Crisi
IL QE: MILLE INTERROGATIVI
Stamani, ascoltando le varie rassegne stampa, si poteva avere la sensazione di assistere ad una messa cantata in onore del Quantitative Easing. Tutti i mezzi d’informazione si esprimevano in modo entusiastico, laudativo, encomiastico, quasi si trattasse di annunciare l’età dell’oro. Draghi ci permetterà di passare il Mar Rosso a piedi asciutti. Si può capire un certo ottimismo della volontà, ma quando il rischio è che l’Imperatore sia nudo bisognerebbe imporsi dei limiti.
Il QE è in realtà complesso, tanto che è difficile giudicarlo. I punti interrogativi sono moltissimi. Per esempio, la Bce investirà sessanta miliardi al mese per diciotto mesi, ma li spenderà direttamente sul mercato secondario, cioè in Borsa, comprando i titoli che sono venduti prima della scadenza, o dando agli Stati il denaro necessario per farlo? Secondo il “Corriere”, “Il punto non è tanto chi acquisterà i titoli, se la Bce o le banche centrali, quanto chi si farà carico dei relativi rischi”. Il che corrisponde a dire che non si sa chi li comprerà. Se li compra la Banca d’Italia, lo farà con denaro della Bce? E le somme saranno iscritte a suo debito nella Bce, o che cosa? Perché non specificarlo?
L’intento dichiarato è quello di riportare l’inflazione al due per cento, tanto da prendere in considerazione l’ipotesi di continuare anche dopo il settembre 2016. Ma come mai alcuni dicono che lo stesso non si dovrà sforare il 3% del rapporto deficit/pil? Se si vuole l’inflazione, non avendo altre leve, bisogna immettere denaro in circolo: ma se si fa ciò, si sfora il limite del 3%. Come mai nessuno annuncia l’allentamento di questo vincolo? Se al contrario si fanno gli acquisti con denaro altrui, quando, come e a chi bisognerà rimborsarlo?
I titoli potrebbero essere comprati per “stracciarli” una volta acquistati (anche quelli che scadrebbero fra molto tempo) per diminuire il debito pubblico. Si darà del contante agli investitori (per un terzo stranieri), si creerà inflazione, ma per spendere si aumenterà il disavanzo dello Stato. Insomma, si vuole soltanto cambiare tipo di debito pubblico? Ma bisognerebbe saperne di più.
L’immissione di liquidità dovrebbe anche servire ad incoraggiare la concessione di crediti per investimenti, e contribuire così al rilancio dell’economia. A questo scopo, “le banche potranno richiedere denaro allo 0,05% e non più allo 0,15%”. Ottimo intento. Ma non è uno 0,1% che farà la differenza. Le banche non mancano di liquidità (anzi investono in titoli pubblici), mancano della richiesta dei mutui da parte dei privati (che non hanno soldi, oppure non offrono garanzie) e delle imprese (che non hanno fiducia nei futuri profitti). E allora offrire più denaro alle banche è come insistere ad offrire l’acqua a un cavallo che non ha sete. Per aiutare sul serio gli imprenditori, bisognerebbe rendere più bassa la pressione fiscale, meno iugulatoria la regolamentazione delle imprese, più certe – e durevolmente certe – le regole del gioco. Un’impresa investe quando è ragionevolmente sicura che, investendo in Italia, farà profitti per i prossimi dieci anni. Quanto siamo lontani da questo si vede dal fatto che le imprese non investono.
Il nocciolo della manovra è comunque l’acquisto di titoli con la condivisione dei rischi: l’80% a carico delle banche nazionali, il 20% condiviso con la Bce. Checché significhi “condiviso'”. Ma soprattutto: qual è il rischio, se si è detto che si opera sul mercato secondario? In questo caso è come se il rimborso avvenisse addirittura prima della scadenza. E se invece – contrariamente alle premesse del “Corriere” – si parla di titoli di nuova emissione, e di mancato pagamento alla scadenza, si starebbe parlando di default degli Stati. In questo caso col 20% ci si farebbe vento. Fra l’altro, sempre se così fosse, con quale coraggio si dilata il debito pubblico, con ciò stesso aumentando il rischio di default? La Germania, ad ogni buon conto, limita drasticamente gli eventuali danni, con quel limite del 20%.
Qualcuno dirà che il QE è una mossa disperata per uscire dalla recessione. Si prova a far sì che ci sia maggiore fiducia (i giornali ne traboccano già) in modo da spronare la ripresa dell’economia, avendo per conseguenza, pur in presenza di un aumento del debito pubblico, un minore rischio di default. E se non funzionasse? Se la Bce fosse sicura del risultato si accollerebbe il 100% del rischio. Se non lo è, staremmo semplicemente scommettendo. O la va o la spacca. Il che sarebbe una bella cosa se stessimo in tribuna ad assistere allo spettacolo. Il fatto è invece che siamo nell’arena.
Gianni Pardo, [email protected]
23 gennaio 2015
Dati tratti da: http://www.corriere.it/economia/cards/acquisto-rate-titoli-paesi-euro-spinta-crescita/principale.shtml
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