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QUELLO CHE GLI EUROMANI NON VOGLIONO CAPIRE… di P. Becchi e A.M. Rinaldi

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Luigi Zingales in questi giorni ha “aperto” un dibattito sulle pagine de Il Sole 24 Ore sulla questione “EURO SI, EURO NO” e la notizia ha attirato l’attenzione non per altro per la posizione oltranzista del giornale economico della Confindustria nell’aver sempre sostenuto “a prescindere” la moneta comune.

Per la verità per chi segue Libero, per chi naviga su internet e per chi legge libri il dibattito è aperto da tempo, e ad altri spetta il merito. Ma ammettiamo pure la buona volontà del professore italiano di Chicago. È del tutto evidente dalla lettura del suo articolo l’intenzione più che di aprire il dibattito di spostarlo su falsi problemi come il presagire i più immani disagi a danno dei risparmiatori italiani, una inflazione alla Repubblica di Weimar, isolazionismi nel contesto internazionale e pericolosissime derive populiste e nazionaliste.

Non ha molto senso rispondere ora per filo e per segno a questo, ormai il dibattito sull’euro è molto più avanti. Preferiamo fare un passo indietro e ricordare alcuni aspetti che Zingales dimentica o che volutamente ignora.

Con l’adesione all’euro tutti i paesi partecipanti, ad iniziare proprio dal nostro, hanno in virtù dei trattati e dei regolamenti europei modificato radicalmente il proprio modello economico di riferimento, avendo adottato “tout court” quello congeniale ai tedeschi, cioè la stabilità dei prezzi (contenimento massimo dell’inflazione) e il rigore dei conti pubblici fino al perseguimento del principio del pareggio di bilancio, in antitesi a quello precedentemente adottato, che invece poneva come obiettivo la piena occupazione.

La nostra Carta Costituzionale come cardine imprescindibile poneva e pone il principio esattamente opposto a quello proposto/imposto dalla UE, cioè quello della piena occupazione: è questo il modello economico alternativo a quello tedesco che nel bene e nel male aveva fatto dell’Italia del dopoguerra uno dei paesi economicamente e industrialmente più forti nel panorama mondiale.

Ritornare “alla lira” non significa pertanto solo poter svalutare, come anche Zingales sostiene, ma la più ampia possibilità di poter ritornare padroni della propria politica economica di cui la tanto invocata “svalutazione” è solo uno dei tanti strumenti a disposizione e tutto questo nel rispetto di quanto c’è scritto nella Costituzione, anche se “violentata” da una classe politica inetta e supina, che con la modifica dell’art. 81 ha introdotto nella Costituzione il “corpo estraneo” del pareggio di bilancio.

Insomma, aver adottato l’euro a “scatola chiusa” con le sue regole e i suoi dogmi ha significato perseguire un modello essenzialmente deflazionistico, dove l’unica svalutazione possibile è quella dei salari e questo in contrasto con quanto è scritto nero su bianco nella Costituzione.

Per quanto riguarda poi l’affermazione “abbiamo firmato dei trattati e dobbiamo rispettarli”, vanno ricordati due aspetti. 1) Quando Guido Carli firmò il Trattato di Maastricht, in qualità di Ministro del Tesoro, era sicuramente animato dal desiderio di porre dei vincoli esterni alla classe politica italiana per “costringerli” a fare ciò che altrimenti non avrebbero mai fatto in modo autonomo, cioè più disciplina nella conduzione dei bilanci, illudendosi però che in Europa chi avrebbe avuto la governance economica sarebbe stato almeno migliore di loro e non considerando che quei vincoli sarebbero stati usati un giorno contro il nostro stesso paese per imporre volontà a nostro discapito. 2) il Trattato di Maastricht, datato 1992, concepì l’embrione di un euro molto diverso di quello di cui oggi subiamo le conseguenze che invece è figlio del semisconosciuto regolamento europeo 1466/97, che come magistralmente ha da tempo evidenziato Giuseppe Guarino, ha completamente stravolto il Trattato istitutivo dell’Unione Europea. Con quel regolamento (firmato da Mario Monti) gli Stati venivano completamente esautorati da qualsiasi determinazione nella propria politica economica per il raggiungimento dei parametri macroeconomici, consegnando nelle mani della Commissione Europea qualsiasi proposizione e iniziativa. Prima i governi conservavano una certa autonomia su come raggiungere gli obiettivi mentre con quel “truffaldino” regolamento gli si sottraeva qualsiasi autonomia di politica economica. Un vero e proprio “golpe” silenzioso ad opera di burocrati non eletti che hanno potuto agire indisturbati grazie a politici sudditi, incapaci e complici.

Da allora si sono succeduti esponenzialmente solo meccanismi automatici identificati da acronimi incomprensibili per annullare i poteri dei rispettivi Parlamenti nazionali, gli unici titolati e investiti dalla forza del suffragio universale e “blindare” una moneta affinché l’economia reale si plasmasse a sua immagine e somiglianza e non viceversa come avviene in tutto il resto del mondo.

Zingales non scordi che i Trattati sono sempre stati firmati per non essere rispettati: ad esempio la Prima Guerra Mondiale iniziò con noi legati dalla Triplice Alleanza all’Impero Austro-Ungarico e finì contro di loro e la Seconda iniziò con il Patto d’Acciaio e finì a fianco degli Alleati per il semplice motivo che prevalse, per fortuna, il buon senso nel supremo interesse del Paese. Non a caso in entrambi i casi eravamo legati ai tedeschi all’inizio ma alla fine eravamo dall’altra parte della barricata.

Ormai è evidente che l’Unione Europea a guida tedesca nel disperato tentativo di rendere sostenibile la sua moneta, ha come unica arma a sua disposizione, la sospensione “sine die” della democrazia stessa così come noi la intendiamo e la desideriamo conservare. Certamente ritornare a una propria moneta non sarà una passeggiata, ma siamo certi che il prezzo da pagare per una uscita dall’euro è sicuramente di gran lunga inferiore alla nostra definitiva e irreversibile colonizzazione. Se non vogliamo fare la fine della Grecia dobbiamo riprenderci al più presto la nostra sovranità monetaria, madre di tutte le altre sovranità, costi quel che costi.

Paolo Becchi e Antonio M. Rinaldi, Libero 24 aprile 2017


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