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RENDERE UTILE LA COMMISSIONE DI INDAGINE SULLE BANCHE Giorgio La Malfa e Paolo Savona

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Chiunque abbia a cuore le sorti del Paese non può restare inerte di fronte agli scontri interni ed esterni in atto nel e sul settore bancario e tra le autorità di vigilanza del risparmio. Lo spettacolo non è solo deprimente, ma rischia di alimentare una crisi di sfiducia nei risparmiatori che avrebbe di per sé conseguenze molto gravi.

Il recente episodio riguardante le relazioni tra Banca d’Italia e Consob è un chiaro sintomo che, di fronte alle reazioni comprensibili, anche se convulse, della pubblica opinione, ogni istituzione tenta di chiamarsi fuori dalle responsabilità della crisi. Occorre certamente distinguere coloro che hanno malversato e chi ha omesso i controlli necessari, ma evidenziare anche i regolamenti che hanno permesso che ciò avvenisse.

In particolare si dovrebbe dedicare maggiore attenzione alle regole che governano le istituzioni, suggerendo che cosa occorrerebbe fare per migliorarne le prestazioni.
Noi abbiamo ritenuto che, di fronte a quello che era successo, fosse giusto istituire una Commissione di Inchiesta parlamentare. Ma il Parlamento deve guardare alla realtà avendo l’obiettivo di migliorare le regole e le istituzioni. Ha un compito essenziale de jure condendo.

Se la Commissione parlamentare sulle banche non vorrà contribuire alla confusione e alle lotte fratricide personali e istituzionali deve cambiare orientamento. È chiaro che dai suoi accertamenti emergeranno i responsabili della grave crisi: questa è la naturale ricaduta della sua azione di indagine. Ma il suo obiettivo più alto è individuare e dedicarsi a evidenziare quali sono i difetti e le lacune dell’attuale legislazione. Colpire i manager bancari e le autorità di controllo che hanno sbagliato, ma non cambiare le regole e le leggi non basterebbe a risolvere il problema. Se la Commissione alzerà lo sguardo verso il futuro, eviterà di cadere preda o di quelli che vogliono usarla per scopi puramente elettorali o di quelli che vogliono usarla per insabbiare tutto.

Il problema delle radici istituzionali delle crisi bancarie è aperto da lunga data e fu affrontato dal Parlamento agli inizi degli anni duemila senza raggiungere soluzioni soddisfacenti. Alle lacune istituzionali esistenti se ne sono aggiunte altre con la partenza affrettata dell’unione bancaria europea nel 2013, il passaggio dei compiti di vigilanza a un’autorità europea senza un meccanismo di protezione dei depositi di pari livello e l’approvazione di una direttiva di risoluzione delle crisi che prevede di porre a carico di alcuni investitori in titoli bancari (il bail in), tutte decisioni sulle quali Governo, Banca d’Italia, Consob, le stesse banche e la loro associazione di categoria non hanno riflettuto e agito con la lungimiranza necessaria.

La Commissione parlamentare darebbe un contributo notevole se oltre a segnalare malversazioni, errori e insufficienze proponesse delle soluzioni meditate e serie per il futuro.
A nostro avviso sarebbe necessario (a) distinguere senza equivoci le competenze della Banca d’Italia da quelle della Consob, come avviene in altri paesi; il Regno Unito, ad esempio, ha scelto una soluzione radicale, quella di togliere alla Banca d’Inghilterra le competenze di vigilanza bancaria, soluzione peraltro che non consigliamo; (b) decidere l’uso che si deve fare delle conoscenze acquisite dalla due istituzioni nell’azione di vigilanza svolta per proteggere i risparmiatori, creando un centro di confluenza delle stesse dotata di caratteristiche di impenetrabilità proprie degli organismi giudiziari; (c) proporre l’introduzione a livello europeo di una istituzione che funga da prestatrice di ultima istanza eliminando, se ciò venisse rifiutato, la clausola del bail in, che non può funzionare senza un siffatto meccanismo di intervento; (d) risolvere il conflitto di interessi tra le funzioni di vigilanza bancaria e di risoluzione delle crisi, come accade in molti altri paesi, attribuendo alle parti in causa eguale posizione in un organo di nuova costituzione.

Vogliamo avere fiducia che la ragione prevalga. Ci auguriamo che un arbitro fischi la fine di questa non bella fase della partita per aprirne un’altra in cui si fissino le regole del gioco da applicare senza che esse vengano fissate di volta in volta dai responsabili di turno. In breve, chiediamo che funzioni il fondamento della democrazia e cioè che il cittadino non venga governato dagli uomini, ma dalle regole che egli stesso, attraverso il Parlamento, contribuisce a definire.

Giorgio La Malfa e Paolo Savona, Il Sole24 Ore 12 novembre 2017


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