Analisi e studi
Renzi ha due soluzioni per liberarsi di Conte e Zingaretti. Una è il referendum sul “taglio” dei parlamentari (di P. Becchi e G. Palma su Libero)
Articolo a firma di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero del 12 ottobre 2019.
Non è accettabile, dopo aver bocciato nel 2016 la riforma costituzionale renziana, farsi scivolare addosso la riforma grillina sul taglio dei parlamentari. Una riduzione di 345 parlamentari, senza nessun idoneo contrappeso istituzionale e col “poi vediamo” sulla legge elettorale, è inaccettabile.
Per paura di passare per “casta”, il testo è stato approvato in seconda deliberazione alla Camera a stragrande maggioranza, ma a luglio al Senato non fu raggiunta la maggioranza dei 2/3 dei componenti, quindi – ai sensi dell’art. 138 della Costituzione – 1/5 dei componenti di una camera o 5 consigli regionali oppure 500mila elettori possono chiedere referendum popolare confermativo. Il fatto che tutti i partiti abbiano votato la riforma a Montecitorio rende difficile pensare che 1/5 di una camera presenti richiesta referendaria, così come è difficile credere che qualcuno riesca a raccogliere 500mila firme valide.
Tuttavia qualche mal di pancia, tanto nel Pd che in ItaliaViva e in Forza Italia (che prima dell’ultimo passaggio avevano sempre votato contro), si è già manifestato.
Al momento delle dichiarazioni di voto il deputato di ItaliaViva Roberto Giachetti, ex radicale ed ex Pd, pur votando in modo favorevole ha affermato di volersi mettere a capo di un comitato civico per la raccolta delle firme necessarie per la richiesta referendaria. Ma non solo. Per il momento, su iniziativa della Fondazione Einaudi, i senatori di Forza Italia Nazario Pagano e Andrea Cangini, unitamente ai senatori Tommaso Nannicini (Pd) e Gregorio De Falco (Misto), hanno presentato a Palazzo Madama la proposta di referendum. Il plenum senatoriale è di 321 senatori, quindi 1/5 si raggiunge a quota 65. Ancor più difficile se l’iniziativa partisse anche alla Camera, dove occorrerebbero almeno 126 adesioni. Non è facile se si considera che a votare contro a Montecitorio, tranne qualche dissidente sparso nei partiti favorevoli, sono stati solo alcuni del Gruppo Misto come Vittorio Sgarbi e Maurizio Lupi, oltre a quelli di piùEuropa.
Ma l’iniziativa di Giachetti di voler raccogliere le firme dei cittadini, se supportata da qualcuno di “peso”, potrebbe anche riuscire nonostante le enormi difficoltà. Cinquecentomila firme sono un’impresa pazzesca, anche perché occorre raccoglierne molte di più per evitare sorprese nelle sottoscrizioni doppie o invalide.
Ma Giachetti fa parte di ItaliaViva, il nuovo partito renziano, al quale non conviene – come abbiamo già dimostrato su questo giornale – rendere operativa la riduzione del numero dei parlamentari a partire già dalla prossima Legislatura. Renzi deve riportare in Parlamento almeno quaranta persone, se non di più, quindi ha tutto l’interesse ad impedire la operatività della riforma sin dalle prossime elezioni politiche. Un conto è far eleggere una cinquantina di fedelissimi in un Parlamento di quasi mille membri, un altro è riuscirci in un Parlamento quasi dimezzato. Ma il senatore di Rignano sull’Arno non può esporsi direttamente perché verrebbe accusato da Pd e M5S di voler mettere in crisi il governo, quindi potrebbe agire dietro le quinte offrendo a Giachetti – che è sempre stato un “battitore libero” – tutto il sostegno del partito, tanto economico che organizzativo, per riuscire a raccogliere le firme sufficienti. Nel caso l’impresa riuscisse, il referendum si terrebbe molto probabilmente in estate.
In questo modo Renzi si assicurerebbe tre risultati: 1) mettere 5Stelle e Pd di fronte ad un referendum popolare, facendo loro assaggiare l’amara sconfitta da lui subita nel 2016. Il popolo vedrebbe il voto come un’occasione per sfiduciare il “governo delle tasse” e voterebbe contro la riforma. Una vendetta coi fiocchi. Non a caso Salvini, Renzi e Berlusconi – per mettere in seria difficoltà il governo di fronte ad una bocciatura referendaria – sarebbero spinti a lasciare libertà di voto al proprio elettorato e finirebbe come nel giugno 2006, quando né Forza Italia né AN sponsorizzarono la loro stessa riforma costituzionale e al referendum vinsero i no; 2) prendere tempo ed arrivare fino all’estate, assicurandosi così la sua quota sulla seconda tranche di nomine all’interno delle Aziende di Stato. E le nomine, si sa, portano consenso; 3) profittare della vittoria dei No al referendum e mandare il Conte2 a casa dopo pochi giorni. Crisi di governo tra luglio/agosto ed elezioni anticipate ad ottobre a Costituzione vigente.
Diversamente, se l’impresa della raccolta-firme non riuscisse, il senatore di Firenze ha tempo fino a fine febbraio per sfiduciare il governo e chiedere nuove elezioni a Costituzione vigente, quindi crisi di governo tra febbraio e marzo ed elezioni già in primavera tra aprile e maggio. Il motivo lo abbiamo spiegato su Libero pochi giorni fa: la riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari entra in vigore dopo i tre mesi utili alla richiesta referendaria e quindi successivamente alla promulga da parte del Capo dello Stato, tempistica alla quale si aggiungono ulteriori sessanta giorni di “vacatio” previsti dall’art. 4 della medesima legge di revisione costituzionale (regola che vale anche nel caso si tenesse il referendum e vincessero i sì).
Insomma, Di Maio, Zingaretti e Conte sono – anche in questo caso – tenuti per le palle da Renzi. Da ora in avanti iniziano le danze.
di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero del 12 ottobre 2019.
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