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Riprendono i negoziati TTIP, giungeranno ad un risultato? (di Giovanni Bottazzi)

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TTIP

Nei primi mesi del 2016 lo scenario economico mondiale si presenta tra i più complicati e confusi. Il rallentamento dell’economia interessa ormai praticamente tutto il mondo e ritorna non solo in Europa lo spettro della deflazione, che sembrava un ricordo ormai lontano. Scendono i prezzi del petrolio ma, contemporaneamente, come in un inedito ossimoro, sale invece il prezzo dell’oro, il bene rifugio ricercato per il caso opposto dell’inflazione.

Le autorità monetarie, nazionali e sovranazionali, hanno ampiamente utilizzato lo strumentario a disposizione per sollecitare l’economia, ma con risultati deludenti: i tassi d’interesse sono ormai a zero o perfino negativi, i mercati sono abbondantemente irrorati di liquidità, ma le Borse segnalano incertezza e ribassi. Qualcuno è tentato di risfoderare un’arma antica, quella della svalutazione monetaria; ma con moderazione, per il timore di reazioni competitive ancora peggiori.

Nella ricerca ormai affannosa della crescita economica, i Paesi trasformatori ed esportatori di prodotti manufatti e agricoli guardano ormai alla leva delle esportazioni e per questo tentano di eliminare i residui freni all’espansione dei commerci internazionali. Gli Stati Uniti si sono fatti da tempo promotori di questo movimento liberista e quindi capofila di numerosi trattati internazionali di libero scambio, fra cui rientra anche il Trattato Transatlantico. Infatti, gli USA annoverano un costante saldo negativo della bilancia commerciale con l’Unione Europea, e in minor misura anche con l’Italia, e quindi proprio da lì vengono le sollecitazioni all’accelerazione dei negoziati.

Il Trattato Transatlantico, noto con la sigla TTIP, mira appunto a formare una grande area di libero scambio tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America. I negoziati procedono ormai da quasi tre anni, ma non sono tempi lunghi, se si pensa che ha richiesto sette anni di trattative il Trattato Transpacifico, il TPP, negoziato tra gli Stati Uniti ed un numeroso gruppo di Stati dell’area del Pacifico, il cui testo finale è stato redatto solo il 5 ottobre 2015. Da parte sua, il TTIP annovera finora 11 incontri, mentre il dodicesimo è previsto per i prossimi giorni, dal 22 al 26 febbraio corrente, a Bruxelles. Forse come non mai nell’incontro più recente, quello tenutosi a Miami nell’ottobre 2015, le posizioni contrattuali sono apparse distanti su vari punti di difficile soluzione, che verosimilmente rientreranno nelle prossime discussioni di febbraio. Poiché i dazi che colpiscono l’interscambio transatlantico sono ormai generalmente bassi, ossia pochi punti percentuali salvo casi specifici, è sull’armonizzazione della regolamentazione in tema di qualità, di sicurezza dei prodotti, di tipo di commercializzazione ecc., materie che si compendiano tecnicamente nel termine di “barriere non tariffarie”, che si punta per ridurre gli attriti ed accrescere i volumi di scambio.

A ben vedere, le difficoltà di accordo nascono dalla diversità dei princìpi a cui si inspirano i sistemi normativi sulle due sponde dell’Atlantico, Unione Europea Stati Uniti; difficile trovare il modo di far convivere due sistemi da ciascuno dei quali discendono come conseguenza logica specifiche e differenti applicazioni, senza ovviamente dover sconvolgere i sistemi stessi.

Così, un caposaldo della UE è quello della salvaguardia dell’ambiente, della salute umana e animale, che consiste nel principio di precauzione. Questo principio si applica preventivamente nel caso in cui i dati scientifici non siano sufficienti a dichiarare la pericolosità di un prodotto o di un procedimento, ma esistono solo indizi in quel senso. Il principio è contestato in ambiti più liberisti, come quello americano, che esige per il suo rifiuto la dimostrazione della pericolosità caso per caso. Tra le conseguenze più immediate che si verificano per il settore dei prodotti agroalimentari basti ricordare il caso delle carni bovine di animali allevati con ormoni della crescita, permesso in USA ma vietato in Europa; quello delle carni bianche lavate con prodotti a base di cloro, permesso in USA ma non in Europa; il caso dei prodotti agricoli OGM, largamente diffusi negli USA ma trattati diversamente in Europa, perché è stata lasciata libertà alla normativa nazionale; cosicché in alcuni Stati, come in Italia, gli OGM sono banditi. Si comprende da questi pochi cenni come i consumatori europei, ove informati, abbiano un atteggiamento di grande preoccupazione circa la possibilità che il Trattato lasci mano troppo libera alle società multinazionali di invadere il mercato europeo con prodotti non rispondenti agli attuali standard di sicurezza, che però potrebbero imporsi sul piano dei prezzi.

Ancora per il settore alimentare, un altro caso esemplare è quello delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche di provenienza. I consumatori americani non conoscono i nostri IGP e DOP; anzi, i più ritengono che le denominazioni Chianti, Marsala, Parmigiano e simili indichino semplicemente tipi di vini e di formaggi, non necessariamente legati al luogo di produzione e che, quindi, possano essere prodotti in California o nel Texas o altrove. Pertanto esistono molte produzioni estere che – non solo negli USA – fanno una pesante concorrenza ai prodotti di pregio originari grazie proprio all’Italian sounding.

In altro campo, quello delle sostanze chimiche, l’Unione Europea prevede la registrazione di tutte le sostanze prodotte o importate nella Comunità in quantità maggiori di una tonnellata per anno. Si tratta, secondo le stime comunitarie, di circa 30.000 sostanze chimiche in commercio. Rispetto alla passata legislazione in materia, la novità introdotta sta nell’inversione dell’onere della prova, visto che tocca all’industria chimica garantire, attraverso una particolare serie di test sulle materie prime, la non dannosità dei prodotti che produce e/o commercializza, liberando lo Stato membro dall’onere di legiferare per consentire la circolazione dei prodotti chimici. Nello stesso settore negli USA è competente la Food $ Drug Administration, che ha un’impostazione meno generalista e più mirata.

Occorre quindi un grosso lavoro di avvicinamento delle parti, per inventare criteri di comune accettazione. I dossier da riprendere nel prossimo giro di trattative sarebbero dunque numerosi, ma il calendario dei lavori previsto in materia è piuttosto generico: stabilisce soltanto che si cercherà di fare strada al Trattato discutendo su tutte le tre parti principali dell’accordo, ossia “accesso al mercato, cooperazione in campo normativo, norme”. Qualcosa di più preciso si apprende però dal calendario delle presentazioni delle parti interessate (imprese, associazioni, sindacati ecc.) che si saranno iscritte. E’ stato fissato per il 24 febbraio, non per il primo giorno dei lavori, verosimilmente per ridurre l’impressione di una troppo marcata dipendenza dalle lobby molto presenti, soprattutto quelle industriali. Si prevede infatti una serie di presentazioni su argomenti attinenti al TTIP, del tempo massimo di 5 minuti ciascuna, raggruppati nelle quattro sessioni simultanee seguenti:

  • prodotti industriali, inclusa la coerenza regolamentare, le barriere tecniche al commercio (TBT) e settori specifici,

  • prodotti dell’agricoltura e cibi lavorati, includendo l’accesso al mercato, le relative dichiarazioni regolamentari e le Indicazioni Geografiche

  • servizi, investimento e appalti pubblici

  • regole , sviluppo sostenibile, facilitazioni doganali e del commercio, concorrenza & società possedute dallo Stato (SOEs), diritto di proprietà intellettuale, piccole e medie imprese (SMEs), energia e materie prime grezze.

Quanto al clima generale in cui si ritroveranno i negoziatori, non si può trascurare che negli ultimi tempi è stato piuttosto teso. Pesano i rapporti tra gli Stati Uniti e la Germania, deteriorati a seguito di diverse situazioni: la controversia Datagate, lo scandalo delle auto Volkswagen con motori diesel ad omologazione truccata, le colossali multe pagate dalla Deutsche Bank a sconto di megatruffe a scapito di clienti USA. Proprio il settore degli autoveicoli era uno per i quali sembrava più vicino un accordo per eliminare differenze costruttive che accrescono pesantemente i costi per i produttori, senza nuocere in termini di sicurezza.

Nulla poi trapela circa uno di punti più controversi del Trattato: l’istituzione di un tribunale dell’arbitrato internazionale per l’investitore estero, in sigla ISDS. Nelle più recente formulazione sembrava si fosse fatto un passo avanti con l’ammissione di soli giudici togati, scelti dalle parti. Molti però pensano che la stessa possibilità di adire ad un giudice speciale lasciato al solo investitore estero costituisca un privilegio inaccettabile ed avvilente per lo Stato firmatario.

Così, contrariamente a quanto sperava fino a qualche tempo fa, sembra così ormai piuttosto dubbio che, incassato appunto il successo del parallelo trattato TTP, il presidente Obama riesca ad ascrivere anche la conclusione del TTIP al suo mandato, in via di scadenza verso la fine del corrente anno 2016. Il fatto è che le opposizioni si sono rafforzate nel tempo anche da parte statunitense, non solo dal lato europeo.

Numerosi commentatori avevano sinora visto il Trattato Transpacifico e il Trattato Transatlantico come in competizione tra loro sui tempi di approvazione, per stabilire un precedente importante: infatti, quello che fosse arrivato primo alla firma avrebbe stabilito gli standard da servire come modello per l’altro. Ebbene, le cose sono andate in modo diverso: è svanita l’ambizione dei sostenitori del TTIP di imporlo anche in aree diverse come modello da seguire. Ora il TTIP dovrebbe invece accodarsi ad alcuni modelli stabiliti dall’altro trattato, e non sarà facile. Infatti, non posso esimermi dalla critica di questa visione. A parte la considerazione che i tempi stessi, cui ho accennato, portavano a presagire la tempistica poi avveratasi, resta il fatto che ben difficilmente le parti contraenti del TPP avrebbero accettato così rapidamente gli standard, più ambiziosi, che sono perseguiti per il TTIP, specialmente da parte dell’UE; quindi, ben venga che su questi standard le discussioni proseguano il tempo necessario fintanto che non si giunga ad un felice accordo, che escluda compromessi al ribasso da parte europea e sia capace di fugare i timori di molti, almeno quelli che sono informati circa l’importanza della posta in gioco.

Giovanni Bottazzi


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