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Ora nel pd si evoca il congresso per mettere sotto accusa la Schlein

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Si respira aria di burrasca all’interno del partito democratico, dopo la evidente spaccatura sul voto a Strasburgo sul “Rearm Europe”. I 10 voti favorevoli contro la linea imposta della segretaria, che indicava invece un voto di astensione, hanno fatto infuriare la Schlein. Il partito mostra in Europa tutte le contraddizioni, fino ad ora sopite, ma mai risolte davvero da una leadership che comincia a mostrare tutti i suoi limiti, e che si mostra molto meno forte di quello che poteva apparire qualche mese fa.  All’interno del Pd i contrasti tra le varie correnti ( che , malgrado il tentativo della Schlein di eliminare, sembrano essere più vive che mai) diventano ormai evidenti. E qualcuno nemmeno troppo sommessamente comincia ad evocare la necessità di un congresso.

Pina Picierno, vicepresidente del parlamento europeo, da sempre una delle più critiche fin dall’inizio verso la segretaria, che non a caso avrebbe voluto non ricandidare è stata forse la piu chiara su questo punto, ieri a Strasburgo  “Ora serve dialogo, capacità di composizione, insieme al riconoscimento delle legittime posizioni reciproche: da sempre i segretari si sono confrontati con le delegazioni del Pd, e anche i pre-vertici europei erano l’occasione per un confronto sulle urgenze. Da molto tempo assistiamo, invece, ad un atteggiamento di chiusura del gruppo dirigente che porta inesorabilmente a divisioni e spaccature”. Ma ancora più chiari in tal senso è stato l’ex tesoriere ed ex senatore Zanda, uomo da sempre molto vicino a Zingaretti ed uno dei fondatori del Pd, che alla Stampa ha detto “Davanti alla straordinarietà della fase storica che stiamo vivendo e dunque al bisogno urgente e assoluto per il Pd di darsi una linea chiara sulla politica internazionale ed europea, l’unico luogo nel quale un dibattito di questo rilievo possa svolgersi in modo franco e trasparente è un congresso straordinario”. Insomma per la segretaria sembra avvicinarsi il momento di una sorta di resa dei conti sulla sua linea politica, che molti definiscono ormai troppo ondivaga non solo in politica estera.

E’ la solita storia, commenta a mezza bocca un senatore del Pd, che si ripete pedissequamente con ogni segretario del pd negli ultimi dieci anni. Dopo l’esperienza di Matteo Renzi, che con tutti i suoi difetti, è considerato come l’ultimo segretario forte del partito, alla guida del partito si sono sempre avvicendati leader che sembravano dover avere il ruolo di traghettatori, in attesa del leader carismatico, che ancora a sinistra non si riesce a trovare. Nelle ultime primarie sembrava che qualcosa potesse cambiare, dal momento che il grande favorito del partito Stefano Bonaccini fu sconfitto dagli outsider Schlein. Ma dopo qualche mese di illusione, il partito sembra essere caduto di nuovo nella sua solita sindrome autolesionista da portare al logoramento del segretario.

Il fallimento di Zingaretti, che, sbattendo la porta, si sfogò duramente contro il poltronismo dei vertici del suo partito, è stato sintomatico di questo stato di cose. Il bilancio di questi primi due anni di segreteria Schlein sono in chiaroscuro. Certo ha risollevato un partito che era vicino al 15% e a rischio di essere inglobato nei cinque stelle, e lo ha riportato sopra il 20%.  Sotto la sua leadership, il centrosinistra ha vinto le regionali in Sardegna, Umbria ed Emilia Romagna (le prime due erano guidate dal centrodestra) e le ha perse in Piemonte, Liguria, Abruzzo e Basilicata (tutte con giunte di destra uscenti). Quanto ai Comuni, ha riconquistato capoluoghi importanti come Cagliari, Perugia, Potenza, Campobasso, Udine, Foggia e Pavia, ha confermato la guida di Firenze, Bari e Bergamo, ha visto sconfitte pesanti come ad Ancona, Siena e Pisa.

Ma la linea, in politica estera, come visto anche con il voto a Strasburgo, così come sul fronte dell’opposizione al governo Meloni,  sono sembrate spesso incerte e poco chiare. Qualcuno pensava che con l’avvento della Schlein il partito potesse andare troppo a sinistra, ma qualcuno ora invece fa notare come in realtà il problema è che il Pd sembra aver perso del tutto una sua identità, superato a sinistra sia da Conte che da Fratoianni e al centro appiattito su Calenda e Renzi. E quindi l’impressione che serpeggia all’interno del pd è che la segretaria in realtà non abbia ancora un’idea chiara di quale debba essere la posizione del partito sulle grande questioni politiche. Si è andati avanti a vista, più con slogan che con proposte concrete. Il confronto con la premier Meloni è spesso apparso come imbarazzante ai danni di Ely. Troppa differenza di autorevolezza e leadership tra le due, nessuno nemmeno nel pd crede più che la Schlein possa davvero rappresentare una alternativa credibile alla Meloni.

Non è un caso che la stessa premier, spesso abbia ignorato la leader dell’opposizione, prendendosela o con Romano Prodi ( che non a caso sembra essere diventato uno delle voci più critiche, all’interno del pd, della linea della segretaria) o con Giuseppe Conte. Ecco perché allora il congresso può essere un momento di confronto utile anche per la Schlein per rafforzare la sua base ed appianare le sempre più numerose voci di dissenso interno. Ma si tratta di un azzardo perché non è affatto escluso che il congresso possa avere serie ripercussioni sulla leadership della segretaria ed essere il primo concreto passo per arrivare ad una sua defenestrazione. Insomma niente di nuovo sotto il sole del Pd.


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