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Difesa

Perché l’Iran non ha ancora attaccato Israele?

L’Iran e Hezbollah sinora hanno rsposto in modo limitato all’eliminazione del capo di Hamas e del capo militare della milizia libanese. Si tratta di una strategia attendista che ha diverse motiviazioni che cerchiamo di presentaarvi.

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Sono passati dieci giorni dal presunto duplice attacco di Israele a Teheran, che ha ucciso il leader di Hamas Ismail Hanieh, e al sobborgo meridionale di Beirut, che ha ucciso il capo militare di Hezbollah Fuad Shukr, ma finora l’Iran non ha risposto al fuoco, ed Hezbollah non ha mosso tutta la sua potenza.

Entrambi hanno giurato vendetta, ma mentre il mondo guarda con apprensione a quello che molti temono possa essere l’ultimo passo di una regione che cammina pericolosamente vicino all’orlo di un conflitto molto più ampio, si chiede anche: perché non è ancora successo?

Non sono passati i 12 giorni che l’Iran ha impiegato per rispondere a quello che si riteneva fosse un attacco israeliano a Damasco, in Siria, che ha ucciso un alto funzionario militare iraniano, e questa settimana il leader di Hezbollah Hasan Nasrallah ha indicato che l’attesa era in parte una guerra psicologica progettata per tenere Gerusalemme sulle spine. Quindi la risposta iraniana è ancora possibile.

Alla fine è probabile che Teheran si stia prendendo il tempo necessario per valutare con precisione le modalità di rappresaglia in un momento delicato e ad alta posta in gioco, soppesando la propria vulnerabilità al previsto contrattacco di Israele.

La situazione “richiede un attento calcolo della loro risposta – un attacco che deve essere percepito come più di niente e meno di una cosa”, ha dichiarato a Breaking Defense Ali Bakir, senior fellow non residente presso l’Atlantic Council’s Scowcroft Middle East Security Initiative. “In altre parole, dovrebbe essere considerato più di un attacco per salvare la faccia e meno di un colpo serio che scatenerebbe una guerra su larga scala. Non si tratta di una missione facile da eseguire, poiché qualsiasi errore di calcolo potrebbe inavvertitamente condurre l’Iran in una guerra che non desidera né è attrezzata per vincere”.

Firas Maksad, direttore della sezione Strategic Outreach e senior fellow del Middle East Institute, ha affermato che l’Iran “non può rispondere in modo affrettato quando la posta in gioco è così alta per i suoi interessi di sicurezza nazionale”.

“Ad aprile, ha deliberato per 12 giorni prima di lanciare un attacco senza precedenti, ma attentamente calibrato, contro Israele”, ha detto, riferendosi alla raffica di 300 missili e droni lanciati dall’Iran verso obiettivi in Israele, la maggior parte dei quali sono stati intercettati dalle difese aeree israeliane e di altri Paesi. “Teheran ha lasciato spazio alla diplomazia di facciata prima di decidere come e quando agire”.

Behnam Ben Taleblu della Fondazione per la Difesa delle Democrazie concorda sul fatto che “la spiegazione più semplice e più probabile” è che l’Iran stia ancora valutando esattamente cosa fare, mentre valuta le conseguenze geopolitiche di un’azione. In altre parole, il regime sta cercando di capire come generare i dividendi politici di un altro attacco militare diretto e palese contro Israele e rafforzare la propria deterrenza, evitando al contempo di suscitare una risposta militare più forte da parte di Israele che potrebbe portare sia alla rovina che all’imbarazzo”.

Il gioco psicologico del gatto con il topo

Come ha indicato Nasrallah, tuttavia, l’aspetto psicologico dell’attesa dell’attacco è molto reale, secondo Bilal Saab, responsabile delle pratiche USA-Medio Oriente e consigliere del Consiglio scientifico e accademico presso la società di consulenza TRENDS research and advisory. “In altre parole, vogliono seminare paura e panico in Israele”.

Saab ha aggiunto che questa strategia è anche progettata “per attirare il più possibile l’attenzione del mondo e dei media sull’Iran, sul suo status e sulle sue capacità militari. Vogliono che tutti guardino l’imminente spettacolo”.

Un ulteriore vantaggio, secondo Saab, è rappresentato dalla “pressione finanziaria” esercitata sulle forze armate statunitensi, che hanno fatto ruotare le forze nella regione per contribuire potenzialmente alla difesa aerea e per scoraggiare un conflitto più ampio. Mantenere truppe nell’area costa molto, adesso che si sono uniti anche i caccia Stealth F-22 e la presenza navale è notevole.

Bakir e l’analista David Des Roches hanno suggerito un’altra potenziale causa di ritardo: il timore personale di Teheran su ciò che Israele potrebbe fare in risposta a un attacco. Bakir ha detto che l’Iran sta probabilmente cercando di eliminare qualsiasi infiltrazione israeliana nel suo apparato di sicurezza che ha reso possibile l’attacco a Teheran prima di rispondere, e questo è comprensibile, visto quello che è successo al leader di Hamas.

Des Roches, professore associato presso il Near East South Asia Center for Security Studies, ha dichiarato a Breaking Defense che parte della “deterrenza strategica” di Israele per evitare che l’Iran esageri è il fatto di aver dimostrato “di poter assassinare chiunque in Iran”. “Quindi penso che la risposta sarà limitata”.

Il governo statunitense accusa da tempo l’Iran di rifornire e, in qualche misura, dirigere la sua rete di proxy nella regione, di cui Hezbollah è il più grande e potente. Pertanto, la questione di un attacco coordinato con questi gruppi potrebbe avere conseguenze significative per le difese israeliane.

Nel suo discorso, Nasrallah non si è impegnato a coordinarsi con l’Iran e ha lasciato la questione aperta. Ma i sei esperti con cui Breaking Defense ha parlato hanno detto che è altamente improbabile che Hezbollah faccia qualcosa senza almeno il consenso dell’Iran, se non il coordinamento.

“Le milizie iraniane non sono indipendenti o autonome. Sono direttamente affiliate all’IRGC [Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche], soprattutto nel caso di Hezbollah. Pertanto, non possono intraprendere missioni o iniziative indipendenti che possano mettere in pericolo l’Iran o complicare i suoi calcoli”, ha affermato Bakir. “Qualsiasi azione intrapresa da Hezbollah – sia essa isolata, precedente, congiunta o successiva alle direttive iraniane – sarebbe in definitiva una decisione presa dall’Iran”.

Kristian Alexander, senior fellow del Rabdan Security & Defence Institute, con sede negli Emirati Arabi Uniti, ha affermato che un attacco diretto da parte di Hezbollah contro Israele è “certamente possibile, ma la probabilità che si verifichi dipenderà dalla valutazione dei rischi da parte di Hezbollah, dalle attuali dinamiche regionali e dal suo coordinamento con l’Iran e altri alleati”.

“Le conseguenze di un simile attacco sarebbero probabilmente gravi, non solo per Hezbollah, ma anche per il Libano e per la regione in generale”, ha sottolineato. Hezbollah non può permettersi di mettere in difficoltà direttamente tutto il Libano, dopo i contatti, fra l’altro, fra Francia e esercito libanese.

Des Roches si aspetta che la risposta sia una continua “azione per procura di basso livello, [che] sarà un attacco coordinato da parte di tutti i satelliti dell’Iran in Yemen, Libano e Iraq diretto contro Israele, e allo stesso tempo penso che ci sarà un attacco dimostrativo a lungo raggio contro Israele, da parte dell’Iran, solo perché l’Iran deve dimostrare di essere coinvolto nella partita”.

Nel suo discorso, sebbene Nasrallah abbia giurato una risposta “forte ed efficace”, ha anche suggerito che potrebbe almeno apparire in sordina, pubblicamente. Ha detto che la risposta dell’Iran sarà un “massacro con il cotone”, indicando che l’Iran potrebbe prendersi il suo tempo e la sua risposta potrebbe essere inaspettata, ma sarebbe comunque letale.


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