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PERCHE’ L’ITALIA NON PUO’ LAVORARE FIANCO A FIANCO CON LA FRANCIA

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Se il solito atteggiamento imperialista dei tedeschi rende impossibile, oggi, convivere (e “sopravvivere”) con loro sotto la stessa moneta, non è che il comportamento dei Francesi sia meno irriguardoso nei nostri confronti e meno dannoso per i nostri interessi. I Francesi, a quanto pare, sono molto pericolosi per il nostro tessuto produttivo ed industriale.

Il primo punto è quello normativo comunitario. Le economie Italiana e Francese sono tra loro complementari, sostanzialmente differenti, molto differenti, le une dalle altre.

Mentre in Francia il 48,5% dei dipendenti lavora in aziende sopra le 250 unità lavorative (ed in Germania il 55,7%), in Italia questa media è del 29,2%.

Già da questo primo dato, estratto dal presente grafico:

comprendiamo come le normative europee, se prese a riferimento per il nostro paese, comportano il mettersi sotto un cappello che distrugge il nostro tessuto industriale. Si pensi anche solo alla oramai prossima direttiva comunitaria, che Salvini ci ha fatto presente 2 giorni fa, secondo la quale le confezioni di PASTA e OLIO dovranno riportare la dicitura “cibo dannoso per la salute” mentre esso non sarà previsto, parole di Salvini, per la DIET COKE!

Chiaro che la Francia, non potendo attendere la creazione nel lungo termine di nuove aziende dalle rilevanti dimensioni, se intende proseguire nell’integrazione coi tedeschi dovrà necessariamente fare shopping da all’estero per acquisire un numero sufficiente marchi e imprese che le consentano di colmare il gap. Quale miglior supermercato dell’Italia dei recenti governi?

Vi sono poi anche altri motivi per i quali non è possibile fidarsi dello sciovinismo della classe dirigente francese. Il primo è il tentativo di estendere all’Italia le regole di vita del CFA Francese, colpendo quindi il proprio partner direttamente dall’interno.

Devo rifarmi ad un pezzo di oggi su RISCHIOCALCOLATO, per la precisione a questo: https://www.rischiocalcolato.it/2018/06/macron-ora-puo-solo-mandarci-le-truppe-al-confine.html .

in cui si cita il tweet di Musso:

Grazie a tale cinguettio, si intuisce benissimo che l’invasione di africani in Italia deve essere coordinata dall’ELISEO. Senza il suo assenso, una tale libertà di movimento non sarebbe stata affatto possibile. Un simile caos non può essere opera delle aziende italiane di dimensione superiore ai 250 dipendenti al fine di ottenere la disoccupazione necessaria ad attuare i piani ben spiegati dal KALECKI, vedi pezzo di ieri, e nemmeno a ricreare le condizioni per un nuovo sistema di crescita dualistica come da modello di sviluppo HARRIS-TODARO.

Qui si mettono in gioco le questioni di sicurezza interna (guarda caso le micidiali navi ONG pare non siano affatto registrate in quei Paesi Bassi di cui, tanto fieramente,  portano la bandiera).

Ma la Francia è anche pericolosa, per noi, sul versante AFFARI ESTERI. Essa attenta il nostro paese anche sul versante controllo dei pozzi petroliferi libici:

 

L’Istituto Euroarabo, nel pezzo http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/tutte-le-mire-della-francia-in-libia-e-ancora-possibile-un-ruolo-per-litalia/, afferma:

“prima dell’inizio delle ostilità la produzione di petrolio della Libia ammontava a quasi a un milione e 600 mila barili al giorno, circa il 2% della produzione mondiale. Di questi circa il 52% era in mano a 35 aziende internazionali, capeggiate dall’italiana Eni, che nel 2010 aveva primeggiato, con i suoi 267 mila barili al giorno, sulla tedesca Wintershall e sulla francese Total, ferme, rispettivamente, a 79 mila e a 55 mila barili al giorno.

Non stupisce che Nicolas Sarkozy, dopo avere sostenuto strenuamente il Cnt nella guerra di “liberazione” libica, si sia ben presto presentato a chiedere il conto sotto l’occhio vigile dell’amministratore delegato del gruppo Total, Christophe de Margerie. Allora il quotidiano francese «Libération» parlò addirittura di un accordo siglato dal portavoce del Cnt, Mahmoud Shammam, pronto a concedere alla Francia il 35% dei nuovi contratti petroliferi libici. Notizia poi smentita dalle parti, ma che per lo meno insinuò un dubbio”.

Capite? La Total, tra le aziende che si aporovvigionavano presso i pozzi libici, era al 3° posto, dopo la tedesca Winterschall e l’italiana Eni. E la distanza, in termini di barili giornalieri, era abissale, 267.000 l’Eni contro i 55.000 della Total.

Dunque, ricapitolando:

  • shopping di grandi aziende in Italia;
  • estensione del FRANCO CFA (e delle problematiche di vita che esso determina) allo stivale;
  • eliminazione delle nostre grandi aziende sui mercati internazionali.

A me pare più che sufficiente.

Credete ancora alla UE come simbolo di costruzione della Pace, o  cominciate a pensare che il colonialismo francese si stia estendendo anche alla nostra amata penisola ?

Io non ho dubbi! Ma io non conto nulla. Speriamo nel Lògos!

Ad maiora.


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