Esteri
Post fondamentale – La politica estera USA ed il dollaro forte su cui si basa la strategia di Obama, un prossimo presidente Rep ne imporrebbe il crollo. La deflazione che verrà
Negli scorsi 60 anni gli USA hanno potuto fare leva sul dollaro come moneta di riserva globale. Essere valuta di riserva significa poter controllare ed indirizzare la valorizzazione della propria unità monetaria a seconda dei propri interessi, facendola fluttuare indipendentemente dai propri parametri macroeconomici. Letta in altro modo avere la valuta di riserva globale significa poter acquistare preziose merci scambiandole con carta verde di dubbio valore: la bilancia commerciale di un paese detentore dalla valuta di riserva può essere costantemente in deficit senza dover temere svalutazioni, è il caso USA dallo shock petrolifero di metà anni ’70 in avanti.
Per essere valuta di riserva non basta la potenza economica, ci vuole anche l’addendo militare in grado di scoraggiare chiunque a ribellarsi. E serve anche uno stuolo di paese alleati/allineati che giochino per te, permettendo come contropartita di approfittare di indubbi vantaggi quali la possibilità di crescere all’unisono con il dominus (…).
Negli ultimi 3 anni abbiamo visto il dollaro rivalutarsi in modo sostanziale, spinto al rialzo da una supposta economia USA forte; in ogni caso meglio dire che la forza USA dipende molto dalla moral suasion del presidente Obama intento a far rieleggere un democratico alla casa Bianca il prossimo novembre. Per questa ragione egli non perde occasione per incensare pubblicamente i propri successi e la forza dell’economia a stelle e strisce: peccato si dimentichi di dire che la discesa della disoccupazione USA dipenda in grandissima misura dalla salita dell’occupazione di bassissimo livello, venditori di hot dog, inservienti, camerieri, non precisamente lo stereotipo del sogno americano. Oltre a non aver risolto per nulla le storture del sistema finanziario post sub-prime, storture non a caso introdotte da un Dem come lui, un certo Bill Clinton che con la cancellazione del Seagall-Glass Act gettò il seme della crisi subprime. Non a caso la moglie dell’ex presidente americano è oggi candidata alla Casa Bianca supportata dell’establishment finanziario USA: per valutare gli effetti della politica Dem USA degli ultimi 8 anni – e magari dei prossimi 4 – si rammenti che, nonostante la retorica, oggi la segretaria di Warren Buffet continua a pagare più tasse del suo ricchissimo datore di lavoro, precisamente come accadeva prima dell’elezione di Obama e nonostante le vane promesse della corrente amministrazione atte a correggere tale evidente stortura. Della serie, a Obama va bene che i poveri diventino più poveri ma almeno con l’assistenza sanitaria pagata, mentre i ricchissimi diventano sempre più la ricchi; la classe media invece è in via di rapida estinzione… Si capisce perchè gran parte dell’alta finanza voti Dem…
La spiegazione sopra è però monca: la forza attuale del dollaro è lo strumento su cui fa leva l’amministrazione Obama per deragliare i tentativi russi ed soprattutto cinesi di spodestare il dollaro USA come valuta di riserva globale. E per combattere tale tendenza “eversiva” lo strumento è sempre lo stesso, mantenere forte il verdone. Per spiegare meglio le dinamiche, quello che sta accadendo è che gli USA da una parte stanno sfidando più o meno apertamente Mosca in Ucraina e Sirya utilizzando per lo più l’arma destabilizzatrice dei mercati finanziari , ossia facendo svalutare il rublo ed abbassando il petrolio, di fatto cercando di rendere Mosca insolvente. Per fare questo è necessario un dollaro forte come contraltare, immaginate un dollaro che passasse – come invece dovrebbe – da 1.10 contro euro a dove era due anni fa, poco sotto 1.40, chiaramente la svalutazione del rublo avrebbe tutto un altro peso agli occhi degli speculatori, rendendo vana la policy obamiana di indebolimento di Mosca (oggi le principali multinazionali USA stanno subendo nei conti – deboli – gli effetti di un dollaro forte, ndr).
La sfida di Obama alla Cina ha seguito invece un’altra via ossia Washington pianificò per tempo il deragliamento dell’economia cinese attraverso un’inflazione interna soprattutto in termini di salari, la parità (peg) con il dollaro significava di fatto fare in modo che il differenziale inflattivo tra costi cinesi ed USA si allargasse rendendo le produzioni cinesi relativamente meno competitive di quelle americane grazie ad una più rapida salita degli stipendi cinesi. Il forte apprezzamento del dollaro non ha fatto altro che rendere i salari di Pechino, in forza dell’ancoraggio dello yuan al dollaro, sempre meno competitivi. Da qui la decisione – inattesa e assolutamente game changer – dello scorso anno di svalutare lo yuan a fronte di una forza inconsulta del biglietto verde, fatto che ha scatenato le ire americane che hanno visto il loro progetto di deragliamento dell’economia cinese fallire. Dunque, se il dollaro dovesse svalutarsi – come i fondamentali USA imporrebbero – ciò porterebbe ad una svalutazione anche dei fattori e quindi dei costi produttivi cinesi in yuan, di fatto deragliando il progetto obamiano di ridimensionamento della forza economica cinese per via del differenziale inflattivo.
Come controprova basti rilevare che i salari della manifattura USA son saliti dal 2006 al 2015 da circa 16.5 a 20 USD/ora. Nello stesso periodo i costi dei salari cinesi nello stesso settore sono quasi quadruplicati!
Or dunque, se il dollaro si svalutasse l’effetto sarebbe quello di annichilire i progetti egemonici obamiani fatti di provocazione a Russia e Cina. Parimenti un crollo del verdone darebbe fiato all’economia reale USA, ridimensionando però il settore finanziario che tanta parte ha avuto nelle strategie USA degli scorsi 8 anni attraverso la manipolazione dei mercati nella direzione indicata dalle policies economiche USA ossia “gestendo” le valute, l’oro, il petrolio e fin anche i mercati azionari (mercati che NON devono crollare fino a Novembre prossimo affinchè un democratico possa essere rieletto, nessun presidente/partito politico USA ha avuto la rinnovata l’approvazione presidenziale in presenza di crollo delle borse americane).
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Una appunto sull’oro: il metallo giallo NON deve salire oggi in quanto comporterebbe inevitabilmente un indebolimento del dollaro, quando sale l’oro significa che manca la fiducia nel dominus, questa è la legge aurea. E dunque la finanza lo ha opportunamente spinto in basso, oggi siamo forse al redde rationem in quanto manca metallo da poter consegnare contro futures, ossia siamo vicini ad un default delle borse fisiche occidentali dell’oro incapaci di consegnarlo ai compratori dei futures. Compratori che sono sempre – per il metallo fisico – cinesi, indiani o russi.
Niente da dire, Obama rischia di aver combinato un bel disastro: il crollo del dollaro sarà l’epilogo della sua presidenza. E forse anche di molte altre rendite di posizione sedimentate nei decenni, includendo in queste anche l’Europa Unita destinata sfracellarsi in presenza di un dollaro in crollo (e parallelamente di un euro in rialzo esponenziale). Non va infatti dimenticato che se il dollaro crollerà si porterà dietro l’EU e la salute economica di tutti i paesi esportatori del mondo la cui valuta non sia quella americana, ovvero il deficit commerciale USA tenderà ad annullarsi con la conseguenza di accumulare sul mercato i beni non acquistati dagli States, leggasi deflazione a livello planetario…
In tale contesto chi vorrà rimanere a farsi massacrare da una valuta ipervalutata come l’euro tedesco, moneta figlia del marco e dell’austerità berlinese? Vista così l’uscita dall’euro per i periferici è un’opzione irrinunciabile. Anzi, direi una necessità per tutti, tranne che per i tedeschi …
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Conclusioni
Or dunque, per tutte queste ragioni un presidente stile Trump è fortemente osteggiato dai poteri forti globali, un presidente che se dovesse finalmente portare vere correzioni alle storture sedimentate da decenni di fatto penserebbe al bene della cittadinanza USA e quindi inevitabilmente metterebbe nei guai l’establishment globale, soprattutto quello straniero [oggi a carro della politica della finanza americana] e comunque tutti gli stakeholders dell’economica finanziarizzata che conosciamo oggi: viene da pensare che – logicamente – per molta parte di essi resta preferibile la distruzione della classe media non solo americana e magari anche fare una salvifica guerra alla Russia piuttosto che andare ad esempio in direzione di una proficua pace con il nemico “necessario”, dove per necessario intendo per affogare mediaticamente gli enormi errori in politica economica accumulati da anni che ci hanno portati ormai in deflazione conclamata, pace che inevitabilmente minerebbe le basi del loro potere attuale e metterebbe nei guai il mondo che non avrebbe più il consumatore di ultima istanza chiamato America!
L’epilogo di F.D. Roosevelt dovrebbe esserci di aiuto nel comprendere cosa abbiamo innanzi: prima supportò Hitler e poi lo combattè mortalmente anche e soprattutto come soluzione (soprattutto per abbattere la disoccupazione, che il capitalismo come suo proprio difetto non controlla) di una crisi economica ai tempi ancora irrisolta nonostante gli svariati New Deals, [oggi il prezzo della crisi economica strisciante non viene pagato con una disoccupazione di massa ma con l’impoverimento della classe media in ambito deflattivo; è logico, partiamo da situazioni socio-economiche molto diverse rispetto ad allora – la prova di questo è che il Trump di turno riveste proprio il ruolo di paladino della classe media in estinzione… -].
Comunque vada, Trump o non Trump, ci sarà un eccesso di fatto ingestibile nell’economia globale che sta implodendo in un mare di carta e deflazione annessa, sia cambiare radicalmente la politica estera USA (basata sul dollaro forte in un contesto di estrema debolezza della domanda globale) che mantenerla determinerà – a causa degli eccessi accumulati dal sistema globale – scombussolamenti tali da minare alle fondamenta il modello capitalistico di tutte le economie occidentali che hanno vissuto di pax americana, a partire dai paesi più deboli come l’Italia. Ed a patirne le pene sarà il famoso 99.7% della popolazione occidentale.
Mitt Dolcino
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