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Russia: disoccupazione al minimo storico del 2,1%. Il “Keynesismo di guerra” spinge l’economia, ma cosa accadrà dopo?
Record storico di occupazione a Mosca grazie all’industria bellica e agli arruolamenti. Mancano milioni di lavoratori nel settore civile: cosa accadrà quando la guerra finirà?

Mentre l’Europa si interroga sui propri tassi di crescita e sulle politiche monetarie, da Mosca arrivano dati che, letti superficialmente, farebbero l’invidia di qualsiasi cancelleria occidentale. La disoccupazione in Russia è crollata a un nuovo record storico: 2,1% a novembre 2025.
Ecco il grafico da Tradingeconomics sull’orizzonte temporale breve:
Ecco invece un grafico che mostra un profilo di medio periodo, che mostra ancora più chiaramente l’andamento della disoccupazione come influenzato dagli eventi bellici:
Un dato inferiore persino alle aspettative degli analisti, che si attendevano un 2,2%, e che conferma una tendenza ormai consolidata verso la piena occupazione. O meglio, verso una saturazione totale della forza lavoro.
I numeri del mercato del lavoro russo
I grafici forniti da Trading Economics e Rosstat non lasciano spazio a interpretazioni ambigue. La curva della disoccupazione è in picchiata costante dal 2021. Ecco i dettagli nudi e crudi dell’ultimo rilevamento:
Tasso di disoccupazione: 2,1% (minimo storico).
Disoccupati totali: Scesi a 1,636 milioni (erano 1,657 milioni a ottobre e ben 1,797 milioni un anno fa).
Disoccupazione registrata ufficialmente: Un leggero aumento tecnico a 0,352 milioni.
Siamo di fronte a un mercato del lavoro talmente “stretto” che trovare un lavoratore libero è diventata un’impresa più ardua che aggirare le sanzioni occidentali. Siamo al di sotto della cosiddetta disoccupazione frizionale, per cui le aziende sono obbligate a cercare attivamente i lavoratori.
Le cause: una “cura” economica non replicabile
Come mai la Russia, nonostante le sanzioni e l’isolamento parziale, viaggia a questi ritmi? La risposta è semplice e risiede in una forma brutale ma efficace di stimolo statale: la guerra. L’economia russa sta vivendo una fase di “Keynesismo militare”. La spesa pubblica massiccia per sostenere lo sforzo bellico in Ucraina ha drogato la domanda di lavoro.
I fattori trainanti sono essenzialmente tre:
Arruolamento militare: Un numero significativo di uomini in età lavorativa è stato assorbito dalle forze armate, attratto anche da stipendi che, per molte regioni remote della Russia, rappresentano un salto di qualità economica impensabile in tempo di pace.
Industria della difesa: Le fabbriche lavorano su tre turni. La necessità di produrre munizioni, veicoli e logistica ha costretto il complesso militare-industriale ad assumere chiunque avesse un minimo di competenza, drenando risorse dagli altri settori.
Emigrazione: Non dimentichiamo la fuga di cervelli e braccia avvenuta subito dopo il febbraio 2022. Meno lavoratori disponibili sul territorio significa, statisticamente, meno disoccupati.
Il rovescio della medaglia: la carenza cronica
Tuttavia, non è tutto oro quel che luccica. Le autorità russe stesse proiettano uno scenario preoccupante per i prossimi anni: il deficit di lavoratori potrebbe allargarsi ulteriormente, mancando all’appello tra i 2,5 e i 5 milioni di lavoratori.
Questo fenomeno sta creando un “effetto spiazzamento” classico. Il settore civile soffre. Le imprese non legate alla difesa non riescono a trovare personale o sono costrette ad aumentare i salari a livelli che erodono i margini di profitto, alimentando a loro volta spirali inflattive interne. La crescita economica, paradossalmente, rischia di fermarsi non per mancanza di domanda, ma per mancanza di chi produce l’offerta.
La vera domanda: cosa succede quando la musica finisce?
Il dato del 2,1% è indubbiamente un successo politico per il Cremlino nel breve termine, ma apre un interrogativo inquietante sul medio-lungo periodo.
L’attuale struttura occupazionale è artificiale, sostenuta da una spesa pubblica in deficit destinata alla distruzione di capitale (la guerra), non alla creazione di ricchezza produttiva. La domanda che ogni economista attento dovrebbe porsi è: cosa accadrà a guerra finita?
Quando la domanda di carri armati crollerà e i soldati torneranno dal fronte, il sistema dovrà affrontare una riconversione industriale titanica. Reinserire milioni di persone in un mercato civile che nel frattempo si è atrofizzato per mancanza di investimenti (tutti dirottati sul militare) sarà la vera sfida. La storia insegna che il passaggio da un’economia di guerra a una di pace è spesso accompagnato da recessioni dolorose e disoccupazione strutturale. Per ora la Russia festeggia il 2,1%, ma il conto, salato, potrebbe arrivare dopo.
Domande e risposte
È sostenibile una disoccupazione al 2,1% per l’economia russa? No, nel lungo termine non è sostenibile. Un tasso così basso indica un mercato del lavoro surriscaldato. La carenza di manodopera (labor shortage) strozza la crescita dei settori civili, i servizi e l’innovazione tecnologica non militare. Inoltre, costringe le aziende ad aumenti salariali che spingono l’inflazione, costringendo la Banca Centrale Russa a mantenere tassi di interesse elevati che alla lunga deprimono gli investimenti privati.
Qual è il ruolo dell’emigrazione in questi dati? L’emigrazione gioca un ruolo fondamentale e spesso sottovalutato. La fuga di centinaia di migliaia di giovani istruiti e professionisti dopo l’inizio del conflitto nel 2022 ha ridotto drasticamente l’offerta di lavoro qualificata. Questo riduce il denominatore nel calcolo della disoccupazione, abbellendo le statistiche, ma depaupera il capitale umano del Paese, riducendo la produttività futura e la capacità di diversificare l’economia oltre le materie prime e le armi.
Cosa si intende per “rischio di riconversione” post-bellica? Si riferisce allo shock economico che avviene quando lo Stato smette di acquistare armi. Le fabbriche della difesa dovranno chiudere o riconvertirsi a produzioni civili (processo costoso e lento), licenziando massa. Contemporaneamente, i reduci cercheranno impiego. Se il settore privato civile, trascurato durante la guerra, non sarà abbastanza robusto per assorbire questa manodopera, la disoccupazione potrebbe schizzare verso l’alto in pochissimo tempo, creando instabilità sociale.









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