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Crisi

RENZI E I GIOVANI VECCHI

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L’elezione a segretario del Pd di Matteo Renzi, un uomo di meno di quarant’anni,  ha spinto i giornali ad occuparsi del fenomeno dei “giovani” in politica. Molti pronosticano che dal ricambio generazionale deriverà un ricambio della politica, quasi che l’essere giovani corrisponda alla capacità di cambiare le cose. In realtà soltanto un uomo eccezionale può fare ciò, per esempio un rivoluzionario come Lenin.

Le nazioni che hanno bisogno di cambiamenti possono evolversi lentamente o mutare rotta violentemente. Nel primo caso si parla di riforme, nel secondo di rivoluzione. La Russia del primo Novecento era una monarchia assoluta che si avviava lentamente a divenire costituzionale e un riformatore sarebbe stato colui che avesse accelerato questo processo: qualcuno che avesse tentato di rendere più ampie le libertà civili, di migliorare le possibilità di sviluppo economico e sociale di uno sterminato esercito di contadini senza tuttavia mettere in discussione la maestà del sovrano, la religione ortodossa e i principi economici classici. Lenin invece aveva della società un’idea talmente diversa da richiedere l’azzeramento di tutto. La Russia era religiosa e con lui l’ateismo divenne, per usare un ossimoro, “religione di Stato”. L’economia classica fu vietata e si passò al capitalismo di Stato. Era una monarchia autoritaria e divenne una repubblica, sterminando al passaggio lo zar Nicola II e l’intera sua famiglia, cane incluso. Prima comandavano i nobili, poi si volle instaurare la dittatura del proletariato. Prima – per quanto possa sembrare paradossale – c’era un po’ di libertà sociale, poi, soprattutto col successore di Lenin, si passò alla dittatura più totalitaria e sanguinaria che si fosse mai avuta sul suolo russo.

Se essere rivoluzionari è questo, ovviamente non tutti i giovani lo sono: ma non è detto che ciò sia un limite. Dinanzi al malessere di un Paese, il primo quesito che bisogna porsi è infatti se esso abbisogni di riforme o di una rivoluzione. Attualmente l’Italia è molto infelice ma nessuno sogna una dittatura, il collettivismo sovietico o la teocrazia iraniana. E tuttavia è evidente che se questa nazione non ha bisogno di una rivoluzione politica, ha comunque bisogno di una rivoluzione economica e sociale. La scuola dovrebbe ridivenire una cosa seria cominciando dalle elementari e finendo con l’università. La gente dovrebbe smettere di considerare lo Stato come una mamma pronta ad aprire il portafogli e per giunta responsabile di tutto; dovrebbe vedere la prosperità come una conquista, non come un diritto; dovrebbe trattare il datore di lavoro da benefattore e non da nemico; dovrebbe proscrivere l’invidia, insieme col moralismo ipocrita e peloso; dovrebbe ricordare che la società migliora non quando tutti divengono più poveri ma quando tutti divengono più ricchi; dovrebbe imparare che la meritocrazia non è soltanto naturale, è anche moralmente giustificata; dovrebbe rinunciare alla pretesa della perfezione, in tutti i campi, quando non è nemmeno  capace di un normale civismo. Lo stesso Stato dovrebbe fare la metà di ciò che fa oggi e spendere un terzo. I sindacati dovrebbero essere messi fuori legge, almeno finché non impareranno a fare gli interessi dei lavoratori e non una sciocca politica anticapitalistica. Lo Statuto dei lavoratori andrebbe abolito di netto: se ne è fatto a meno per decenni, anche durante l’Italia del boom, se ne potrà fare a meno anche in futuro. Le varie caste di bramini, in primo luogo i magistrati, dovrebbero imparare che il prestigio si ottiene col proprio comportamento e che fra le libertà della magistratura non c’è quella di battere fiacca. La nostra Presidenza della Repubblica dovrebbe costare la metà della monarchia inglese o anche meno, visto che vale anche meno di quella metà. La lista è lunga ma si può interrompere qui, perché già si è capito che una simile rivoluzione sociale non si avrà mai. Gli italiani non la vogliono. Si è potuto uccidere lo zar perché era uno, le teste degli italiani sono sessanta milioni e nessuno le può cambiare, giovane o vecchio che sia. Chi ci provasse si romperebbe il naso. Fra l’altro, gli attuali “giovani” della politica le idee che qui sono state riprovate le condividono in pieno: dunque figurarsi se sono le persone giuste per cambiarle. Il massimo del loro coraggio sarà il conformismo di togliersi la cravatta.

Renzi non è il ricambio della sinistra, è soltanto uno che, senza essere diverso, è riuscito ad occupare da giovane il posto di un vecchio. L’Italia, se mai ciò avverrà, sarà cambiata da un cataclisma di proporzioni bibliche. Qualcosa che non sarà opera di questo o di quello ma della storia.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

13 dicembre 2013


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