Cultura
LA RELIGIONE, LA POLITICA E I PREGIUDIZI
Non credere e sarai salvato
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La scienza e la tecnologia ci circondano da tutti i lati, e tuttavia la maggior parte di noi non sa come funziona un telefono, che differenza c’è tra voltaggio e amperaggio o che cos’è l’artrite. Né le cose vanno meglio negli altri campi. Siamo tutti delimitati da una monumentale ignoranza. Molti di noi non saprebbero dire perché Mozart è un genio musicale infinitamente più grande dei Beatles, che differenza c’è tra colpa cosciente e dolo eventuale, o addirittura, molto più semplicemente, da che cosa dipendono le fasi della luna. E tuttavia questi non sono i casi più gravi: infatti una persona colta, volendo, può studiarli e saperne di più. Il vero problema riguarda i dati non culturali che ci fornisce la società.
Gli “idola tribus” formano la maggior parte delle nozioni correnti e alcuni – bisogna ammetterlo – sono anche utili. Quando mamma ci diceva di non tuffarci dopo aver mangiato, aveva ragione. Purtroppo delle idee correnti fanno parte anche moltissime sciocchezze, che circolano come moneta avente corso legale. Un eccellente esempio è la “sfortuna”, come entità a noi personalmente ostile. L’onesto concetto di “caso”, con la sua distribuzione non programmata, non ci consola a sufficienza dei nostri fallimenti.
Dobbiamo difenderci quotidianamente dalle stupidaggini, ma per farlo dobbiamo identificarle razionalmente come tali. E per conseguenza analizzare innanzi tutto il concetto di verità.
Per molti, la verità è qualcosa di metafisico, anzi di sostanziale: un’entità immodificabile ed eterna. Tanto che molti scrivono la parola con la maiuscola e Giovanni attribuisce a Gesù questa affermazione: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”. Per Tommaso d’Aquino invece la verità è semplicemente la corrispondenza tra un’affermazione e la realtà (dunque una relazione e non una sostanza); infine per la scienza la verità è quella stessa di Tommaso, ma raggiunta per via d’osservazione e (quando possibile) per via d’esperimento. Almeno finché un’altra osservazione o un altro esperimento non ne provino l’eventuale falsità.
Sulla base di questo concetto di verità si accetteranno anche le conclusioni raggiunte da altri, purché abbiano seguito lo stesso metodo. Così potremo credere alle affermazioni contenute nel nostro libro di chimica, anche se personalmente non saremmo in grado di verificarle. Analoga “fede” bisognerà tributare alle affermazioni dei medici: non nel senso che ciò che dicono sia inconfutabile (è stato confutato molte volte, basta leggere una storia della medicina) ma nel senso che essi sono arrivati onestamente alle conclusioni che ci espongono. E comunque noi non sapremmo fare di meglio. Lo stesso vale per la cultura in generale, anche se, per quanto riguarda la storia, bisogna essere tanto più guardinghi quanto più ci si avvicina al presente. Nel 1920 non si potevano certo avere idee chiare sulle responsabilità della Grande Guerra.
Se si prescinde dalle verità accertate od accertabili, rimangono aperti allo scetticismo o alla fede tre vasti campi: la politica, la religione e il pregiudizio. Campi molto importanti: infatti in loro nome i singoli sono disposti a battersi, a sopportare e ad infliggere dolore. E tutti e tre hanno purtroppo in comune l’indimostrabilità.
Naturalmente non è che non si possa discutere razionalmente di questi argomenti: soltanto bisogna mettere in conto che nessuno si lascia convincere. Che si vada da racconti sfacciatamente mitologici (nella Bibbia, la creazione della luce prima della creazione del Sole) a fatti del tutto innegabili (la miseria della popolazione sovietica) si urta sempre contro un muro. Anche i dati incontrovertibili sono stravolti: per rimanere nell’esempio, i comunisti vi diranno che “i sovietici sarebbero stati ricchi, se si fosse applicato il vero marxismo”. Nessun fatto è sufficientemente evidente per scuotere una fede. E ciò dà luogo a discussioni interminabili, a volte violente, sempre inutili.
Rimane il vasto campo dei pregiudizi, quelli che a volte ci fanno apparire il prossimo come composto prevalentemente da imbecilli. Ma la spiegazione deve essere un’altra. Se si trattasse di un computer, si direbbe che lo scarso rendimento di molti cervelli dipende dal loro “setting”, dalla loro impostazione. Un’intelligenza che sia stata educata in un ambiente colto e razionale darà risultati che la faranno apparire molto più grande di quella di un uomo sfortunato, magari in partenza più intelligente. Michel de Montaigne fu sicuramente un genio, ma è anche vero che ebbe un padre del tutto eccezionale. La formazione ha molta influenza sul metodo col quale si affronta la realtà. Se si è vissuti in una famiglia dal grande senso critico si avrà un atteggiamento guardingo, di fronte ai casi dubbi; mentre chi sarà stato abituato a prendere per vere autentiche sciocchezze, non solo da esse potrà dedurre ulteriori sciocchezze, ma avrà perduto la bussola della verità. Il suo criterio infatti non sarà: “Perché mi sembra dimostrato” ma: “Perché lo dicono tutti”.
La mancanza di senso critico crea l’abitudine a non accorgersi delle sciocchezze. Immaginiamo un uomo che ceni e che, sullo schermo del televisore, un signore ben vestito annunci con viso lieto e tono di ammirazione che la tale celebrità “ha lottato contro il cancro ed ha vinto”. La notizia effettiva è che i medici hanno fatto al meglio il loro dovere e che sul cancro a volte si vince: ma il giornalista annuncia la cosa come se il merito fosse della forza di carattere del malato. Un’immensa stupidaggine. Se fosse vero, si dovrebbe dedurre che quelli che sono stati uccisi dalla stessa malattia hanno aspettato la morte con indifferenza, leggendo un giornale come dal barbiere. Analoga balordaggine è attribuire alle preghiere dell’interessato l’essere sfuggito ad una disgrazia: non perché si voglia disconoscere il valore della preghiera, ma perché con ciò stesso si dice che chi è perito forse era miscredente o forse non ha pregato nella maniera giusta. Siamo sommersi da una enorme mole di affermazioni sballate. E tuttavia quanti, a cena, solleveranno la testa dal piatto, magari per esclamare: “Ma lo pagano, costui, per dire queste scemenze? È in malafede o crede che siamo tutti cretini?”
Le citazioni potrebbero essere infinite: “Per ognuno di noi ci sono sette persone a noi identiche che vivono in altre parti del mondo”; oppure: “Io non ne ho esperienza personalmente, ma i fenomeni paranormali certamente esistono”; o, ancora peggio: “Ci sono sogni premonitori. Una notte ho sognato mio cugino e l’indomani l’ho incontrato per strada”. E molta gente fa di sì con la testa.
La capacità di accettare acriticamente per vere cose dette da altri giunge a volte ad alto livello. Recentemente un amico raccontava d’aver ripreso in mano un libro di filosofia e d’essersi imbattuto in Hegel. E ora chiedeva: “Ma che cosa intendeva, quando parlava di spirito? Voi lo sapete, che cos’è lo spirito?” A questo genere di perplessità di solito tutti rispondono come se fosse sbagliata la domanda: “Come, non sai che cos’è lo spirito?” Perché molti credono che, conoscendo una parola, se ne conosca anche il significato. E invece proprio in questo campo il terreno è scivoloso. Se qualcuno sapesse veramente che cos’è lo spirito, sarebbe in grado di darne una definizione non negativa (“non è la materia”) e non retorica (“è ciò che ci fa simili a Dio”): compito talmente arduo che non è riuscito a San Tommaso d’Aquino.
Questa parte merita uno piccolo sviluppo. Dire che lo spirito è ciò che non è materia non ci dice che cos’è lo spirito. Non più di quanto dire che un coniglio non è un cane ci dica che cos’è un coniglio. Diversamente varrebbe lo schema coniglio≠cane, balena≠cane, per conseguenza coniglio=balena. Nello stesso modo, dire “è ciò che ci fa simili a Dio” non significa nulla. Se Dio esiste, e se una formica esiste, la formica è simile a Dio per quanto riguarda l’esistenza. Mentre la somiglianza per l’uomo dovrebbe derivare da qualcosa di specifico. E infatti qualche idealista risponderebbe: “lo spirito fa l’uomo simile a Dio perché ambedue ne partecipano”. Ma questo è ciò che andava provato, non ciò da cui si poteva dedurre qualcosa.
Allo spirito critico non si può concedere neppure un anno sabbatico.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
28 aprile 2014
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