Attualità
NOTIZIE PANSA
Ci ha colpito l’ultima fatica editoriale di Giampaolo Pansa, ma non tanto per il titolo (‘L’Italia non c’è più’) quanto
piuttosto per la sinistra profezia contenuta nel risvolto della quarta di copertina. Il titolo, dopotutto, è solo la
fotografia nitida di un dato di fatto non revocabile in dubbio: l’Italia non c’è più come entità statuale, avendo ceduto i
propri poteri sovrani alle potenze neocoloniali con sede a Bruxelles e a Berlino, non c’è più come potenza industriale,
avendo svenduto i gioielli aziendali della propria corona a una pletora di multinazionali di ogni dove, non c’è più
come nomen di una identità nazionale avendo abdicato a qualsiasi pretesa di originalità indigena e a qualsiasi
rivendicazione di dignitoso orgoglio patrio davanti alle invasioni barbariche di carattere linguistico, finanziario,
migratorio. Insomma, il nostro Paese ha ceduto le armi. Gli storici diranno se con onore o meno, ma Pansa ha
ragione nel derubricare la faccenda a una mera questione di cronaca: non si tratta di una provocazione intellettuale
o di una trovata giornalistica, ma di un puro dato di fatto. Veniamo allora alla profezia. Nelle ultime righe della
sinossi, si legge che il nostro avvenire non si giocherà più sul piano della politica perché saremo amministrati da
cordate di carattere tecnocratico-militare. L’autore scrive anche di essere fermamente convinto che questi tempi
sono di gran lunga peggiori rispetto ai decenni trascorsi. Il combinato disposto delle due affermazioni – una
pessimista, rivolta al futuro e una nostalgica, diretta al passato – è micidiale. Potremmo liquidarlo con un’alzata di
spalle o con un’ideale pacca sulle stesse, data con garbo e con affetto, al canuto cronista. In fondo, la tentazione di
ridipingere di rosa pastello i migliori anni della nostra vita e di nerofumo quelli di là da venire è antica come il
mondo. Forse ci è cascato anche Pansa. Forse sono solo le paranoie dell’età. Eppure, egli ci ha instillato un dubbio.
Magari, la tendenza a rivalutare i tempi di ieri e a temere i giorni di domani non è solo una distorsione psicologica
frutto della prospettiva anagrafica da cui osserviamo il flusso degli eventi. Magari le cose stanno precipitando per
davvero e la legge del divenire storico non è quella prefigurata dai positivisti dell’Ottocento e cioè un vettore
inesorabilmente lanciato in direzione del progresso. È, piuttosto, una parabola in cui, scollinata la fase ascendente, si
scende e basta. Poi abbiamo trovato un intervento su Panorama che ci ha turbato ancor di più, laddove Pansa – nel
commentare il suo lavoro – ripone l’unica speranza in un governo di super tecnici espressione di imprese, università
e professioni o, in subordine, in una giunta militare guidata dalla Finanza o dai Carabinieri. Quindi avevamo capito
male. Il suo non è un timore, è un auspicio. E a sentirlo dalla bocca di un intellettuale ottantenne del suo calibro,
della sua autorevolezza, del suo prestigio, ci sono cadute le braccia. Pensavamo di aver trovato un faro che ci
mettesse in guardia dal burrone. Invece era un segnale indicatore della strada più breve per raggiungerlo.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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