Attualità
Per il New York Times l’Assenza di Grandi Guerre Può Nuocere alla Crescita Economica
Da Zero Hedge un commento a un articolo comparso sul New York Times che anticipa lo spaventoso frame dentro il quale ci faranno apparire la guerra come un ineluttabile destino dell’umanità, foriero, alla fin fine, di evoluzione e progresso! A parte la grave confusione tra Keynesismo e shock economy, l’articolo merita di esser letto, ma si raccomanda di farlo a stomaco pieno e dopo aver respirato profondamente…
Non è un segreto che, man mano che si realizza il New Normal della Fed centralmente pianificata, i pianificatori centrali uno dopo l’altro, e praticamente tutti gli economisti, risultano in fallo nelle loro continue previsioni di un’ “imminente” ripresa dell’economia, che dovrebbe verificarsi da un momento all’altro, ed è sempre dietro l’angolo. Eppure, quasi sei anni dopo Lehman, e cinque anni dopo la fine dell’ultima “recessione” (anche se per la maggior parte dei paesi la depressione infuria ancora), l’America sta per registrare il suo peggior trimestre degli ultimi decenni (esclusa la grande crisi finanziaria), con un -2% di crollo del PIL, che è stato attribuito a … il tempo.
Proprio così: gli economisti sono le uniche persone che possono guardare qualcuno negli occhi, e suggerire che è stato il brutto tempo ad aver distrutto il commercio globale, abbattuto le vendite al dettaglio (congelando internet perché la gente aveva così freddo che nessuno faceva acquisti on line), e nonostante l’impennata nell’utilizzo dei servizi e la cattiva allocazione del capitale indotta dall’ Obamacare, tutto questo ha portato la più grande economia del mondo a un crollo del 5% rispetto alle stime iniziali di crescita del 3% nel Q1 (Primo trimestre). In altre parole, una variazione di centinaia di miliardi di “crescita persa o non creata” a causa, ebbene… della neve in inverno.
Purtroppo per gli stessi economisti, ora che il Q2 non si preannuncia essere molto meglio del Q1, si ricorre ad altre giustificazioni, soprattutto climatiche: come El Nino, la siccità in California, e anche l’idea da brivido che, come risultato della infinita ingerenza della Fed nell’economia, il tasso di crescita terminale del mondo è stato abbassato in modo permanente al 2% o inferiore.
Ma quel che è più triste per gli economisti, anche quelli più rispettabili, è che durante la notte niente di meno che Tyler Cowen, scrivendo sul New York Times, è venuto fuori con un’altra teoria per spiegare la “costante lentezza della crescita economica nelle economie ad alto reddito.” Con le sue stesse parole: “Tuttavia, un’altra spiegazione della crescita lenta sta ora ricevendo attenzione, è la persistenza e l’aspettativa della pace.»
Questo è giusto – la colpa è la mancanza di guerra!
Il mondo non ha vissuto così tante guerre ultimamente, almeno non secondo gli standard della storia. Alcuni dei recenti titoli di giornale sull’Iraq o il Sud del Sudan fanno sembrare il nostro mondo un posto molto cruento, ma le vittime di oggi impallidiscono alla luce delle decine di milioni di persone uccise nelle due guerre mondiali nella prima metà del 20° secolo. Anche la guerra del Vietnam ha avuto molti più morti di qualsiasi guerra recente che coinvolga un paese ricco.
Beh, questo è semplicemente inaccettabile: sicuramente il bisogno di crescita in tutto il mondo richiede che le vittime di guerra siano nell’ordine dei miliardi, non di misere centinaia di migliaia!
Keynes 101 prosegue:
Anche se può sembrare controintuitivo, il maggior pacificismo del mondo può rendere meno urgente, e quindi meno probabile, il raggiungimento di alti tassi di crescita economica. Questo punto di vista non vuol dire che combattere delle guerre migliora l’economia, perché naturalmente il conflitto porta morte e distruzione. L’argomento è anche diverso dalla tesi keynesiana che la preparazione della guerra fa aumentare la spesa pubblica e mette le persone al lavoro. Piuttosto, la possibilità stessa di una guerra focalizza l’attenzione dei governi su come prendere correttamente alcune decisioni fondamentali – come investire nella scienza o semplicemente liberalizzare l’economia. Questa attenzione finisce per migliorare le prospettive a più lungo termine di una nazione.
Per sicurezza, Cowen si para rapidamente il culo con una certa diplomazia spicciola. Dopo tutto, è ardito a suggerire implicitamente che l’unica ragione per cui gli Stati Uniti sono usciti dalla Grande Depressione sia la sua entrata “orchestrata” – a detta di alcuni – nella Seconda Guerra Mondiale:
Può sembrare ripugnante trovare un lato positivo alla guerra in questo senso, ma uno sguardo alla storia americana suggerisce che non possiamo respingere l’idea così facilmente. Innovazioni fondamentali come l’energia nucleare, il computer e l’aviazione moderna sono state tutte spinte da un governo americano desideroso di sconfiggere le potenze dell’Asse o, più tardi, di vincere la Guerra Fredda. L’Internet è stato inizialmente progettato per aiutare questo paese a reggere uno scambio nucleare, e la Silicon Valley deve le sue origini alle forniture militari, non alle start-up imprenditoriali di oggi. Il lancio sovietico del satellite Sputnik ha stimolato l’interesse americano nel campo della scienza e della tecnologia, a beneficio della conseguente crescita economica.
E allora cosa c’è nella guerra che rende la “crescita” economica molto maggiore. A quanto pare è la necessità della spesa. L’urgenza di spendere ancora di più dei migliaia di miliardi di dollari ora necessari a sostenere il welfare degli Stati Uniti, e spendere ancora altri migliaia di miliardi nella speranza, avete indovinato, di incappare nel prossimo “Internet” (che a quanto pare non è stato creato da Al Gore).
La guerra porta con sé un’urgenza a cui i governi altrimenti non riescono ad appellarsi. Per esempio, il progetto Manhattan ha impiegato sei anni per produrre una bomba atomica funzionale, partendo praticamente dal niente, e al suo apice ha consumato lo 0,4 per cento della produzione economica americana. In questi giorni è difficile immaginare un risultato rapido e decisivo comparabile a quello.
Ciò che troviamo sorprendente è che ci sia voluto così tanto perché questi economisti fraudolenti individuassero quest’ultimo capro espiatorio fasullo – l’assenza di guerra – per la mancanza di crescita. Ma finalmente eccoli intenti a istigare alla guerra:
Ian Morris, professore di letteratura e storia a Stanford, nel suo recente libro, “Guerra! A che cosa serve? Il Conflitto e il Progresso della Civiltà dai Primati ai Robots” ha riproposto l’ipotesi che la guerra sia un fattore importante di crescita economica. Morris considera una grande varietà di casi, tra cui l’impero romano, l’Europa del Rinascimento e gli Stati Uniti contemporanei. In ogni caso esaminato ci sono prove che l’intenzione di prepararsi alla guerra abbia spinto l’invenzione tecnologica e portato anche un certo maggior grado di ordine sociale.Un altro nuovo libro, “Guerra e Oro: una storia di 500 anni di Imperi, Avventure, e Debito” di Kwasi Kwarteng fa un ragionamento simile, ma si concentra sui mercati dei capitali. Mr. Kwarteng, un membro conservatore del Parlamento britannico, sostiene che la necessità di finanziare le guerre ha portato i governi a sviluppare le istituzioni monetarie e finanziarie, consentendo l’ascesa dell’Occidente. Egli si preoccupa, però, che oggi molti governi stanno abusando di queste istituzioni e le stanno utilizzando per indebitarsi troppo. (Sia Kwarteng che Morris stanno riprendendo questi temi dalla voluminosa opera di Azar Gat, di 820 pagine “La guerra nella civiltà umana”, pubblicata nel 2006.)
Ancora un’altra indagine su questa ipotesi appare in un recente working paper degli economisti Chiu Yu Ko, Mark Koyama e Tuan-Hwee Sng. Il paper sostiene che l’Europa si è evoluta politicamente in maniera molto più frammentata rispetto alla Cina, perché il rischio di invasioni della Cina dal lato occidentale ha portato il paese verso la centralizzazione politica per finalità di difesa. Tale accentramento è stato utile in un primo momento, ma alla fine ha fatto arretrare il paese. I paesi europei hanno investito di più in tecnologia e modernizzazione, proprio perché avevano sempre paura di essere conquistati dai vicini loro rivali.
La parte divertente sarà quando d’un tratto gli economisti finalmente avranno la loro guerra, tanto desiderata (proprio come hanno fatto con la seconda guerra mondiale, e in precedenza con la prima guerra mondiale, che ha fatto da catalizzatore per la creazione della Fed, ovviamente), come quando avranno ottenuto il loro tanto richiesto trilione di dollari di stimolo monetario. Ricordiamo che, secondo Krugman, la Fed non è riuscita a stimolare l’economia semplicemente perché non ha fatto abbastanza: a quanto pare il fatto che la Fed detiene il 35% di tutti i titoli a 10 anni, che abbia iniettato circa 3.000 miliardi di dollari di riserve nel mercato azionario, e creato una bolla del credito che in confronto la bolla del 2007 è un pallido esempio, non è stato sufficiente. C’è bisogno di ancora di più!
E così sarà con la guerra. Perché la prima guerra sarà incolpata di essere stata troppo piccola – sarà giunto il momento per una guerra più grande. Poi una guerra ancora più grande. E così via, fino a quando gli esseri umani più inutili al mondo – gli economisti, naturalmente – otterranno il loro armageddon, causando la morte di miliardi di persone. Forse solo allora l’esplosione del PIL, tanto desiderata, arriverà finalmente ?
Fortunatamente per Cowen, egli evita di sostenere la guerra come una panacea definitiva contro la lenta crescita (almeno per ora: una volta che gli Stati Uniti entrano in una recessione con un altro trimestre di crescita negativa, si può solo immaginare che cosa diranno gli articoli di Krugman). Invece l’argomento rientra in un frame che lo presenta come una questione di compromessi:
“Possiamo anche preferire dei più alti tassi di crescita economica e di progresso, ma dobbiamo riconoscere che i recenti dati sul PIL non misurano adeguatamente tutti i vantaggi di cui abbiamo effettivamente goduto. Oltre alla pace, abbiamo anche un ambiente più pulito, più tempo libero e un più alto grado di tolleranza sociale per le minoranze e i gruppi di emarginati e perseguitati. Il nostro mondo più pacifico e – sì – più orientato verso la pigrizia orientale, in realtà è migliore di quel che risulta dagli indici economici da noi conosciuti.”
E non dimentichiamo che il PIL non è altro che una cazzata economica, fatto confermato nelle ultime settimane dall’Europa che – apparentemente stanca di aspettare la guerra – ha arbitrariamente deciso di aggiungere al Pil i “redditi” della prostituzione e degli stupefacenti. E avete qui tutta la crescita senza senso che si può sognare. Crescita solo sulla carta. Perché centinaia di milioni di persone nel mondo sviluppato, disoccupati, fuorusciti dalla forza lavoro, possono anche essere placati con i sogni di “speranza e cambiamento” per un certo tempo. Ma certamente non quando arrivano ad avere fame, o si rendono conto che la più grande menzogna, nello stato del welfare bismarckiano – il welfare garantito – è ormai compromessa.
La conclusione di Cowen:
Vivere in un mondo pacifico con una crescita del PIL del 2 per cento ha alcuni grandi vantaggi che non si ottengono con una crescita del 4 per cento e molti più morti in guerra. La stagnazione economica può non fare molta impressione, ma è un qualcosa che i nostri antenati non sono mai del tutto riusciti a eliminare. La vera domanda è se possiamo fare di meglio, e se la recente diffusione della pace è una semplice bolla temporanea che aspetta solo di essere fatta scoppiare.
Fantastico. Ora ciò di cui abbiamo tutti bisogno è qualche economista e / o pianificatore centralizzato che alla fine alzi il tiro e faccia sì che la politica arrivi a una conclusione diversa, e decida che una crescita del 4% in realtà valga ben il prezzo di milioni (o miliardi) di morti.
A giudicare dai recenti avvenimenti in Ucraina e Medio Oriente questo tipo di annuncio potrebbe essere proprio dietro l’angolo.
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