Attualità
Il progettificio e la scuola di qualità
La scuola è di questi tempi spesso presente nelle notizie del giorno sia per le trovate del salsicciaio che sembrerebbe appunto considerarla una gustosa salsiccia da consumare, sia per gli esami di pseudo maturità dai quali giusto vengo. Nel marasma di idee confuse col quale di solito i problemi scolastici vengono trattai io parto con una domanda di fondo a cosa dovrebbe servire al scuola?
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale i tre paesi dell‘Asse avevano la loro struttura produttiva ed industriale distrutta , nel giro di un paio di decenni ritornarono tutti e tre ad essere potenze industriali e e divennero tre democrazie di primo piano. Non fu solo questioni di aiuti la società industriale nella sua complessità e la mentalità di democrazia industriale richiedono un know how ( va di moda dir così al posto di cultura) cioè una cultura complessiva di base che le permetta di svilupparsi. E’ un concetto che sembrava un po’ acquisito ma che la cultura globalista contemporanea ha rinnegato ponendo come unica condizione la massificazione dell’utile accompagnata dall’abbassamento della paga base e spesso presentando, a cominciare da certi presidenti della repubblica italiana (minuscolo intenzionale), la svendita del know how come un grande affare per il paese. Vi è pero un altro ruolo che la scuola gioca in una nazione che è quello dell’equità sociale, di solito quando si parla di equità sociale si pensa solo ad una distribuzione il più possibile uniforme ( specie dalla parti della sinistra) del reddito da lavoro. In realtà vi è un altro grande fattore di equità sociale che è a mobilità sociale volgarmente spesso ridotta al termine di meritocrazia. Il fatto che i cittadini con più grande capacità abbiano accesso alle più alte responsabilità dirigenziali e quelli che non le hanno no, è equità sociale. Il che parlando in un paese in cui la maggior parte dei posti nelle posizioni “privilegiati” sono ereditari o distribuiti con criteri feudali e dove i più brillanti giovani laureati i son spesso costretti ad emigrare fa abbastanza ridere. Ed forse per questo che è meglio che non si parli di questo aspetto dell‘istruzione.
La cosiddetta Buona Scuola di Renzi è in realtà l’ennesima spallata al sistema scolastico italiano con buona pace della retorica ipocrita con cui viene presentata dal giannizzero televisivo di turno e gli esami finali da cui vengo ormai una ritualità quasi inutile laddove anche tutti i tentativi di riformarli sono sostanzialmente falliti.
Il problema centrale della scuola è la qualità, qualità della conoscenze e delle competenze fornite(lo spirito critico e al flessibilità mentale fan parte integrante di queste) lo scopo centrale della scuola è questo, tutti gli altri aspetti(compresi quelli di calmiere sociale) tutte le altre cose se si vuole una scuola che funzioni devono essere subordinate a questo. Solo una scuola così è veicolo di mobilità sociale e di sviluppo del paese. Ma la verità è che la scuola la fanno per primi gli insegnanti non i funzionari ministeriali, non i presidi, non i politici e nemmeno i sindacalisti. La domanda a su cui ruota tutto è in fondo come garantire al qualità della scuola. Non certo con insegnanti sottopagati, demotivati, invecchiati e fedeli servitori di un dirigente che decide le loro assunzioni ( e in prospettiva il loro stipendio) in base a criteri clientelari ed alla disponibilità ad assumersi oneri di collaborazione ”amministrativa” . La verità è che da quando è stata introdotta l’autonomia negli istituti la concorrenza non è basata di regola sulla qualità dell’Istruzione ma sulla disponibilità di servizi, sull’economicità di un servizio di babysitter a buon mercato e spesso sulla facilità con cui si può acquisire l’agognato pezzo di carta. Ciò porta utenza, finanziamenti, incentivi, la normale qualità dell’insegnamento non porta niente nè alle casse dell’istituto nè a quelle dei suoi dirigenti anzi, magari porta un po’ di grane da parte di genitori che hanno i figli respinti .
Il “diritto” al successo formativo si traduce normalmente all’abbassamento dell’asticella. Giacché se in teoria ciò significa lo sviluppo di qualità pedagogiche , sensibilità, disponibilità lavorative , creatività non che poteri da supereroe( a sentire certi corsi di aggiornamento,) da parte dei docenti al servizio degli alunni; nella pratica si risolve nel fatto che se abbasso l’asticella promuovo di più, anzi se io promuovo quasi tutti o tutti nessuno potrà mai rimproverarmi ( a cominciare dal dirigente) di non aver raggiunto quelle qualità che garantiscono il successo formativo.
I primi a essere promotori di questa politica (peraltro pressati dall’alto) sono spesso i capi di istituto ai quali il Salsicciaio vorrebbe in pratica affidare poteri assoluti, la cosa di cui invece l’Italia e la scuola hanno assolutamente bisogno è invece una spinta ritornare a migliorare la qualità, ma il punto è questo come garantirla ,come fare in modo che un lavoro altamente motivazionale come quello dell’insegnamento (se non lo si riduce al semplice ruolo di istruttore)non funzioni al continuo ribasso come abitualmente capita da decenni ( il sottoscritto che passa spesso per insegnante “cattivo” in una scuola di Eccellenza svolge oggi un programma che è poco più della metà di ciò che insegnava 20 anni fa). Il segreto a mio avviso è innescare un meccanismo interno di controllo e stimolo, cioè affidare la valutazione su base ciclica (e quindi non su un campione troppo piccolo ) del lavoro svolto al ciclo di studi superiore. Nessun insegnante di scuola media inferiore avrebbe interesse a coprire magagne sostanziali ed abituali in alunni che riceve dal ciclo precedente così al biennio superiore e così al triennio superiore.. Sul diploma poi la cosa più saggia sarebbe togliergli il valore legale. Senza di esso la concorrenza tra istituti sarebbe sul valore sostanziale del l’insegnamento dato e non su quello formale, sul numero del le decorazioni , progetti e coriandoli pubblicitari vari allegati. Tanto più che c’è una cosa oggi di cosa di cui nessuno parla e che rischia sia di portare all’esaurimento molti alunni del quinto anno sia di rendere inutili gli esami . Le prove di ammissione alle facoltà universitarie COINCIDONO oggi con i tempi di preparazione all’esame finale e sono molto più difficili ed importanti per la maggior parte dei ragazzi che vogliono proseguire gli studi.
Altro problema spinoso è il fatto che non tutti abbiano la propensione far tutto (al di là delle velleità e dei desiderata) e che la selezione abbia anche la funzione di deterrente e di indirizzo a chi sceglie una strada per cui non è adatto. Per chi insegna è evidente che molti ragazzi non son portati agli studi teorici e francamente io stimo di più un buon meccanico che un usciere con un diploma di ragioneria. Il che vuol dire che accanto ad un percorso robusto sul paino teorico ( non importa se tecnico o liceale)occorre una scuola professionale di qualità (l’esempio più interessante in questo campo è quello tedesco). Naturalmente per fare una politica del genere ci vuole una stato serio, un governo serio ed autorevole con una visione di lungo termine che è tutto il contrario di ciò che esiste in Italia adesso per cui quello che ho scritto il lettore può pure al momento farlo rientrare nel campo del’Utopia oppure rifletterci sopra.del’Utopia oppure rifletterci sopra.
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