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Euro crisis

Perché la Grecia deve ripudiare i suoi debiti e uscire dall’euro

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Ottimo post da Freedonia di Francesco Simoncelli 

di David Stockman

Di tanto in tanto la storia raggiunge un punto di svolta. Statisti e semplici politici si ritrovano a doversi confrontare con situazioni spinose e scelte difficili. Febbraio 2015 è uno di questi momenti.

Da parte sua, la Grecia si trova ad un bivio. Syriza può muoversi per recuperare la sovranità democratica della Grecia, o può aggrapparsi disperatamente ad un euro vacillante e ai macchinari finanziari della zona Euro. Non può fare entrambe le cose.

Così quando l’attuale accordo di salvataggio scadrà a fine mese, la Grecia deve ripudiarlo e allontanarsi dalla rampa dell’euro. In caso contrario, non avrà alcuna speranza di vedere una ripresa economica o di ripristinare un governo proprio, e Syriza avrà tradito il suo mandato.

Inoltre la posta in gioco va al di là dei suoi confini nazionali. Se i greci non prendono posizione per la propria dignità e indipendenza di fronte a quella che equivale ad una Termopili finanziaria, neppure il resto d’Europa potrà mai sfuggire al superstato disfunzionale, autocratico e impoverente che si è metastatizzato a Bruxelles e a Francoforte sotto la copertura di “progetto europeo”.

In effetti, la corruzione del capitalismo clientelare delle banche e dei mercati finanziari sta inesorabilmente distruggendo l’UE e la moneta unica. Lasciando l’euro e la BCE in tutta fretta, quindi, i greci avranno la possibilità di staccarsi dal più grande disastro monetario mai avvenuto nella storia.

Il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, ha il peso della storia sulle sue spalle mentre questa settimana fa il giro delle capitali europee. Il suo compito non è solo quello di rinunciare alla presunta “austerità” dettata dalla Troika. A quanto pare anche i francesi sono pronti a riconoscere che debba essere alleviata l’orrenda sofferenza imposta ai cittadini meno fortunati della Grecia. Eppure suddetta sofferenza è solo un sintomo di ciò che non va e ciò che potrebbe essere una vera e propria soluzione.

Il vero male è iniziato con i salvataggi stessi, il danneggiamento del price discovery nei mercati finanziari e la disintegrazione delle prerogative democratiche.

Di conseguenza i termini dell’attuale servitù della Grecia non possono essere modificati, “ristrutturati” e “scambiati” nell’ambito del piano di salvataggio di Bruxelles.Invece Varoufakis deve ribadire fermamente ai suoi interlocutori qual è la vera condizione che hanno davanti. Vale a dire, lo stato greco era effettivamente fallito ancor prima del piano di salvataggio del 2010, e le enormi quantità di debito accumulate successivamente non rappresentano altro che un palliativo fraudolento dell’UE.

Di conseguenza il debito legittimo della Grecia è forse $175 miliardi in base al debito pre-crisi, ai tassi di cambio di oggi e all’haircut che si sarebbe verificato in caso di fallimento. Il nuovo governo della Grecia ha tutto il diritto di ripudiare la grande mole di debiti che la soverchiano, perché non nasce dalle azioni del popolo greco, ma dal tradimento dei politici europei e dei burocrati della Troika — insieme ai burattini europei nel parlamento greco e ai ministri che hanno eseguito i loro comandi fraudolenti.

Infatti lo scopo dei prestiti dell’UE, della BCE e del FMI alla Grecia era semplicemente ignobile. Il superstato europeo ha schierato i suoi vasti poteri fiscali e monetari affinché le banche tedesche, francesi, italiane e altre istituzioni finanziarie si ingozzassero del debito sovrano della Grecia. Per più di un decennio giocatori d’azzardo incuranti, money manager e banchieri si sono caricati di debito greco che rendeva un certo premio rispetto ai bond tedeschi e statunitensi, ma che in realtà non compensava nemmeno lontanamente il rischio di credito incorporato nella dissolutezza fiscale della Grecia.

Tutto questo era alla luce del sole. Negli anni prima della crisi, e in particolare sotto il governo Karamanlis, la spesa in rapporto al PIL della Grecia è salita. Ma Atene non si è preoccupata di imporre le tasse necessarie per ripagare i suoi spettacoli pubblici, come le Olimpiadi del 2004, la sua vasta espansione della burocrazia statale, il suo spreco di denaro in equipaggiamenti militari tedeschi, o le sovvenzioni sempre crescenti a gruppi con interessi speciali.

All’epoca era evidente che la sua economia stava finendo velocemente in crisi, come mostrato dall’impennata del deficit delle partite correnti. Infatti le banche del nord Europa la stavano inondando di debito mispriced, causando un’orgia di indebitamento e spesa insostenibili.

Infatti, dieci anni prima della crisi, i prestiti alle famiglie e alle imprese sono saliti del 5X. Ma a differenza del credo keynesiano standard, la spesa per investimenti e consumi finanziata da questa eruzione di debiti non è reale o sostenibile. Certo, ha fatto sembrare fantastici i numeri del PIL, ma il peso effettivo del debito pubblico della Grecia è diventato ancor più oneroso — soprattutto dopo che Goldman e altre banche hanno profumato il cadavere greco con schemi contabili illeciti e derivati predatori.

L’impatto spiacevole di tutta questa ingegneria finanziaria si evince dai due grafici qui sotto. Mostrano quello che stava veramente accadendo al debito pubblico della Grecia — soprattutto grazie alla possibilità dei suoi politici dissoluti di accedere ai mercati internazionali del debito a tassi super convenienti.

In realtà la Grecia si era incamminata sul sentiero verso la bancarotta 25 anni prima, ma grazie al boom monetario europeo dopo la fine del secolo scorso e ai falsi rendimenti del suo debito denominato in euro, il debito pubblico della nazione in rapporto al PIL ha potuto prolungare la sua vita. L’entrata nell’euro ha solo rimandato nel tempo l’inevitabile bancarotta della Grecia, mascherando questo periodo di pseudo-stabilità sotto le spoglie di una falsa prosperità economica.

Ma quando è arrivata la crisi, si trattava solo di salvare il sistema marcio che aveva permesso assunzioni di rischi imprudenti e il mispricing del debito sovrano in tutto il sistema finanziario europeo. I burocrati europei non si sono mai curati della situazione del popolo greco. Le loro macchinazioni disperate erano intese a placare gli speculatori nel mercato finanziario che altrimenti avrebbero provocato un aumento del servizio del debito in tutta l’Unione Europea, generando così una crisi che avrebbe fatto crollare la macchina dell’euro e i governanti del superstato dell’UE a Bruxelles.

Quindi devono essere rettificati cinque anni di falso storico. La dura verità è che oggi ad Atene vedove e bambini, tra gli altri, stanno morendo di fame affinché gli speculatori finanziari non abbiano un attacco isterico e i burocrati dell’UE possano restare al potere.

Varoufakis stesso l’ha detto di recente in modo cristallino:

L’Europa nella sua infinita saggezza ha deciso di affrontare questo fallimento caricando il più grande prestito nella storia umana sulle deboli spalle del contribuente greco. Quello che abbiamo sperimentato sin da allora è stato una sorta di waterboarding fiscale che ha trasformato questa nazione in una colonia piena di debiti.

Il vero assalto alla Grecia e alla gente comune di ogni altro paese europeo, viene dalla corruzione della banca centrale e da quella nel mercato del debito sovrano; e dal capitalismo clientelare associato ai salvataggi bancari. Eliminando il rischio di credito e abbassando artificialmente il rendimento sul debito pubblico, il superstato europeo ha soppiantato il vecchio price discovery, la responsabilità e l’onestà in tutto il mercato del debito sovrano europeo.

Di conseguenza, e come esemplificato dai rendimenti dei decennali di oggi a 160 bps (Italia), 54 bps (Francia) e 26 bps (Germania), il mercato del debito pubblico europeo è diventato un fenomeno da baraccone finanziario. Questi prezzi folli non hanno nulla a che fare con la “deflazione”; sono doni elargiti dal front-running degli speculatori, che, dopo cinque anni di salvataggi e ZIRP, hanno tutte le ragioni per credere che i pazzi nel superstato europeo non consentiranno mai che abbiano nemmeno un centesimo di perdite.

Inutile dire che esentare i banchieri e gli investitori dalle conseguenze della loro follia e avidità, è nemico di un governo democratico. Come è ormai evidente dal torpore economico europeo e dalle varie fratture politiche, questa situazione porta inesorabilmente ad un controllo centralizzato sulla vita fiscale e su quella dei mercati finanziari; è la ragione per cui il popolo greco è stato spogliato della sua sovranità e trasformato in schiavo del debito dai burocrati europei.

Quindi deve essere ripristinato lo status quo, e non è difficile immaginare come potrebbe succedere. Se ai partiti responsabili della dissolutezza fiscale greca fosse stato permesso di fare un passo avanti e assumersi le spiacevoli responsabilità delle loro precedenti azioni, il risultato sarebbe stato una bancarotta — pur sempre dolorosa, ma avrebbe punito i veri colpevoli e avrebbe aperto la strada ad una ripresa costruttiva.

In primo luogo le sciocche banche europee e gli speculatori obbligazionari che ignoravano i rischi delle finanze della Grecia, avrebbero subito profondi haircut (necessari per rimettere su una carreggiata sostenibile il debito della Grecia). Non ci sarebbe stato nessun nuovo debito per salvare quegli operatori finanziari che avevano attirato il governo della Grecia verso prestiti insostenibili ad interessi artificialmente bassi; e le perdite non sarebbero state trasferite in modo fraudolento da queste istituzioni finanziarie a Main Street. Piuttosto che impennarsi al suo livello attuale di $350 miliardi, il debito della Grecia sarebbe stato rinegoziato ai $230 miliardi a cui si avvicinava nel 2010.

Inoltre, se fosse stato permesso alla crisi di fare il porprio corso, le conseguenti perdite per banche e speculatori avrebbero trasmesso due messaggi fondamentali — senza i quali né la democrazia politica, né mercati finanziari onesti possono sopravvivere.

Il primo messaggio avrebbe ricordato di come siano estremamente importanti la situazione finanziaria e le politiche fiscali di ogni singolo stato dell’UE; non ci sarebbe mai stata alcuna mutualizzazione del debito nei documenti e nei trattati dell’UE, e nessun motivo di credere che i mercati l’avrebbero richiesta qualora fosse diventata conveniente.

Il secondo messaggio, il più importante, avrebbe ricordato che c’è un grande fattore di rischio insito nel debito sovrano denominato in euro, perché a meno che l’esercito tedesco non occupi l’Europa, non vi è la possibilità di costringere un qualsiasi Paese membro a rispettare i limiti fiscali dei trattati o anche a rimanere nell’UE.

Se fosse accaduto tutto ciò, gli scommettitori a Londra e a Zurigo e i banchieri a Monaco di Baviera e a Parigi si sarebbero ritrovati per le mani titoli denominati in dracme da 20 centesimi l’uno. Il capitalismo clientelare che anima queste istituzioni sarebbe stato costretto a trovare nuove linee di approviggionamento.

E non usiamo mezzi termini. Gli stati saranno sempre tentati di emettere debito oltre le loro capacità. L’unico modo per impedirglielo è quello di lasciare che i banchieri e gli investitori che acquistano questo pattume obbligazionario affrontino il rischio di perdite — sia nei loro bilanci, sia nelle loro prospettive di carriera.

Lasciate che vi dica un’altra cosa. Se la Grecia fosse andata in bancarotta nel 2010, allora il “price discovery” nei mercati del debito sovrano europeo si sarebbe riappropriato del suo ruolo. Avremmo quindi assistito ad una terapia bidirezionale. I banchieri e gli investitori che avevano acquistato spazzatura obbligazionaria greca sarebbero falliti, e i politici greci avrebbero dovuto affrontare il loro giorno della resa dei conti.

Infatti, a seguito di una bancarotta, sarebbe stato il popolo greco e il governo scelto da loro — non i burocrati zelanti della Troika — che avrebbero formulato e applicato le misure necessarie di austerità. Inutile dire che cinque fanni fa la calamità e l’imbarazzo di una bancarotta nazionale avrebbe incentivato l’elettorato greco a prendere a calci i politici corrotti e i capitalisti clientelari che avevano portato la nazione alla rovina.

E nonostante le scelte difficili post-bancarotta che avrebbe affrontato il nuovo governo, il periodo di austerità e auto-disciplina fiscale risultante avrebbe avuto uno scopo terapeutico. Cioè, avrebbe consentito allo stato greco di funzionare senza nuovi finanziamenti e di ripristinare finalmente il suo credito nei mercati internazionali dei capitali.

Se la Grecia fosse stata costretta alla bancarotta, sarebbe stato necessario un brutale regime di “austerità” (riducendo il deficit primario a zero); e non avrebbe avuto la possibilità di ricorrere alla stampante monetaria e monetizzare il suo debito fiscale. Ciò avrebbe causato un calo del tasso di cambio e una massiccia fuga di capitali e di risparmi.

Detto in altro modo, la democrazia greca sarebbe stata costretta a fare scelte difficili, tra cui profondi tagli alle pensioni, riduzione dei sussidi alle industrie nazionali e ai gruppi clientelari, abbattimento delle sue mastodontiche burocrazie pubbliche e dolorosi aumenti delle tasse per milioni di cittadini. Ma questo piano di austerità non sarebbe stato scritto a Bruxelles e consegnato da burocrati zelanti che parlano in francese, tedesco e inglese.

Invece i sacrifici e il dolore economico sarebbero stati approvati nelle aule del parlamento greco. Se i politici e i funzionari statali avessero tentato di imbrogliare, calciando il barattolo o indugiando nella spesa in deficit, sarebbero rimasti rapidamente a corto di denaro.

Allo stesso modo, ogni tentativo di far quadrare i conti monetizzando il debito avrebbe causato immediatamente dolore alla cittadinanza greca: crollo della dracma e impennata dei costi delle importazioni. In breve, l’ira della popolazione sarebbe stata incanalata lungo la giusta direzione — nei confronti dei politici di Atene, e non nei confronti di Frau Merkel e dei burocrati senza volto inviati in Grecia per consegnare i suoi dettami.

Quindi se il compito è quello di riportare indietro le lancette dell’orologio al 2009, quali sono i calcoli da fare per ripudiare e alienare in frode ai creditori dell’UE $175 miliardi e come può farlo il nuovo governo greco?

La prima parte è semplice. Sulla base dei numeri ampiamente diffusi da Bruegel, la Grecia deve al FMI $35 miliardi. Deve ripudiare tutto il suo debito nei confronti del FMI, perché nessun governo greco dovrebbe più andare mano nella mano con tale istituzione. Il FMI è un istituto ripugnante — una gigantesca fonte di azzardo morale per i banchieri di tutto il mondo. Nel corso degli ultimi quattro decenni non ha fatto altro che salvare le scommesse andate male dei banchieri e dei gestori obbligazionari, e imporre terapie d’urto distruttive su nazioni fiscalmente fallite spogliandole, quindi, dell’obbligo di rettificare i propri eccessi e formulare i propri piani d’austerità e di recupero.

Infatti i greci avrebbero potuto fare un immenso favore al mondo, oltre ad andare in default per i debiti fraudolentemente veicolati dal FMI: avrebbero anche potuto minacciare di arrestare qualsiasi burocrate del FMI che avrebbe osato attraversare i loro confini. Saltimbanchi come la signora Lagarde devono capire che non stanno facendo il volere degli dei; e i legislatori a Washington, Londra e Tokyo che continuano a inviare assegni multi-miliardari al Fondo Monetario Internazionale, devono spiegare ai propri elettori perché le loro tasse vengono sprecate per salvare scommesse andate male dei banchieri internazionali.

Allo stesso modo, se un haircut del 50% è stato sufficiente per la Germania del 1953, dovrebbe essere altrettanto sufficiente per gestire gli impegni della Grecia nei confronti delle istituzioni europee. Secondo le stime di Bruegel, l’importo complessivo dovuto ai paesi della zona Euro e alla BCE è di circa $230 miliardi, il che significa che potrebbero essere essere condonati $115 miliardi.

Infine, dovrebbero essere ripudiati $25 dei $70 miliardi complessivi dovuti a banche private e a investitori obbligazionari al di fuori della Grecia. In pratica, quest’ultima operazione non equivarrebbe affatto ad un haircut rispetto al valore di mercato corrente di tali obblighi. Infatti gli hedge fund e gli altri scommettitori che hanno incamerato questa cartataccia obbligazionaria durante la ripresa illusoria dello scorso anno, sarebbero più che fortunati a recuperare 67 centesimi a dollaro.

Quindi il problema non sono i calcoli — è come realizzare questo progetto. La risposta è che deve essere fatto attraverso un annuncio, e non attraverso trattative. Il debito in questione non è legittimo; si tratta di un trasferimento fraudolento imposto al popolo greco da parte di burocrati e politici del superstato europeo.

Se annunciasse la sua uscita dalla zona Euro, la Grecia dovrebbe solo dire quanto e quando intenderebbe pagare a BCE/UE. Circa un secolo fa i francesi vendicativi erano disposti a concedere ad una Germania povera 50 anni per adempiere alle proprie riparazioni. Oggi i burocrati di una Berlino prospera dovrebbero essere felici di ricevere lo stesso trattamento.

Quindi la storia è arrivata ad un punto di svolta. Speriamo che la coalizione di politici di sinistra e ribelli anti-establishment a cui si è rivolto per disperazione il popolo greco, non venga ingannata dall’attuale coro di apologeti keynesiani nell’UE.

La Grecia non ha bisogno di accendere ulteriori prestiti, e annunciando pubblicamente il proprio rifiuto di pagare la prossima rata del piano di salvataggio, avrà già abbracciato questo principio cardine. Inoltre, dopo una sospensione necessaria del servizio del debito per 2-3 anni (in modo da poter stabilizzare la sua economia e le finanze pubbliche), potrà vivere con un modesto avanzo primario al fine di dedicare il 4% del PIL per ripagare i $175 miliardi di debito estero legittimo. Questa volta, quindi, gli avanzi di bilancio verrebbero utilizzati per il Paese stesso in cui è nata l’idea di governo del popolo.

La Grecia può ristabilire la propria banca centrale, la propria moneta e il proprio credito internazionale se è disposta a rispettare una seconda regola fondamentale. Vale a dire, alla sua banca centrale ricostituita deve essere costituzionalmente vietata la monetizzazione del debito dello stato greco o ricevere sussidi governativi dopo la sua capitalizzazione iniziale per creare un sistema monetario basato sulla dracma.

Lasciate che la sua banca centrale possegga RMB, USD e oro. Ai sensi di tale disposizione, i tassi di interesse interni verrebbero determinati dalle forze di mercato. La stampa sconsiderata di dracme per comprare uno di questi asset globali sarebbe chiaramente inutile — anche per i banchieri centrali. E un sistema finanziario e una valuta che limitano rigorosamente i banchieri centrali, in poco tempo diventerebbero il rifugio dei risparmiatori e attirerebbero afflussi di capitale esteri.

Infine, se il nuovo governo della Grecia ritiene di poter ripristinare la crescita economica e la prosperità attraverso gli investimenti pubblici — una convinzione che non regge affatto — è sufficiente che segua una terza regola. Cioè, trovare un modo efficace, equo e politicamente sostenibile per raccogliere il denaro attraverso la tassazione attuale.

E’ ormai troppo tempo che la Grecia cerca di scappare dal suo inevitabile destino accendendo un prestito dopo l’altro.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/

 


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