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Perché crolla un ponte di Gennaro Varone.

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Il mainstream italiano è che il privato funzioni meglio del pubblico. Il pubblico spreca, è lento; svogliato da una mancanza di profitto personale. Il privato ottimizza, è veloce; invogliato com’è- dal desiderio di crescere.

Queste proposizioni, che hanno la ‘fortuna’ di sposarsi con ciò che abbiamo ‘creduto’ di constatare, ogni qual volta ci siamo confrontati con la burocrazia; devono, tuttavia, reggere (e non reggono) ad una verifica che consideri le condizioni alle quali esse si dimostrano vere.

Il Pubblico assicura i servizi che, in una Nazione costituzionalmente orientata verso il benessere della sua Comunità, devono essere resi ‘a qualunque costo’.
Se si tratta di salvare una vita umana, di tutelare la salute, di garantire protezione all’infanzia, di soccorrere i disabili, di sopperire all’incedere impietoso dell’età: ebbene, non vi sono limiti di bilancio che tengano. Il Pubblico DEVE essere una risorsa per chi ne ha bisogno. Su questo patto fonda la nostra Costituzione, col suo principio di eguaglianza delle possibilità, definito ‘compito della Repubblica’.

Queste affermazioni non sono mie; era ordinario leggerle -e pensarle come dati di civismo acquisiti- su manuali come quello del Sandulli. Il servizio Pubblico va reso a qualunque costo.

Non sposando la logica del profitto e dovendo garantire prestazioni non selettive, ma estese all’intera comunità, esso Servizio ha scontato la sua dimensione ed i limiti umani di chi deve renderlo.
Eppure, la Sanità italiana, la Scuola italiana, la stessa Giustizia italiana, con tutti gli errori insiti nella natura umana, sono state all’avanguardia europea, sino a che la Repubblica ha avuto sovranità e le istituzioni repubblicane democratiche possibilità libera di finanziare i propri progetti.

Il Privato, la cui libera iniziativa è garantita dalla nostra Costituzione, si è inserito, tradizionalmente, nei settori di profitto; vincolato com’è alla logica del guadagno. Ed ha sostituito il Pubblico nei segmenti di mercato in cui il prodotto concorrenziale era, certamente, migliore di quello statale; ovvero, ha affiancato il pubblico, ricevendo dal pubblico, comunque, risorse (come è accaduto nella Sanità).

Tuttavia, il presupposto invisibile, ma cogente, di entrambe queste manifestazioni della produttività dell’uomo (Pubblico e Privato) è, per quanto sgradevole sia parlarne, il Denaro.
Dico meglio: la possibilità che Comunità si dà di finanziare, con la Moneta, il soddisfacimento dei propri bisogni. Non ci sono servizi, né pubblici, né privati: se non c’è Moneta per pagarli.
E’ una verità banale; tanto banale e semplice che … nessuno ne ha consapevolezza.

Il pubblico ha cominciato a morire, in Italia, dal momento in cui la Repubblica non ha avuto più la sua Moneta per finanziare ciò che (come diceva Sandulli) deve essere fornito ‘a qualunque costo’.
Il pubblico si è, così, ridotto all’osso e le sue mansioni sono state trasferite ai privati (con le privatizzazioni: iniziate sin dagli anni ’90).

Vedete come ‘funziona’ bene il mainstream? Pubblico è brutto, privato è bello.

In realtà, dal momento in cui la Repubblica non ha avuto più possibilità di ‘spendere’, per offrire servizi indispensabili al benessere dei suoi cittadini, li ha … delegati al privato.

Se siete arrivati sin qui, siete al ‘focus’ del problema.

Delegare un servizio al privato significa, semplicemente trasferire sulle tasche dei cittadini ciò che prima pagava lo Stato. Ma, se ci riflettiamo un momento -anche se nessuno ci pensa, perché il denaro esce dal bancomat …- i cittadini, intanto hanno Moneta, in quanto gliela dà lo Stato: nessuno ha una stamperia di banconote nella sua abitazione (e chi ce l’ha rischia grosso) e i soldi non si trovano sotto la pianta di Pinocchio.

Ma se lo Stato/Repubblica non eroga più Moneta ai suoi cittadini (perché, non avendo più una propria Moneta, sta in pareggio perfetto: si riprende tutto ciò che è Spesa Pubblica), chiedo (chiediamoci): i cittadini: da ‘dove’ dovrebbero prendere Moneta per pagarsi i servizi ‘privatizzati’?

Possono farlo soltanto, indebitandosi a loro volta. Le banche non regalano denaro. Lo vendono.

Eppure, mentre il Debito Pubblico fonda sulla enorme capacità di lavoro di decine di milioni di lavoratori, e può essere sostenuto con uno sforzo collettivo; il debito privato fonda sulle limitatissime potenzialità del singolo lavoratore. Che presto si esauriscono.

Ecco il punto: se non c’è Moneta (e non ce n’è, perché la Repubblica non ha la sua Moneta) il privato … soffre tanto quanto il pubblico. Chi dovrebbe pagare il servizio privato, se la Comunità è in difficoltà economica?

La soluzione? Abbassare i prezzi.

Ma abbassare i prezzi ha due enormi, grandissimi svantaggi:
1) significa pagare di meno i lavoratori dipendenti -per abbattere il costo del lavoro; cioè, significa impoverire ancora di più la Comunità…
2) significa rendere servizi sempre meno efficienti, risicati, al limite del sostenibile.

Significa fare manutenzione soltanto quando appare assolutamente necessario, tirando sulle spese, arrivando al limite-limite, raschiando il fondo al barile.

Ora, mi dispiace: io non so perché un ponte sia crollato. Ma ho una mia immaginazione.

Gennaro Varone, Magistrato


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