degli investimenti, l’errore della Reichlin è ancor più sorprendente perché lei stessa propone l’obiezione che distrugge la teoria. “Gli studi sugli effetti economici degli investimenti infrastrutturali, scrive, mostrano come il loro effetto sul Pil è maggiore della spesa iniziale e in qualche modo si ripaga da solo”; ma, aggiunge, questa verità media “nasconde una grande eterogeneità tra Paesi”. E alludendo all’Italia afferma: “In Paesi con istituzioni deboli, proni all’accaparramento delle risorse pubbliche e all’inefficienza, l’effetto è nullo o anche negativo. Gli scandali che ci opprimono da sempre raccontano che in Italia…” E allora è inutile concludere che “Una riforma profonda della cosa pubblica e del funzionamento delle istituzioni è dunque la chiave per la crescita in Italia”. Perché in questo caso non si tratterebbe di modificare un po’ il codice o il regolamento interno di qualche ministero: si tratterebbe di convincere gli uomini ad andare in giro col cappello.

Dopo aver ceduto una fetta di sovranità, gli italiani non diverrebbero onesti e scrupolosi. Neanche se molto sorvegliati. Già oggi mancano forse le leggi, da noi? Il problema non sono i controlli (potremmo esportarne) ma come sono applicati. E nessun trattato potrebbe modificare ciò dall’oggi al domani.

Gli investimenti infrastrutturali sono grandi opere finanziate dallo Stato, come nuove tratte ferroviarie, costruzione di aeroporti, apertura di autostrade e in generale progetti che richiedono grandi capitali. L’utile può non essere immediato, ma immediata è l’utilità in termini di incentivazione dell’attività economica: gli operai hanno un salario, gli ingegneri un onorario, i fabbricanti di materie prime hanno un’occasione di vendita e tutte le persone coinvolte potranno spendere di più, incentivando l’attività altrui.

Ottime iniziative. Se la spesa, sia pure a deficit, è una tantum, può darsi che quell’impulso faccia valanga e rimetta in moto il Paese. Ma ci sono delle obiezioni. In un Paese come l’Italia – lo dice anche la Reichlin – la grande opera è appesantita da sprechi, corruzione, lentezze burocratiche o giudiziarie. Che si rientri nelle spese è un sogno. Anche ad ammettere che altrove gli investimenti producano un beneficio, da noi non lo producono; e l’investimento in deficit – se ce lo consentissero – farebbe ulteriormente aumentare il deficit.

Che questa strada – almeno per noi – sia sbagliata, lo prova il fatto che l’Italia, seguendo una deriva socialistoide e collettivista, ha a lungo cercato soluzioni in questa direzione. E ciò ci ha condotti alla situazione attuale. Come si dice, “Abbiamo già dato”. Inoltre i trattati internazionali che abbiamo sottoscritto non ci permettono neppure di creare inflazione. Dunque è inutile continuare ad occuparsi di periodi ipotetici di terzo tipo.

Dal momento che lo Stato, non importa per quale ragione, non è in grado di operare economicamente, e dal momento che comunque il nostro Paese ha bisogno di investimenti, la soluzione è evidentemente quella di ribaltare il pregiudizio secondo cui l’imprenditore è un nemico del popolo e il suo profitto una cosa immorale. Diversamente, finché conserveremo intatti i principi di questa demonologia, gli imprenditori italiani avranno la tentazione di andare ad operare altrove e gli investitori stranieri si guarderanno bene dal venire a farsi odiare da noi.

Purtroppo, questo ragionamento soffre di una petitio principii. L’obiezione mossa alla Reichlin vale anche contro chi scrive. Perché gli italiani stendano tappeti rossi dinanzi agli imprenditori, e non stramaledicano i loro profitti, bisognerebbe cambiare le loro teste. E questo è impossibile.

La conclusione ultima è che sono inutili le discussioni sugli investimenti, infrastrutturali o no; sul rilancio dell’economia; sulla riduzione della disoccupazione; sul cambiamento del rapporto fra pil e debito pubblico e su altro ancora. Soltanto qualche grande evento traumatico scuoterà l’Italia dal suo torpore e la convincerà a cambiare rotta. Ma forse anche questa possibilità è un sogno. Marco Pannella continua a fumare come un turco, anche ora che ha il cancro a un polmone, e i suoi concittadini continuano a sperare di essere salvati da uno Stato onnipresente.

Gianni Pardo, [email protected]

15 agosto 2014

(1)http://www.corriere.it/opinioni/14_luglio_12/come-attrarre-investimenti-37067f22-0982-11e4-bfee-4a37bea40287.shtml

 


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