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Esteri

Perché Trump si circonda di militari? Semplice, per difendere se stesso e la sua agenda (riappacificatrice)

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Abbiamo letto delle recenti nomine di Donald Trump, in particolare il Senior Defense Advisor (gen. Michael Flynn) ed il capo della CIA (Mike Pompeo): due ex militari, di cui uno di altissimo rango. Ma non deve sfuggire la futura nomina a segretario della difesa, accostata forse troppo frettolosamente al gen. James Mattis – che comunque avrà un ruolo nell’amministrazione – o al coinvolgimento del nostro stimatissimo oriundo gen. Pace ex capo supremo della difesa USA nella short list dei candidati al ministero. 

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La domanda sorge spontanea: perché tanti militari? Si vuol fare una guerra?
Direi il prefetto contrario, tanti militari servono per scongiurare un conflitto, non a scatenarlo.
Il problema è che l’amministrazione Obama a dispetto del Nobel per la Pace dato in forma preventiva verrà ricordata come la più guerrafondaia dai tempi di Truman in termini di numero di focolai accesi durante la sua presidenza. Non a caso anche Obama è un democratico: i grandi scontri, quelli ideologici, partono sempre da una presidenza Dem USA. Ed infatti oggi circolano ancora i metaboliti di tale policy basata su una impostazione destabilizzante delle azioni governative obamiane. Da qui la pericolosità del momento, sia in termini di sicurezza del presidente eletto (volto a cambiare radicalmente impostazione) che di colpi di coda dell’entourage in uscita mirati a limitare la futura azione presidenziale atta quanto meno a razionalizzare il numero dei teatri di scontro.

Oggi solo i militari sono in grado di frenare derive potenzialmente antidemocratiche del sistema statunitense, mettendo a repentaglio la struttura decisionale operativa dal di dentro: sapendo che Flynn, Mattis o Pace saranno al governo difficilmente verranno avallate operazioni “ardite” da parte dei comandi sul campo specialmente nel tempo che ci separa dalla nomina del nuovo presidente a gennaio 2017 (a cui seguirà la successiva epurazione dei vertici legati alla precedente amministrazione). In tale contesto mai dimenticare che gli USA detengono il record mondiale di presidenti che hanno subito attentati alla vita durante il loro mandato (…).

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Non è per altro un segreto che lo stimatissimo gen. Flynn, ex capo dei servizi segreti militari USA che ben conosciamo in Italia, ex democratico ma assai critico con la linea operativa della presidenza Obama, è contrario all’uso di agenti destabilizzatori infiltrati nelle fila dei terroristi, gli stessi infiltrati che portarono alla morte l’ambasciatore Stevens a Tripoli. O che è propenso ad una rappacificazione con la Russia. O che il gen. Mattis è osannato dai suoi soldati, che difende a spada tratta (non avrebbe mai e poi nei permesso un epilogo come quello libico sopra citato, parlo dei suoi Marines di scorta all’ambasciatore, un po’ come fece il gen. Carter Ham rimosso per essersi rifiutato di lasciar morire i suoi Marines durante la rivolta libica, periti a difesa del diplomatico). Varrebbe la pena di aggiungere che negli scorsi giorni è stranamente decollato un cd. “Doomsday Plane” dalla base di Travis in California, uno di quei voli che vengono attivati solo in caso di minaccia serissima alla sicurezza nazionale (sembra che l’ammiraglio Rogers sia andato urgentemente a New York dal presidente eletto a riportare le circostanze di tale inusuale evento, poi inspiegabilmente rientrato sembra per suo preciso ordine, rumors).

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Insomma, non è un momento facile. Gli USA sono nel bel mezzo di una transizione epocale causata dagli eccessi evidenti di un solo presidente, Barack Obama, in seno ad un indirizzo politico-affaristico condensato nella corrente clintoniana. Chiaro che gli interessi in gioco sono enormi. Il problema nasce se oltre ad interessi ci sono segreti indicibili da non divulgare, magari anche atti illegali compiuti durante l’espletamento di funzioni: più questi sono gravi più giustificano azioni ardite.
Con quello che abbiamo letto via wikileaks – e soprattutto con quello che non ci hanno fatto leggere – c’è da supporre che le verità taciute siano letteralmente esplosive per gran parte dell’establishment uscente. In questi casi, considerato che non è praticabile un accordo in continuità viste le incessanti critiche preventive degli stessi media che supportavano H. Clinton alla nuova amministrazione Trump, gli epiloghi possono essere solo due: o azioni reazionarie, proprio quelle che Trump sta cercando di prevenire con i militari al suo fianco per poi imporre la sua agenda; o la cancellazione delle prove (leggasi anche, fare in modo di evitare imbarazzanti testimonianze/presenze diventate scomode).
Comprendendo la tragicità dei due scenari, è comunque da preferire il secondo. E non per scelta politica e/o ideologica ma per mera umana sopravvivenza.

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