Attualità
Per Pechino lo stretto di Taiwan NON sono acque internazionali. Lo scontro con gli USA sale a un livello superiore
All’inizio del mese, la Casa Bianca ha ribadito la sua posizione secondo cui i mari dello Stretto di Taiwan costituiscono “acque internazionali” dopo l’ultimo passaggio di una nave da guerra statunitense, che ha messo in allarme il Comando del Teatro Orientale delle Forze Armate cinesi. Come ha riportato la Reuters martedì scorso, “gli Stati Uniti martedì hanno appoggiato l’affermazione di Taiwan secondo cui lo stretto che separa l’isola dalla Cina è una via d’acqua internazionale, un ulteriore rifiuto alla pretesa di Pechino di esercitare la sovranità su questo passaggio strategico”.
Questo ha spinto Pechino a rilasciare una propria dichiarazione e definizione, ribattendo che lo stretto non sono “acque internazionali” – ponendo così dei limiti ai movimenti di navi militari straniere nelle acque – e ribadendo ulteriormente che costituisce la zona economica esclusiva della terraferma.
Bloomberg riporta lunedì che i funzionari dell’amministrazione Biden sono “sempre più preoccupati che la posizione possa portare a sfide più frequenti in mare per l’isola governata democraticamente, secondo persone che hanno familiarità con la questione”.
E ancora: “I funzionari cinesi hanno fatto ripetutamente osservazioni di questo tipo negli incontri con le controparti statunitensi negli ultimi mesi, come ha riferito Bloomberg la scorsa settimana”. Il rapporto sottolinea che questo segna un’escalation, dato che lo status giuridico internazionale del passaggio non era in precedenza al centro del dibattito come lo è ora:
Mentre la Cina protesta regolarmente contro le mosse militari degli Stati Uniti nello Stretto di Taiwan, in precedenza lo status giuridico delle acque non era un punto di discussione regolare negli incontri con i funzionari americani.
Washington è allarmata per la tempistica, non solo per le ripercussioni della guerra russa in Ucraina, che Pechino si è rifiutata di condannare apertamente, ma soprattutto perché una settimana fa il presidente cinese Xi Jinping ha firmato un ordine che amplia radicalmente le condizioni in cui le truppe dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) possono essere dispiegate.
L’ordine ha introdotto un quadro giuridico per l’impiego delle truppe in “azioni militari non belliche” che è entrato in vigore mercoledì, secondo i media statali. L’ordine potrebbe avere ripercussioni significative sulle tensioni con gli Stati Uniti e con gli alleati di Washington, come l’Australia o il Giappone, in zone come il Mar Cinese Meridionale e lo Stretto di Taiwan, poiché allenta le condizioni in base alle quali è possibile avviare “operazioni militari diverse dalla guerra”, ovvero operazioni che non implicano esplicitamente un conflitto diretto o un combattimento.
A seconda di quanto la Cina voglia spingere la sua definizione, lo scenario più estremo potrebbe prevedere che l’esercito del PLA si muova per chiudere lo stretto. Del resto se lo considera acque interne, considererebbe la mossa come naturale e perfettamente legittimo, ma questo scatenerebbe uno scontro con Giappone, USA e Australia, oltre che, ovviamente, Taiwan. Quindi la posizione cinese, pe quanto non chiara, è comunque molto minacciosa.
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