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“Non stare sereno: lex CVII a.d. 2015 p.C. delenda est!” di Raffaele SALOMONE MEGNA

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Quando nel settembre 2014 fu presentata la riforma detta la “ Buona scuola”, fummo in molti a chiederci perché mai il P.D. entrasse in contrasto con una parte cospicua del proprio elettorato di riferimento, gli insegnanti.

Infatti, a quel tempo i docenti guardavano con speranza la compagine di governo guidata da Matteo Renzi, la quale era stata votata dal 70% di essi ( dato desunto da un mio amico deputato P.D.).

D’altra parte avevano ancora in mente gli sfracelli commessi dalla Moratti prima e dalla Gelmini poi, per cui sembrava loro davvero impossibile che un Governo, che si dichiarava progressista, nella scuola potesse fare peggio.

Non fu così.

Arrivò nel luglio del 2015 la legge 107 malgrado proteste ed agitazioni di cui diremo.

Denominata la “Buona scuola”, fu presentata con grande battage pubblicitario da Matteo Renzi in persona il 13 maggio del 2015.

Ma era una vera e propria polpetta avvelenata.

Piena di lustrini e di brillantini, conteneva tra l’altro il piano straordinario di assunzione dei precari, che straordinario non era, poiché l’Italia era stata di fatto condannata all’assunzione degli stessi dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 14 novembre 2014.

Tanti gli aspetti critici e perniciosi: assunzione diretta da parte del dirigente scolastico dei docenti; valutazione dei docenti da parte di un organo pseudo tecnico, in cui la componente professionale era in minoranza, per la presenza di famiglie e discenti in uno con oscuri personaggi del MIUR; creazione dell’ambito scolastico tra più comuni, per cui tutti i docenti neo immessi in ruolo assumevano in questi la titolarità.

Per contro, gli insegnanti delle superiori perdevano la titolarità nel comune, per assumerla nella sede legale dell’istituzione scolastica in cui lavoravano, cosa fatta all’insegna della massima flessibilità. Inoltre, piombava sulle istituzione scolastiche autonome, ma che in realtà autonome non sono, l’obbligo dell’alternanza scuola-lavoro, imposta a tutti i discenti delle superiori a partire dal terzo anno di studi.

Ugualmente deprecabili la detraibilità fiscale delle somme date alle scuole private; la formazione dei futuri docenti e le modalità del loro reclutamento, attraverso percorsi a dir poco tortuosi ma all’insegna del profitto economico di sedicenti agenzie formative ( rectius 24 CFU e compagnia bella). Uno squallido mercimonio!

La scuola militante, quella fatta da patrioti e liberi pensatori, comprese da subito che quella legge era stata scritta a più mani, con l’intervento palese del Centro Studi della Confindustria, che intonava peana e declamava epinici in onore del Presidente Renzi.

E tutti conclusero che della “Buona Scuola” c’era poco o nulla da salvare, tranne il piano di assunzione straordinario, che poi è andato a finire come è andato a finire ed anche su di esso si potrebbe scrivere tantissimo. Basta ricordare che gli avvocati hanno lavorato con grande alacrità , traendo lauti guadagni.

Vero esempio di incompetenza amministrativa, mista ad assoluto disprezzo per le persone.

Ripresero da subito le proteste.

Grande fu la mobilitazione sino ad arrivare allo sciopero unitario indetto dai sindacati della scuola il 5 maggio 2015, in assoluto una delle più grandi manifestazioni in Italia.

In piazza scesero non solo docenti, ma anche studenti, genitori, semplici cittadini, le forze politiche di opposizione, tutti preoccupati del futuro della nostra nazione.

Matteo Renzi dapprima titubò, ma poi andò avanti per la sua strada, mettendo la fiducia sulla legge al Senato il 25 giugno del 2015, facendola approvare alla Camera il 9 luglio 2015.

Una legge monstre, costituita da un solo articolo e da ben 207 commi!

Ma perché il Governo a guida P.D. entrava in contrasto con il mondo della scuola?

Orbene, Matteo Renzi, pur di ottenere dalla Commissione Europea l’agognata flessibilità dei conti pubblici pari a + 0,75% rispetto all’obbiettivo imposto del rapporto deficit-PIL, doveva ottemperare a quanto previsto dagli accordi “ six pack”, firmati nell’ottobre del 2011: uno squallido “do ut des”, vale a dire fare riforme strutturali in cambio di maggior deficit. Purtroppo è così che funziona in Europa.

Ed infatti le riforme indicate nell’agenda del Governo Renzi erano due: quella dello statuto dei lavoratori e quella della scuola.

Il Presidente del Consiglio Renzi, obtorto collo, doveva fare una questa scelta e correre il rischio reale di una rottura con la classe docente, pur sperando di recuperare successivamente con la “mancetta” del bonus di acquisto da cinquecento euro e con la riuscita del piano straordinario di assunzioni.

Queste riforme, che si adeguavano pedissequamente alle logiche del Fondo Monetario Internazionale e ipso facto a quelle dell’U.E. , non hanno assolutamente prodotto effetti positivi per la collettività.

Renzi ottenne la flessibilità dalla UE, ma il Governo aveva venduto la propria anima al diavolo e da allora fu visto dal mondo della scuola come un pericoloso nemico da abbattere.

Quando il disegno di legge divenne legge, tutto il personale scolastico, docenti ed ATA, in cuor proprio ripetevano: “ Renzi, stai sereno! La scuola si ricorderà di te”.

Così è avvenuto.

In seguito, al Governo Renzi andò tutto storto. Una vera e propria “discentio ad inferos”, che ha condotto il P.D. e la sinistra italiana ai minimi del consenso elettorale in tutta la storia repubblicana.

Mettersi contro la scuola in Italia non è cosa buona, soprattutto quando questa anela all’abrogazione di una legge che comprime i livelli di apprendimento con la riduzione del tempo scuola e conculca la libertà d’insegnamento, grazie alla trasformazione delle scuole in grottesche aziende dirette da dirigenti che sono sotto il controllo politico dei direttori scolastici regionali.

E ciò in linea che è molto più facile per le lobbies economiche e potentati vari controllare 8.500 dirigenti che 800.000 docenti, tra l’altro tutelati dal dettato della nostra Carta Costituzionale. Orbene, al Governo del cambiamento che tutti noi guardiamo con attenzione ci viene da dire: “estote parati, lex 107 delenda est!”

Traduzione: non state sereni!

Abrogare questa legge è a costo zero e non aggrava i conti pubblici italiani, tanto cari al presidente dell’U.E. Juncker, quando è sobrio (forse solo negli anni bisestili).

Caro Ministro Bussetti, non mostrare tentennamenti, il mondo della scuola aspetta.

Intelligenti pauca!

Raffaele SALOMONE MEGNA


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