Analisi e studi
Processo penale: critiche alle proposte della Commissione Lattanzi (di P. Becchi e G. Palma)
di Paolo Becchi e Giuseppe Palma
Il 24 maggio la Commissione Lattanzi, istituita dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia presso l’Ufficio legislativo del Ministero di Via Arenula, ha depositato una propria relazione con l’obiettivo di elaborare proposte di riforma al disegno di legge n. AC 2435, quello sulla riforma del processo penale presentato dall’ex ministro grillino Bonafede prima della caduta del Conte bis. La Commissione, presieduta dall’ex Presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi, ha depositato la relazione finale con alcune proposte che ora passano all’esame del Parlamento.
Questi i punti salienti della relazione che incidono sul processo penale:
- Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi:
La proposta è quella di prevedere che il giudice di cognizione (primo grado o appello), qualora la pena detentiva comminata non superi i tre anni di reclusione, possa sostituire la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità se l’imputato non si oppone. Una misura importante perché mira a smaltire di parecchio il lavoro del Tribunale di Sorveglianza in sede di ricorso contro l’esecuzione della pena. Oggi gran parte delle udienze davanti al Tribunale di Sorveglianza riguardano i ricorsi in opposizione all’esecuzione delle pene detentive non superiori a tre anni, dove sostanzialmente viene quasi sempre deciso l’affidamento in prova. Una cosa che potrebbe risolversi già in sede di giudizio di cognizione e non di esecuzione.
- Pena pecuniaria:
La relazione propone che il giudice possa prevedere, in taluni casi, la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria. Anche questo è importante, ma aggiungiamo che la pena pecuniaria non deve essere esclusa dal beneficio della sospensione condizionale come invece propone – a nostro avviso erroneamente – la relazione. Il beneficio della condizionale è previsto dagli articoli 163-168 del codice penale, e viene concesso attualmente qualora la pena non sia superiore ai due anni di reclusione e solo al primo reato commesso dall’imputato (ovvero anche quando è già stato condannato in passato ma manca nel rapporto col nuovo reato la recidiva infraquinquennale). Un specie di “perdono giudiziario” che, nella cornice di una giustizia liberale e garantista, non si può negare a nessuno, quantomeno al primo reato.
- Causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto:
La proposta mira ad estendere la fattispecie di cui all’art. 131 bis del codice penale, cioè l’ “assoluzione” per particolare tenuità del fatto introdotta dal Legislatore nel 2015. La Consulta, con sentenza n. 156/2020, ha dichiarato l’incostituzionalità della norma “nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva”. La Commissione ha dunque proposto, nell’applicazione futura della norma, di fissare il minimo edittale della pena detentiva a tre anni di reclusione per i reati consumati e nove anni per i reati tentati. In questo modo, se si trattasse di primo reato, l’imputato eviterebbe non solo la pena detentiva ma addirittura una sentenza di condanna, anche perché un buon numero di reati sarebbero, sì, perseguibili, ma non punibili. Anche questa è una proposta importante.
- Digitalizzazione:
La proposta della Commissione è quella di inserire la regola della obbligatorietà dei depositi telematici in tutti i settori del processo penale, in continuità con la legislazione emergenziale ma con una sacrosanta eccezione: “prevedere che l’imputato e la persona offesa che non abbiano la possibilità di effettuare depositi in modalità telematica li possano effettuare in modalità non telematica”. Condividiamo in parte, riteniamo infatti che nell’ambito del processo penale debba sussistere per la difesa un lungo periodo di transizione in cui mantenere il doppio binario telematico-analogico, esattamente come avvenuto anni fa col processo civile, dando a tutti gli avvocati il tempo di adeguarsi facilmente al corretto funzionamento degli strumenti telematici, che debbono essere il più possibile semplici e intuitivi da utilizzare.
- Prescrizione:
Questo il nodo più complesso. La Commissione “condivide anzitutto l’opportunità … di modificare la disciplina introdotta nell’art. 159, comma 2 c.p. dalla l. n. 3/2019”. La prescrizione voluta da Bonafede va dunque cambiata. Due sono le ipotesi avanzate dalla relazione: “(“ipotesi A”) che, prevedendo un meccanismo di sospensione nei giudizi di impugnazione, si muove nel solco delle riforme del 2017 e del 2019, come anche del cd. lodo Conte; una seconda (“ipotesi B”) che, invece, implica una radicale, diversa, scelta di fondo: l’interruzione definitiva del corso della prescrizione con l’esercizio dell’azione penale e, da quel momento, la previsione di termini di fase – per ciascun grado del giudizio – il cui superamento comporta l’improcedibilità dell’azione penale”. A nostro avviso l’ipotesi “B”, per cui il mancato rispetto dei termini di fase (cioè dei termini di durata di tutte le fasi del procedimento) deve comportare la improcedibilità dell’azione penale, ci sembra la soluzione preferibile: se si vuole una sospensione della prescrizione occorre introdurre necessariamente termini perentori (e non semplicemente ordinatori) per la durata di ciascuna fase del procedimento (indagini preliminari, dibattimento in primo grado, appello etc).
- Condizioni di procedibilità:
Ci aspettavamo un intervento sulla eliminazione della obbligatorietà dell’azione penale, ma non è arrivato. La Commissione si limita ad incentivare le finalità deflattive della riforma, “auspicando ulteriori interventi, da parte del legislatore delegato, volti a estendere il regime di procedibilità a querela di parte ad ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio, di non particolare gravità”. Insomma, più reati procedibili a querela di parte e meno d’ufficio. Qui si sarebbe dovuto andare verso la graduale eliminazione della obbligatorietà dell’azione penale, ma si è preferito virare verso una deflazione dei reati perseguibili d’ufficio: poca roba perché le Procure resteranno in ogni caso ingolfate.
- Impugnazioni:
Un primo intervento proposto è quello di “prevedere che contro la sentenza di non luogo a procedere non possano proporre appello il pubblico ministero e la parte civile”. Occorreva maggiore coraggio, serviva infatti una proposta più radicale che impedisse al Pm l’impugnazione anche delle sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato. Aspetto che invece non condividiamo è quello di “strutturare l’appello quale impugnazione a critica vincolata, prevedendo i motivi per i quali, a pena di inammissibilità, può essere proposto; prevedere l’inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi quando nell’atto manchi la puntuale ed esplicita enunciazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto espresse nel provvedimento impugnato”. Una barbarie. Vincolare l’impugnazione in questo modo rischia di abbattere il sacrosanto diritto dell’imputato di godere della legittima aspettativa di vedersi riesaminato il caso in sede di gravame, anche perché un primo “filtro” in appello era già stato introdotto tre anni fa dall’allora ministro della giustizia Orlando. Non servono ulteriori filtri.
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Manca del tutto la proposta più coraggiosa, quella di limitare ai soli reati più gravi il ricorso alla custodia cautelare in carcere, il cui abuso negli ultimi tre decenni è sotto gli occhi di tutti. Per fortuna questo argomento sarà oggetto dei referendum abrogativi proposti dalla Lega e dai Radicali.
Ora il Parlamento lavorerà sulle proposte avanzate dalla Commissione Lattanzi. Col M5S che rappresenta la maggioranza relativa in entrambe le Camere sarà molto difficile giungere ad una riforma liberale e garantista del processo penale, il quale – occorre ricordarlo – investe i diritti fondamentali dei cittadini. È inaccettabile che gli altri partiti continuino ad assecondare – come avvenuto con la prescrizione – le proposte giustizialiste dei grillini.
di Paolo Becchi e Giuseppe Palma
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