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L’ipocrisia della Sinistra sull’astensionismo: due pesi, due misure tra Meloni-La Russa e Napolitano

Referendum giugno: dibattito acceso sull’invito all’astensione. La sinistra attacca la maggioranza, ma il precedente Napolitano mette in luce la sua ipocrisia. Ci si può astenere solo quando lo dicono loro?

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Il dibattito politico si infiamma in vista dei referendum dell’8 e 9 giugno. Al centro dello scontro non sono solo i quesiti in sé, ma la legittimità dell’invito all’astensione promosso da esponenti della maggioranza, in particolare da Fratelli d’Italia e Forza Italia. Una posizione che ha scatenato le ire della sinistra, pronta a gridare all’attentato alla democrazia. Eppure, a ben guardare, l’indignazione odierna sembra dimenticare illustri precedenti, gettando un’ombra di ipocrisia sulle veementi proteste.

Il casus belli più recente è l’indicazione emersa dal dossier informativo di Fratelli d’Italia: “Referendum, scegliamo l’astensione”. Una linea sposata apertamente anche dal vicepresidente del Consiglio e segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, che ha dichiarato senza mezzi termini: “Non condividiamo la proposta referendaria quindi invitiamo all’astensione”. Per Tajani, astenersi è un atto “politico” legittimo: “Se uno pensa che il referendum non sia giusto, è giusto che non raggiunga il quorum, è illiberale chi vuole obbligare la gente ad andare a votare”. A finire nel mirino della sinistra anche il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, accusato di tradire la sua posizione di terzietà istituzionale invitando al “non voto”. Anche la Leg condivide la posizione, ma con minore polemica.

La reazione delle opposizioni è stata immediata e durissima. Pd, +Europa, M5s, Avs e Cgil si sono scagliati contro la maggioranza. Arturo Scotto, capogruppo del Pd in commissione Lavoro, ha definito “gravissimo” l’invito a restare a casa da parte del principale partito di governo, bollandolo come “il segnale di una profonda cultura antidemocratica”. Elly Schlein, segretaria del Pd, ha giudicato “indegna” la posizione di La Russa, richiamando l’esortazione del Presidente Mattarella a “non arrendersi a una democrazia a bassa intensità”, interpretata a sinistra come un invito alla partecipazione attiva, referendum inclusi. Riccardo Magi di +Europa ha associato l’astensionismo recente alle parole di Tajani. Tutti rabbiosi, ma anche smemorati.

Immagine illustrativa

Nessuno riccorda il Presidente Napolitano

Di fronte a tale levata di scudi, sorge spontanea una domanda: dove era questa indignazione quando, in tempi non sospetti, una delle più alte cariche dello Stato, l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si espresse in termini assai simili a favore dell’astensione, pur provenendo dal fronte progressista?

È Il Tempo a ricordarcelo, citando un’intervista rilasciata da Napolitano a Repubblica nell’aprile 2016, prima del referendum sulle estrazioni di idrocarburi voluto dalle Regioni, ma osteggiato dal Governo delll’epoca, del PD,

L’ex Presidente fu cristallino: astenersi dalle urne e sperare nel mancato raggiungimento del quorum “non è antidemocratico o anticostituzionale”. E aggiunse, con la lucidità del giurista: “Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”.

La distanza tra la reazione odierna della sinistra e il silenzio (o quantomeno la minore enfasi critica) di fronte alle parole di Napolitano è stridente e difficile da giustificare se non con un opportunismo politico. Sembra che l’invito all’astensione diventi un attacco alla democrazia solo quando proviene dagli avversari politici, ma quando viene da esponenti della tua stessa parte, allora va sempre bene.

Cosa dice la legge

Cosa dice la legge sull’invito all’astensione? Pagella Politica , sicuramente non una fonte di destra o sovranista, offre un’utile disamina. La Costituzione (articolo 75) prevede un quorum per i referendum abrogativi affinché una minoranza non possa cancellare una legge voluta dalla maggioranza parlamentare. L’astensione, dunque, da un punto di vista di fatto può contribuire al mancato raggiungimento del quorum.

Dal punto di vista giuridico, il voto è definito un “dovere civico” (articolo 48 Costituzione), ma non un obbligo sanzionabile. Non votare è lecito. E l’invito pubblico a non votare? Rientra nella libertà di manifestazione del pensiero (articolo 21 Costituzione).

L’unico limite, come spiega l’articolo 98 del Testo unico sulle leggi elettorali, riguarda l’abuso delle proprie attribuzioni da parte di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio per “costringere” o “indurre” all’astensione, agendo concretamente per ostacolare il voto (es. non installare seggi). Ma la propaganda per l’astensionismo come manifestazione di opinione è cosa ben diversa e non rientra in questa fattispecie. I titolari di cariche pubbliche che esprimono un’opinione politica sull’astensione non commettono reato.

Alcuni costituzionalisti suggeriscono un dovere di “correttezza costituzionale” per chi ricopre incarichi istituzionali, che sconsiglierebbe l’invito all’astensione. Ma si tratta appunto di un suggerimento etico-politico, non di un vincolo giuridico. Gaetano Silvestri, in passato, parlò di “scorrettezza” ma non di illegalità, e la scorrettezza è un termine che viene molto a variare dal momento, o dalla parte, politica.

In definitiva, mentre la sinistra sbatte i pugni sul tavolo accusando Meloni e La Russa di antidemocraticità per aver invitato all’astensione – una posizione peraltro considerata legittima da autorevoli giuristi e in passato sostenuta anche da un ex Presidente della Repubblica come Napolitano – il sospetto di un’indignazione a comando, dettata più dalla convenienza politica che da un reale allarme democratico, appare sempre più fondato. Due pesi, due misure, per una sinistra che sembra avere la memoria corta o, forse, troppo lunga a seconda di chi parla.


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