Seguici su

Attualità

REGIONALI 2015. RENZI HA PERSO LE ELEZIONI. E VI SPIEGO IL PERCHE’ (di Giuseppe PALMA)

Pubblicato

il

 

Processed with Moldiv

 

Le urne sono chiuse e i risultati elettorali sono ormai definitivi. Si è votato in 7 Regioni (Liguria, Veneto, Toscana, Umbria, Marche, Campania e Puglia) e il centro-sinistra ha ottenuto la vittoria in 5 Regioni (Toscana, Umbria, Marche, Campania e Puglia), mentre il centro-destra in due (Liguria e Veneto).

Ma il DATO POLITICO rilevante non è di certo il calcistico 5 a 2 (solo degli ignoranti potrebbero interpretarlo in tal modo), bensì un altro, che si snocciola – a mio parere – nei seguenti 10 PUNTI:

 

  • Va anzitutto evidenziato il dato dell’affluenza alle urne, il più basso della storia repubblicana: 52,2%, addirittura inferiore a quello delle elezioni europee del 2014 (58,69%). In pratica a queste elezioni ha votato solo un elettore su due, quindi ogni riflessione politica non può non tenere conto di questo dato drammatico che denota non solo una costante disaffezione nei confronti della politica, ma produce l’effetto di una sempre minore legittimazione democratica per chi vince le elezioni;

 

  • Il PD, nonostante la bassissima affluenza alle urne (l’astensionismo, storicamente, favorisce il centro-sinistra), non gode più del 40,8% dei consensi ottenuto alle europee dell’anno scorso, infatti il Partito Democratico – nella media nazionale calcolata sul consenso ottenuto nelle 7 Regioni – porta a casa un misero 24-25%, al quale tuttavia va sommata – seppur solo teoricamente – la percentuale dei voti ottenuta dalla media dei consensi espressi in favore delle liste che sostenevano i candidati Presidenti del PD, quindi si arriva – obtorto collo – ad un 30-34% di consensi (di veltroniana e/o prodiana memoria), circa 6-10 punti percentuali in meno rispetto alle europee di un anno fa. E’ tuttavia impossibile stabilire con esattezza quanti voti destinati alle liste collegate ai candidati Presidenti PD siano effettivamente da imputare direttamente al partito di Renzi. Da un primo conteggio che ho effettuato, mi sento di poter attribuire una forbice che va appunto dal 30 al 34%, quindi – anche nella migliore delle ipotesi – il Partito Democratico ha perso almeno il 6% dei consensi rispetto al risultato delle europee. In pratica il PD, secondo i dati dell’Istituto Cattaneo, ha perso circa 2.000.000 di voti;

 

  • Un dato elettorale molto interessante è quello relativo al consenso ottenuto dal M5S, il quale – attestandosi in media attorno al 18% senza che Beppe Grillo si sia impegnato in modo decisivo in campagna elettorale – dimostra di essere una realta’ non solo a carattere nazionale ma anche con un consistente radicamento nel territorio. Tenendo fermi questi dati e senza una lista unica di centro-destra, se per assurdo si votasse domani mattina con l’Italicum, non avendo nessuna lista ottenuto nella media nazionale almeno il 40% dei voti, al ballottaggio vi andrebbero sicuramente PD e M5S;

 

  • Il dato elettorale più importante è quello della Lega di Matteo Salvini (unico partito ad aver aumentato il numero di voti), la quale si attesta – sempre nella media nazionale – tra il 12 ed il 13% dei consensi, percentuale destinata ad aumentare (come ho osservato anche per il PD) se si aggiungono i voti ottenuti dalle liste “del Presidente” che sostenevano ad esempio Zaia in Veneto, quindi la Lega Nord – nel suo complesso – arriva ad un sorprendente 15-17% nella media nazionale. E il risultato di Claudio Borghi in Toscana è addirittura strepitoso (circa il 20%). Vi ricordo che la Lega, appena un anno fa, aveva ottenuto alle elezioni europee solo il 6,2%. Il risultato della Lega a queste elezioni regionali è dunque superiore sia a quello di Forza Italia che di Fratelli d’Italia, pertanto si aprirà sicuramente una seria discussione sulla leadership dell’intero centro-destra italiano. Ciò detto, checché ne dica Alfano (il suo NCD/Area Popolare si attesta attorno ad un deludente 3,5%, quindi quasi 1 pt. percentuale in meno rispetto alle elezioni europee di un anno fa), le battaglie relative all’immigrazione, all’Unione Europea e alla moneta unica condotte dalla Lega non possono non entrare a far parte dell’eventuale e futuro programma politico del centro-destra. Con buona pace di alfaniani, casiniani, montiani e passeriani;

 

  • Bene anche Fratelli d’Italia, che a queste elezioni ha ottenuto (nella media nazionale) un consenso che oscilla tra il 4 ed il 5%, superando – seppur di poco – il dato delle europee (3,7%). Tiene a fatica Forza Italia, che perde consensi e passa dal 16,8% delle europee al 10-11% di queste elezioni. Il partito di Berlusconi, tuttavia, esprime un presidente di Regione che è Giovanni Toti in Liguria, il quale ha sconfitto sonoramente la candidata renziana Raffaella Paita, super favorita della vigilia (sulla sconfitta della Paita ha comunque influito la spaccatura all’interno del PD dopo le primarie per la designazione del candidato alla presidenza della Regione, che portarono Sergio Cofferati ad uscire dal partito);

 

  • Un altro dato sensibilmente preoccupante per Matteo Renzi è quello che nelle Regioni in cui ha vinto (Toscana, Campania, Puglia, Umbria e Marche) nessuno dei candidati PD ha ottenuto il 50% + 1 dei consensi, mentre Zaia in Veneto – nonostante la scissione di Tosi – supera (seppur di poco) la metà dei consensi con una vittoria di oltre 25 pt. percentuali in più rispetto alla candidata renziana Alessandra Moretti. Se poi si considera che il predetto risultato del PD è incredibilmente confermato soprattutto nelle Regioni “rosse” (nelle quali nessuno dei candidati piddini ha ottenuto la metà più uno dei voti) il dato politico diventa ancora più rilevante. E’ pur vero che per vincere le elezioni regionali non occorre superare la metà più uno dei consensi (è sufficiente ottenere un solo voto in più del secondo arrivato), ma è altrettanto vero che vincere con percentuali al di sotto del 50%+1 dei voti, con un’affluenza alle urne di appena un elettore su due, lascia aperta un’ampia discussione sulla legittimazione democratica di chi vince;

 

  • I partiti NO€URO avanzano inesorabilmente: se si sommano i voti della Lega, del M5S e di Fratelli d’Italia (tutti partiti dichiaratamente No€uro), oltre a quelli delle “liste civiche” che sostenevano i loro candidati Presidenti, il voto contro la moneta unica diventa sicuramente imponente (intorno al 40%), anche alla luce del fatto che Claudio Borghi (candidato presidente di Lega e Fratelli d’Italia nella Regione Toscana e fermo sostenitore dell’uscita dell’Italia dall’Euro) ha ottenuto più del 20% dei voti, riportando una vittoria personale che non ha eguali nella storia di quella Regione. E si tenga altresì conto che Borghi non è neppure cittadino toscano, quindi i voti da lui ottenuti assumono un significato politico nazionale ancora più marcato;

 

  • Si consideri inoltre che, in una Regione “rossa” come l’Umbria, la candidata del PD ha vinto al fotofinish, superando di appena una manciata di voti il candidato di centro-destra;

 

  • Un altro dato che mi preme portare alla vostra attenzione è quello del PD in VENETO. Alle elezioni europee il partito di Renzi aveva ottenuto – in alcune zone – addirittura il 43%-44% dei consensi, mentre a queste elezioni Regionali ha ottenuto un imbarazzante 16,7% (al quale va sommato un 5,3% di due liste direttamente riferibili alla candidatura della Moretti, candidata espressione del renzismo radicale). Ciò premesso, quell’ “apertura di credito” che il ceto produttivo veneto aveva fatto a Renzi appena un anno fa, oggi non esiste più. E questo non vale solo per il Veneto, infatti è sufficiente vedere anche solo il dato del PD in LIGURIA: dall’entusiasmante 41,67% delle europee di un anno fa al 25,63% di ieri; una debacle che ridimensiona pesantemente soprattutto la posizione del Presidente del Consiglio;

 

  • L’ultimo dato politico importante, a mio parere, è il seguente: se Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia alle prossime elezioni politiche dovessero coalizzarsi in una medesima lista di centro-destra (l’Italicum attribuisce il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, quindi sarebbe necessaria la formazione di una lista unica di centro-destra comprendente quantomeno i principali partiti moderati e di destra), questa non solo giungerebbe facilmente al ballottaggio, ma potrebbe essere seriamente competitiva contro il PD renziano per la vittoria elettorale. Tuttavia, ed è bene ammetterlo, un’eventuale vittoria del centro-destra alle future elezioni politiche dipende anche dall’affluenza alle urne, che se resta tra il 52% ed 59% dell’ultimo anno favorisce sicuramente il PD.

 

L’analisi di cui sopra, seppur sommaria, conduce ad alcune riflessioni politico-costituzionali: Matteo Renzi è Presidente del Consiglio dei ministri per via parlamentare (legittimo, per carità), ma non ha mai ottenuto alcuna legittimazione democratica scaturente da elezioni politiche, quindi la sua presidenza è viziata da “peccato originale”. L’ex sindaco di Firenze ha più volte giustificato la sua permanenza a Palazzo Chigi facendo leva su quel sonoro 40,8% ottenuto dal PD alle elezioni europee, risultato che – dopo queste elezioni regionali – è solo un lontano ricordo.

Ciò premesso, a seguito del voto regionale, che legittimazione democratica ha Matteo Renzi per sedere a Palazzo Chigi e smantellare sia la Costituzione che i diritti dei lavoratori?

Per di più, come ho già scritto in alcuni miei precedenti articoli, l’attuale composizione parlamentare è gravemente viziata dalla pronuncia di incostituzionalità del Porcellum (Sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale). Per effetto del premio di maggioranza previsto dalla Legge elettorale n. 270/2005 (dichiarata incostituzionale sia perché non prevedeva una soglia minima oltre la quale avrebbe dovuto trovare applicazione il premio di maggioranza, sia perché non consentiva all’elettore di esprimere le preferenze) il PD ha alla Camera un numero di deputati abnorme che non corrisponde nemmeno lontanamente al consenso ottenuto dal voto popolare (elezioni politiche 2013). E propria questa composizione parlamentare, che esercita il potere legislativo, è ovviamente la stessa che vota la fiducia al Governo Renzi, il quale è inoltre sostenuto da voti (decisivi in Senato) provenienti da una trentina di senatori eletti nell’allora PDL e da questo fuoriusciti per sostenere i governi Letta prima e Renzi poi.

Ciò premesso, sarebbe opportuno restituire la parola ai cittadini prima che una compagine parlamentare illegittima e composta esclusivamente di nominati, dopo aver svalutato il lavoro al fine di salvare una moneta unica criminale, smantelli anche la Costituzione!

Non ai posteri, ma a noi, l’ardua sentenza!

Giuseppe PALMA


Telegram
Grazie al nostro canale Telegram potete rimanere aggiornati sulla pubblicazione di nuovi articoli di Scenari Economici.

⇒ Iscrivetevi subito