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Pace in Ucraina: L’Ottimismo (Realista) di Trump e Media Mainstream pessimisti
Mentre il NYT e Politico vedono il bicchiere mezzo vuoto, a Mar-a-Lago si disegnano i confini della nuova Europa. Ecco perché l’accordo potrebbe essere più vicino di quanto ci raccontano. Mentre il mainstream è scettico, il canale diretto Trump-Putin e il piano in 20 punti suggeriscono che la fine del conflitto è vicina. Ecco cosa si decide sulle nostre teste.

Palm Beach, Florida – Se vi affidaste esclusivamente alla lettura dei grandi quotidiani della “East Coast” americana, potreste pensare che l’incontro di ieri tra Donald Trump e Volodymyr Zelenskyy sia stato l’ennesimo buco nell’acqua, un esercizio di stile diplomatico finito nel nulla. La narrazione è sempre la stessa: “restano ostacoli”, “Putin non cede”, “l’accordo è elusivo“. Eppure, analizzando con occhio disincantato quanto emerso dal lungo vertice di Mar-a-Lago, e soprattutto filtrando il rumore di fondo, emerge una realtà ben diversa. Siamo, con ogni probabilità, alle battute finali del più grande conflitto europeo degli ultimi ottant’anni.
Oltre la Cortina di Fumo dei Media
È il 28 dicembre 2025. La guerra dura ormai da quasi quattro anni. Eppure, l’atmosfera in Florida non era quella di una crisi senza fine, ma quella di un consiglio di amministrazione che sta per chiudere un’acquisizione ostile. Trump, fresco di rielezione e con il pragmatismo che lo contraddistingue, ha mostrato un ottimismo che i media come il New York Times o Politico faticano a digerire, forse perché costretti ad ammettere che il metodo del tycoon – così poco ortodosso – sta portando risultati dove la diplomazia tradizionale ha fallito.
Il punto cruciale, che molti commentatori sembrano trascurare o minimizzare, è il canale diretto aperto con Mosca. Prima di sedersi a tavola con Zelenskyy, Trump ha passato due ore al telefono con Vladimir Putin. Due ore. Non si parla del meteo per centoventi minuti. Se il Presidente USA si dice convinto che “ce la faremo”, non è per una speranza messianica, ma perché ha in mano feedback diretti dal Cremlino che lasciano porte aperte al dialogo, porte che ufficialmente sembrano sbarrate.
I 20 Punti sul Tavolo: Dove Siamo Davvero?
Il piano di pace, rivisto e corretto, si articola su 20 punti.1 Zelenskyy afferma che c’è un accordo al 90% con gli Stati Uniti e al 100% sulle garanzie di sicurezza. Ma dove si annida il diavolo? Nei dettagli, ovviamente, e nell’economia del dopoguerra.
Ecco una sintesi delle posizioni attuali, depurata dalla retorica:
| Tema | Posizione Ucraina (Zelenskyy) | Posizione Russa (Putin) | La Soluzione Trump (Probabile) |
| Donbass | Zona Economica Libera, demilitarizzata. | Annessione completa e controllo politico. | Congelamento dello status quo con incentivi economici per la ricostruzione gestiti localmente. |
| Sicurezza | Garanzie “blindate” (modello NATO o simili). | Neutralità dell’Ucraina, niente truppe NATO. | Garanzie bilaterali USA-Europa, con peacekeeper europei (non americani). |
| Zaporizhzhia | Ritorno sotto controllo ucraino. | Controllo russo strategico. | Gestione congiunta tecnica per garantire energia a entrambe le parti (idea pragmatica). |
| Ricostruzione | Uso degli asset russi congelati. | Asset intoccabili, l’Occidente paga. | Un mix: energia russa a basso costo per Kiev in cambio di uno sconto sulle sanzioni. |
Potremmo dire che la soluzione Trump trasita sempre attraverso accordi molto “Commerciali”, che cercano quindidi stemperare le posizioni fortemente politiche e ideologiche per concentrarsi su fattori pratici, immediati, queli su cui è possibile raggiungere un accordo. Si tratta di un atteggiamento incomprensibile per troppi paesi europei, arroccati sulle proprie idee o paure.
Il nodo del Donbass e l’economia di guerra
Il vero scoglio rimane il Donbass. Zelenskyy propone una “zona economica libera”, un concetto interessante che trasforma un problema territoriale in un’opportunità di business, molto in linea con la visione trumpiana. Putin, ovviamente, preme per il controllo totale. Trump, con un realismo che può apparire cinico, ha avvertito Zelenskyy: “Meglio fare un accordo ora, perché tra qualche mese quella terra potrebbe non essere più nemmeno oggetto di trattativa”.
È un avvertimento brutale, ma economicamente fondato. La Russia ha risorse immense e un’economia di guerra che, seppur surriscaldata, regge. L’Ucraina dipende totalmente dagli aiuti. Trump sta applicando una pressione da closing immobiliare: l’offerta è sul tavolo oggi, domani il prezzo potrebbe salire.
C’è poi l’aspetto energetico, che ha fatto alzare più di un sopracciglio tra i giornalisti presenti. Trump ha suggerito che Putin sarebbe “molto generoso” nel fornire energia ed elettricità a prezzi stracciati all’Ucraina nel dopoguerra. Zelenskyy avrà roteato gli occhi, e possiamo capirlo, ma in un’ottica puramente economica, la Russia ha bisogno di vendere gas e l’Ucraina ha bisogno di energia per ricostruire le sue acciaierie e le sue città. È il trionfo dell’interesse sulla morale? Forse, ma è così che finiscono le guerre, e comunque il gas da qualche parte deve venire.
Il ruolo dell’Europa: pagatori o garanti?
Mentre a Washington si discute, l’Europa osserva con apprensione. Ursula von der Leyen si è affrettata a twittare di “buoni progressi”, ma la realtà è che il peso delle garanzie di sicurezza ricadrà verosimilmente sulle spalle dei contribuenti europei. Trump è stato chiaro: se le cose vanno male, gli USA potrebbero “lavarsene le mani”.
La presenza di peacekeeper europei nel Donbass è un’altra patata bollente. Lavrov ha già minacciato che sarebbero “bersagli legittimi”, ma questo fa parte del gioco delle parti. Mosca alza la voce per ottenere concessioni sul tavolo delle sanzioni. Se queste fossero cancellate o ridotte in virtù di concessioni militari, avremmo altri vantaggi commerciali per Mosca, in cambio di costi di spesa pubblica militare per i Paesi Europei. Chi fa un affare?
La squadra messa in campo da Trump – da Marco Rubio a Jared Kushner, fino al generale Dan Caine – suggerisce un approccio ibrido: pressione militare (deterrenza) e incentivi economici (ricostruzione). Non è un caso che si parli di “gruppi di lavoro” accelerati. L’obiettivo è chiudere prima che l’inflazione o la stanchezza dell’opinione pubblica occidentale rendano impossibile qualsiasi accordo.
Perché l’Ottimismo è Giustificato (Nonostante il NYT)
I media mainstream si concentrano sul fatto che Putin “non ha ancora commentato pubblicamente” il piano e continua a bombardare. Ma chi conosce la storia sovietica e russa sa che l’escalation militare è spesso il preludio alla trattativa finale. Si bombarda per negoziare da posizioni di forza.
Il fatto che Trump parli di “ultime fasi” e che Zelenskyy, solitamente molto cauto, si sbilanci su percentuali di accordo così alte (90%), indica che la struttura dell’intesa c’è.
Il Fattore Tempo: Trump vuole presentarsi come il pacificatore globale subito all’inizio del mandato.4
Il Fattore Costi: Gli USA vogliono spostare risorse sulla sfida con la Cina. L’Ucraina è un asset costoso che va stabilizzato.
Il Pragmatismo Russo: Putin sa che non può conquistare tutta l’Ucraina senza rischiare il collasso interno nel lungo periodo.
In conclusione, non fatevi ingannare dai titoli scettici. La macchina diplomatica, quella vera che lavora dietro le quinte e non nelle conferenze stampa, sta macinando chilometri. Le prossime settimane saranno decisive. Le trattative proseguiranno fra delegazioni, con quella USA, ad altissimo livello (comprende anche Rubio ed Hegseth) che farà da controparte e mediatore con sia quella russa sia quella ucraina, come deve essere in ogni seria trattativa. Chi si aspetta che Trump faccia il tifoso si dimentica che un mediatore non può essere troppo di parte.
Potremmo assistere a un cessate il fuoco imperfetto, doloroso per certi versi, ma necessario. E come sempre, sarà l’economia – tra ricostruzione, gasdotti e zone franche – a dettare la pace, lì dove i cannoni hanno fallito. Merz, Macron e la Kallas non potranno che prenderne atto.
Domande e risposte
Perché Trump è così ottimista nonostante i continui attacchi russi?
L’ottimismo di Trump deriva dal canale diretto con Putin. La telefonata di due ore, avvenuta poco prima dell’incontro con Zelenskyy, suggerisce che il Cremlino abbia comunicato privatamente una disponibilità a trattare che non può ancora ammettere pubblicamente per ragioni di politica interna e tattica negoziale. Gli attacchi militari russi, in questa fase, sono una leva per massimizzare i vantaggi territoriali prima del congelamento delle linee del fronte, una tattica standard nelle fasi finali dei conflitti.
Cosa significa creare una “Zona Economica Libera” nel Donbass?
È una soluzione di compromesso “creativa”. Invece di decidere la sovranità politica immediata (chi possiede la terra), si crea un’area con regole economiche speciali, tasse ridotte e incentivi per attirare investimenti da entrambe le parti. Questo permetterebbe di “congelare” la disputa sulla sovranità formale, permettendo però la ricostruzione e il commercio. Per l’Ucraina manterrebbe un legame con la regione, per la Russia garantirebbe influenza economica senza i costi totali dell’occupazione militare.
Qual è il ruolo dell’Europa in questo piano di pace?
L’Europa rischia di essere il “garante pagatore”. Mentre gli USA mediano politicamente, ai paesi UE potrebbe essere chiesto di fornire le truppe per il mantenimento della pace (peacekeeping) sul terreno – cosa che Trump non vuole fare con soldati americani – e di finanziare la gran parte della ricostruzione. Le garanzie di sicurezza “blindate” richieste da Kiev implicano che le nazioni europee debbano impegnarsi militarmente a difendere l’Ucraina in caso di futuri attacchi, un impegno gravoso ma necessario per l’accordo.







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