Politica
LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO CHE DIVORO’ SE STESSA
Da Paolo Cardena’ di Vincitori e Vinti
Con le riforme del mercato del lavoro, in estrema sintesi, si tende a creare più flessibilità che, per forza di cose, si riflette anche sul costo del lavoro, che diminuisce.
C’è poi da considerare un altro fattore. Ossia che il debito privato è al 130% del Pil. E questi sono debiti che attendono di essere ripagati da parte di chi li ha contratti. Se diminuiscono i salari (per via di una maggiore flessibilità), diminuisce anche la quota di reddito disponibile per ripagare questi debiti, che invece non diminuiscono. Quindi, o non si pagano i debiti: ipotesi disastrosa, considerata l’estrema fragilità del sistema bancario; oppure si riducono i consumi per poterli ripagare: ipotesi altrettanto disastrosa perché implicherebbe un ulteriore riduzione del PIL
E non sarà di certo l’articolo 18 o Job Act a risollevare le sorti del paese.Ed ecco cosa dice Hans-Werner Sinn (Presidente dell’Ifo tedesca), in un articolo pubblicato da Il Fatto, che riprende le dichiarazioni rilasciate al quotidiano economico Handelsblatt
…Per Sinn non ci sarebbero alternative: perché l’Italia torni a funzionare bisogna svalutare l’euro in Italia. Visto che l’euro o si svaluta dappertutto o non si svalutada nessuna parte, questo significherebbe svalutare i beni e i servizi che l’Italia produce e vende per adattare il loro prezzo alla minore produttività italiana. Si chiama “svalutazione reale” e non è certo la prima volta che se ne parla. Il professor Sinn scende però nei dettagli: da quando si decise di introdurre l’euro (1995) alla fine del 2013 – spiega – l’Italia è diventata più cara del 25% rispetto ai suoi partner commerciali. Il 17% a causa di un’inflazione relativamente più alta, a cui va sommato l’8% dovuto alla rivalutazione della lira prima dell’entrata nell’euro. Rispetto alla Germania – che invece nel frattempo ha introdotto politiche di contenimento salariale (cosa che Sinn omette di dire) – l’Italia sarebbe diventata più cara addirittura del 42%.Ma in cosa si tradurrebbe una “svalutazione reale”? Hans-Werner Sinn accenna alla “moderazione salariale”, a “maggiore flessibilità” nel mercato del lavoro. In effetti, se si vuole diminuire il prezzo di un bene che si esporta e non si puo’ intervenire sul tasso di cambio, la via più rapida passa per il taglio dei salari. Una misura che, come deve ammettere lo stesso Sinn, porterebbe sì a un abbassamento dei prezzi italiani ma aumenterebbe il peso del debito privato mettendo in difficoltà i debitori, il cui debito reale crescerebbe. “Molte imprese e famiglie finirebbero in bancarotta”. In più, aggiungiamo noi, si abbasserebbero le entrate fiscali e peggiorerebbe la dinamica del debito pubblico. “Una valle di lacrime”, continua il professore, che però nessun attore di “un mondo politico (italiano) preso da preoccupazioni di breve periodo” avrebbe il coraggio di attraversare.
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