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EconomiaScienza

Quando il cervello va in “pilota automatico”: come suoni e immagini dirottano le nostre decisioni

Uno studio dell’Università di Bologna svela perché alcune persone non riescono a smettere di fare scelte sbagliate: colpa di un “bug” nell’aggiornamento dei segnali ambientali.

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Crediamo di essere esseri razionali, padroni delle nostre scelte quotidiane, eppure spesso è l’ambiente circostante a decidere per noi. Un suono familiare, un’immagine accattivante, un colore specifico: sono segnali che il nostro cervello impara a collegare a un premio o a una punizione. Ma cosa succede quando questi meccanismi di apprendimento si inceppano?

Uno studio recente, condotto da un team dell’Università di Bologna guidato da Giuseppe di Pellegrino e pubblicato sul Journal of Neuroscience, getta luce su come i segnali ambientali possano letteralmente “dirottare” i processi decisionali, rendendo alcuni individui incapaci di aggiornare le proprie valutazioni anche di fronte a risultati negativi. Si tratta di uno studio di neuroscienza che avrebbe però delle interessanti conseguenze nel campo dell’economia comportamentale.

Il conflitto tra segnale e obiettivo

Il nostro cervello opera principalmente attraverso due sistemi di apprendimento:

  • Apprendimento strumentale: impariamo che una certa azione porta a una ricompensa.

  • Condizionamento Pavloviano: impariamo che un segnale visivo o uditivo (il campanello di Pavlov, per intenderci) predice l’arrivo di quella ricompensa.

Il problema sorge nell’interazione tra i due. Lo studio ha evidenziato come non tutti reagiscano allo stesso modo ai segnali esterni. I ricercatori hanno identificato due tipologie di soggetti, distinguendoli tramite l’analisi dei movimenti oculari e la dilatazione della pupilla:

  1. Goal-trackers (Inseguitori dell’obiettivo): mantengono l’attenzione sul risultato finale e usano i segnali solo come informazione accessoria.

  2. Sign-trackers (Inseguitori del segnale): attribuiscono un valore eccessivo al segnale stesso, diventandone quasi ossessionati.

La trappola della rigidità cognitiva

Per i “Sign-trackers“, il segnale diventa più importante del risultato. Quando le condizioni cambiano e quel segnale, che prima indicava un premio, inizia a portare a esiti rischiosi o negativi, questi individui faticano enormemente a “disimparare” l’associazione.

La ricerca ha mostrato che le loro decisioni rimangono ancorate a vecchie credenze, portandoli a perseverare in scelte svantaggiose. Non si tratta di una semplice preferenza, ma di una lentezza nell’aggiornare i valori Pavloviani. Il cervello, in sostanza, rifiuta di accettare che la realtà è cambiata.

Ecco una sintesi delle differenze emerse nello studio:

CaratteristicaGoal-TrackersSign-Trackers
Focus AttentivoSul risultato finaleSul segnale (immagine/suono)
FlessibilitàAlta: si adattano se le regole cambianoBassa: restano ancorati al segnale
Rischio ComportamentaleDecisioni ponderatePersistenza nell’errore

Implicazioni per le dipendenze e l’ansia

Questa rigidità cognitiva offre una chiave di lettura tecnica, ma fondamentale, per comprendere disturbi come le dipendenze, i comportamenti compulsivi e l’ansia. In questi casi, la difficoltà non risiede tanto nell’incapacità di capire che una scelta è dannosa, quanto nell’impossibilità neurobiologica di sganciare l’attenzione dai segnali che innescano il comportamento. I Sign Tracker tendono a seguire i segnali come falene la luce, in modo eccessivamente istintivo.

L’approccio computazionale dello studio suggerisce che intervenire su questa “inflessibilità” potrebbe essere la nuova frontiera per trattare condizioni segnate da una reattività disadattiva agli stimoli. Insomma, a volte non è la volontà a mancare, ma è il “software” di aggiornamento del cervello che necessita di una patch, di una correzione, e bisognerebbe andare in quella direzione.


Domande e risposte

Perché continuiamo a fare scelte sbagliate anche se sappiamo che ci danneggiano?

Spesso non è una questione di masochismo, ma di un meccanismo cerebrale inceppato. Secondo lo studio, alcune persone (i cosiddetti “sign-trackers“) assegnano un valore eccessivo ai segnali ambientali (suoni, immagini) che in passato promettevano una ricompensa. Anche quando l’azione non porta più benefici, il cervello fatica ad aggiornare questa associazione, rimanendo bloccato in un automatismo che ignora le nuove informazioni negative. È come seguire un vecchio navigatore che non sa che la strada è interrotta.

Chi sono i soggetti più a rischio secondo questa ricerca?

La ricerca identifica una categoria specifica di persone definita “sign-trackers”, ovvero individui che tendono a concentrare la loro attenzione visiva e mentale sui segnali che anticipano una gratificazione, piuttosto che sulla gratificazione stessa.2 Questi soggetti mostrano una maggiore rigidità cognitiva: faticano a modificare il loro comportamento quando le circostanze cambiano. Questa caratteristica sembra essere un tratto comune in chi soffre di dipendenze, disturbi compulsivi o forti stati d’ansia, dove lo stimolo esterno comanda più della volontà razionale.

Come è stato condotto lo studio per arrivare a queste conclusioni?

I ricercatori dell’Università di Bologna hanno utilizzato un mix di tecnologie avanzate e modelli matematici. Hanno coinvolto 60 partecipanti sottoponendoli a test di tracciamento oculare (eye-tracking) e pupillometria per misurare dove guardavano e quanto intensamente reagivano agli stimoli. Attraverso la modellazione computazionale, hanno poi analizzato come i partecipanti “imparavano” e aggiornavano le loro credenze nel tempo, distinguendo chi si adattava velocemente ai cambiamenti da chi, invece, rimaneva ancorato ai vecchi schemi mentali nonostante l’evidenza contraria.

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