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Petrolio, Sanzioni e Realpolitik: Lukoil in Crisi, Baghdad interviene per salvare 480.000 barili al giorno

CRISI ENERGETICA E SANZIONI: L’Iraq paga in segreto gli stipendi Lukoil per salvare 480.000 barili di petrolio. Il “babysitting” petrolifero di Baghdad per placare Washington e Mosca

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Quando l’economia internazionale incontra il rigore geopolitico delle sanzioni, i meccanismi di mercato rischiano di incepparsi in scenari complessi, spesso risolvibili solo con interventi di pura Realpolitik. È il caso del gigantesco giacimento petrolifero iracheno West Qurna-2, dove la russa Lukoil gestisce una produzione vitale, oggi minacciata.

Dove si trova il giacimento

L’ultimo visibile campanello d’allarme è suonato dopo due mesi di stipendi non pagati al personale locale. La causa? Le sanzioni imposte da Washington lo scorso 22 ottobre, che hanno congelato la capacità di Lukoil di effettuare i trasferimenti finanziari transfrontalieri.

La tensione è salita rapidamente, poiché un blocco prolungato avrebbe significato la paralisi di una struttura che pompa circa 460.000-480.000 barili al giorno. Questa cifra, benché rappresenti lo 0,5% della produzione globale, costituisce quasi un decimo dell’output iracheno totale, un volume che Baghdad non ha modo di sostituire in tempi brevi.

L’Intervento di Emergenza: Il “Babysitting Economico”

Il governo iracheno non può permettersi un’interruzione di tale portata, data la dipendenza critica dalle esportazioni per le entrate statali. In un’azione che potremmo definire di “babysitting economico”, Baghdad è intervenuta in modo pragmatico: ha bypassato Lukoil e ha iniziato a pagare direttamente gli stipendi al personale locale, anticipando persino le retribuzioni di dicembre.

Si tratta di un intervento di emergenza mirato all’autoconservazione, non alla tutela della compagnia russa. Il campo, infatti, è riconosciuto dai funzionari iracheni come troppo complesso per essere assorbito e gestito immediatamente dalle compagnie statali.

Questa delicata manovra si inserisce in un contesto geopolitico più ampio:

  • Forza Maggiore: L’intervento di Baghdad arriva dopo che Lukoil aveva dichiarato forza maggiore sul giacimento, in seguito al blocco da parte dell’Iraq di tutti i pagamenti e dei settlement in greggio destinati alla società sanzionata.

  • L’Exit Vistosa: Baghdad sta ora cercando una deroga di sei mesi dagli Stati Uniti per consentire a Lukoil di finalizzare la vendita della sua quota del 75%. Funzionari statunitensi ed europei considerano questa cessione un successo delle sanzioni e un arretramento strategico dell’influenza russa nel settore energetico iracheno.

  • Il Veto USA: L’Iraq sta valutando almeno tre acquirenti (uno cinese, due occidentali), ma Washington ha già fatto sapere che bloccherà qualsiasi transazione che possa rafforzare la posizione di Mosca o costituire una via d’uscita dalle sanzioni.

La situazione attuale è, dunque, una singolare e forzata coesistenza: la partecipazione russa è congelata, gli Stati Uniti mantengono il controllo strategico e l’Iraq si ritrova a coprire il payroll per evitare il panico sui mercati globali. Un equilibrio precario di Realpolitik gestito, ironicamente, in un campo petrolifero.

Domande e risposte

Perché gli Stati Uniti permettono la vendita della quota Lukoil invece di confiscarla? Gli Stati Uniti non sono interessati primariamente alla confisca, quanto al ritiro strategico della Russia da asset chiave in Medio Oriente. La vendita della quota di Lukoil, pur avvenendo sotto pressione sanzionatoria, permette di ottenere questo risultato senza interrompere la produzione (che danneggerebbe i mercati) e senza dover gestire direttamente un asset straniero complesso. L’obiettivo è garantire che l’acquirente finale non sia legato a Mosca, consolidando la “vittoria delle sanzioni” sul piano dell’influenza geopolitica.

Qual è il rischio se la vendita della quota Lukoil non si concretizza in sei mesi? Se l’Iraq non ottiene la deroga e Lukoil non riesce a cedere la sua partecipazione del 75%, la compagnia russa potrebbe interrompere del tutto la produzione e ritirarsi dal progetto, come previsto dal contratto in caso di forza maggiore prolungata. Tale scenario costringerebbe l’Iraq ad affrontare un gap produttivo di quasi mezzo milione di barili al giorno che non può essere compensato, con un grave impatto sulle finanze statali e potenzialmente sui prezzi internazionali del greggio.

Quali sono le motivazioni economiche dell’intervento di Baghdad? L’intervento di Baghdad di pagare gli stipendi è motivato da un principio di stabilità macroeconomica e keynesiana. L’Iraq dipende quasi interamente dalle esportazioni di petrolio. Una brusca caduta di 480.000 bpd avrebbe causato un crollo delle entrate statali e un potenziale instabilità sociale e operativa nel Paese. Agire da “datore di lavoro di emergenza” è il modo più rapido ed efficace per mitigare il rischio sistemico e mantenere i flussi finanziari vitali per lo Stato.

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