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Conti pubblici

Quelle continue revisioni al rialzo sul Pil da parte dell’Istat

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L’osservatorio sui conti pubblici della Università  Cattolica di Milano, ha appena pubblicato un interessante analisi sulle revisioni che molto spesso l’istituto nazionale di ricerca statistica ( ISTAT) fa sulla crescita del Pil nazionale. Da anni, spiega l’osservatorio, le revisioni delle stime del Pil fatte dall’Istat sono quasi sempre al rialzo rispetto alle stime iniziali, suggerendo che la metodologia utilizzata produca risultati sistematicamente distorti verso il basso. Dal 2014 a oggi, in media, il dato finale del livello del Pil è risultato superiore alla prima stima dell’1,7% in termini nominali e dello 0,4% in volume.

“L’entità delle revisioni è aumentata notevolmente dopo il Covid, sia in termini reali che nominali. Negli ultimi anni revisioni molto elevate hanno riguardato anche il tasso di crescita del Pil reale. È normale che la prima stima del Pil venga rivista, ma se l’errore è sempre nella stessa direzione, la metodologia utilizzata va riconsiderata” dicono gli esperti di Unicat.

Partendo dal Pil nominale e considerando prima le cinque revisioni iniziali (che escludono la revisione quinquennale), risulta che la stima della quinta edizione è risultata sempre maggiore della prima stima, in media dell’1,4% (Figg.1, 2).Gli aumenti maggiori si concentrano nella seconda edizione (0,6% in media) e nella quarta (0,7%).

A partire dal Pil del 2021, l’entità delle revisioni è cresciuta: la differenza tra quinta edizione e prima stima è del 3,6% per il biennio 2021-22, contro lo 0,8% del periodo 2014-2020. Considerando anche le revisioni quinquennali del 2019 e del 2024, l’aumento medio tra ultimo dato e prima stima sale all’1,7%” si legge nell’articolo.

Per quanto riguarda invece, Pil reale (ossia a prezzi costanti) le revisioni hanno un impatto assai minore, poiché parte delle variazioni nominali rifletterebbe stime diverse sull’inflazione. ” In media, il valore della quinta edizione supera la prima stima dello 0,9%. Le revisioni post-Covid risultano più ampie anche in termini reali: la variazione tra quinta edizione e primo dato è dello 0,5% nel 2014-2020 e del 2% nel 2021-22.”

In termini di tassi di crescita reali, nel periodo 2014-22 il dato della quinta edizione supera in media di 0,5 punti percentuali la prima stima (Fig.5). Tuttavia, questo risultato è dovuto prevalentemente a sottostime del tasso di crescita negli ultimi anni: la variazione media del periodo 2014-2020 è infatti di 0,2 punti percentuali, mentre le revisioni del 2021-22, anni di forte crescita per il rimbalzo post-Covid, hanno comportato un maggior tasso di crescita di 1,4 punti percentuali rispetto alla stima iniziale. Inoltre, la crescita del 2021 è stata ulteriormente alzata dalla revisione quinquennale.

Secondo alcuni queste discrepanze ( anche abbastanza marcate) le stime dell’Istat sul PIL sono spesso riviste al rialzo perché le revisioni dipendono da una maggiore completezza dei dati e dall’inclusione di nuove forme di ricchezza, in particolare quella immateriale e digitale, che sono difficili da misurare nelle stime iniziali.

In un lavoro citato da Cipolletta e De Nardis, gli autori sostengono che, incorporando le revisioni storiche, la produttività italiana in realtà risulta in linea con quella di altri Paesi europei. Questo effetto rende le analisi ex post “più positive” di quanto il dato preliminare suggerisse. “Questa sottostima costante del Pil corrente fornisce un quadro negativo del presente, mentre viene rivalutato il passato, e induce ad analisi non corrette” dichiara Innocenzo Cipolletta.

Un contributo parallelo – “Il falso mito della manifattura inefficiente” – critica alcune narrazioni secondo cui il tessuto industriale italiano sarebbe sistematicamente “inefficiente”. Il documento cita proprio Cipolletta e De Nardis e mette in evidenza che revisioni dei dati e ricomposizioni settoriali possono cambiare le conclusioni su crescita, specializzazione e produttività. In altre parole: se la statistica iniziale sottostima il PIL, si induce una percezione “più debole” del sistema economico corrente, che può orientare male le decisioni di politica economica, di incentivi e di valutazione dell’efficienza settoriale.

Insomma forse l’Istat, allora, dovrebbe cominciare a valutare attentamente le sue metodologie per non incorrere in stime sbagliate che hanno poi riflessi sull’economia nazionale e sulla politica economica del governo. Come per esempio quello di rendere più chiaro, anno per anno, quanto delle sue stime è “provvisorio” e quanto è già soggetto a revisione.

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